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Usa-Cina: la guerra commerciale è iniziata

La guerra commerciale tra gli Stati Uniti e la Cina è alla fine iniziata. Porta con sé grandi rischi di un’escalation che potrebbe rallentare tutta l’economia mondiale. Non ci sarà un vincitore, ma è già chiaro chi pagherà il conto dell’azzardo di Trump.

Effetto dazi negli Usa

La guerra commerciale tra gli Stati Uniti e la Cina, minacciata da Donald Trump in primavera e finora scongiurata dai tentativi di arrivare a una trattativa, è infine iniziata il 6 luglio. Porta con sé grandi rischi di un’escalation che potrebbe rallentare tutta l’economia mondiale.

Ma quale sarà il vero impatto economico dei dazi? Di preciso non si può dire, perché è grande l’incertezza legata agli effetti sulla riorganizzazione internazionale delle filiere e sui prezzi al consumo e all’eventuale estensione dei dazi a un secondo gruppo di prodotti.

Quello che è certo è che nessuno ne uscirà vincitore. Forse neppure lo stesso Trump, che ha lanciato una pericolosa sfida alla Cina per ottenere incerti benefici politici a brevissimo termine – il sostegno elettorale, alle elezioni di mid term di novembre, degli stati della rust belt a cui ha promesso di riportare posti di lavoro nella manifattura – in cambio di effetti negativi che certamente colpiranno numerosi segmenti dell’economia americana (e non solo) nel medio termine. Le prime vittime sono i produttori della farm belt, che hanno nella Cina il primo mercato per l’export per la soia (oltre 12 miliardi di dollari esportati nel 2017, il 60 per cento delle vendite all’estero). Già messi alla prova dal calo del prezzo, il 13 per cento in meno nell’ultimo mese (un effetto della maggior produzione per l’estensione delle aree coltivate), saranno i primi colpiti dalle contromisure cinesi sulle importazioni americane, al pari degli allevatori di suini.

Il piano di Trump

Il gioco di Trump è ambizioso perché il paniere di prodotti che compone le esportazioni statunitensi verso la Cina è molto più concentrato di quello cinese verso gli Stati Uniti. La prima voce esportata in Cina, i semi di soia appunto, vale quanto la somma dei successivi dieci prodotti colpiti dai controdazi cinesi. Di conseguenza, all’interno degli Stati Uniti avverrà una evidente redistribuzione di reddito e lavoro dalla farm belt alla rust belt e non si sa fino a quale livello di perdite economiche le imprese potranno e saranno disposte a sopportare per sostenere il progetto politico di America first.

Peraltro, sono molto incerti anche gli stessi benefici in termini di maggiore occupazione nei settori che si vorrebbero protetti dalla concorrenza cinese attraverso i dazi. Se l’esperienza insegna, le ultime dispute commerciali con la Cina non hanno portato benefici ai lavoratori statunitensi. Dopo i dazi fino al 30 per cento sull’acciaio imposti nel 2002 da George Bush, si sono persi circa 200 mila posti di lavoro nel settore manifatturiero nazionale (dati ripresi da uno studio della Consuming Industries Trade Action Coalition). Nel settore metallurgico, che allora impiegava circa 197 mila lavoratori, la protezione garantita dai dazi ha permesso di conservarne solo tra 3 mila e 10 mila (dati Piie).

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Anche i produttori statunitensi di macchinari e prodotti elettronici con catene di fornitura in Cina registreranno un aumento dei costi degli intermedi e li riverseranno sui prezzi al consumo. Sebbene infatti i beni al consumo non siano inclusi nel primo round di dazi (che riguardano principalmente componenti elettroniche di auto, motori aerei, compressori e altri macchinari), il loro costo effettivo in ultima istanza ricade sempre sui consumatori, come è già avvenuto per le lavatrici, il cui prezzo da gennaio è aumentato dell’8 per cento. L’effetto inflazionistico dei dazi, sia alla produzione sia al consumo, avrà l’unico vantaggio di mostrare chiaramente il beneficio del commercio con la Cina in termini di posti di lavoro creati e di contenimento dei costi di produzione: proprio quei benefici che in campagna elettorale Trump ha negato, sottolineandone soltanto i costi.

Il presidente Usa spera in questo modo di vincere l’appuntamento elettorale del prossimo autunno e nel frattempo di ridurre il disavanzo commerciale con la Cina, per poter giustificare i sacrifici di molti settori. Ma, a ben vedere, anche questo effetto non è così scontato. Innanzitutto, non è detto che il disavanzo degli Stati Uniti si riduca per effetto dei dazi, perché la quota di export Usa verso la Cina è aumentata dal 2000, a differenza di quella cinese verso gli States, che invece si è ridotta (vedi figura 1).

Figura 1

Inoltre, è vero che degli 811 miliardi di dollari di disavanzo in termini lordi nel 2017, ben 376 erano in capo alla Cina. Tuttavia, secondo i dati Ocse sui flussi di commercio in valore aggiunto, in media circa un terzo del valore esportato dalla Cina proviene dall’estero, contro il 15 per cento negli Stati Uniti. Nei più rilevanti settori esportatori cinesi – elettronica, computer e macchinari elettrici – il valore aggiunto domestico non supera di molto il 50 per cento. Gran parte dell’altra metà proviene dalle economie avanzate dell’Asia e dagli Stati Uniti. Ciò significa che il vero valore del disavanzo degli Stati Uniti con la Cina (che proviene soprattutto da quei settori e dal tessile) si riduce a circa la metà.

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Così se il disavanzo lordo con la Cina suggerisce una perdita di competitività degli Stati Uniti a partire dalla metà degli anni Novanta, in realtà i dati in valore aggiunto mostrano il contrario: gli Stati Uniti oggi contribuiscono ancora ampiamente alla produzione nei settori delle tecnologie dell’informazione, ma gran parte della produzione avviene fisicamente in Cina. Voler riportare questi posti di lavoro in America a suon di dazi è nel migliore dei casi inutile (in parte già avviene per effetto del differenziale salariale Usa-Cina, molto ridotto se non addirittura invertito), nel peggiore è controproducente, perché comporta molti più costi che benefici per chi li impone e per tutti gli altri. Soprattutto per i produttori esteri che servono il mercato americano rifornendosi in Cina, principalmente quelli europei, obiettivo indiretto di America first.

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  1. CINCERA

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    I Dazi di TRUMP e via discorrendo : Una Tassa sugli introiti miliardari degli speculatori mondiali Che NON Altera minimamente il paradigma BUSINESS AS USUAL. America First E’ un’altra cosa : Una scossa elettrica Geopolitica : Par Tanti Versi Positiva…

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