Lavoce.info

Tutto quello che avreste voluto sapere sulle pensioni

La spesa per pensioni nel 2017 è stata di 286 miliardi di euro, il 16,4 per cento del nostro Pil. Lo certifica un rapporto dell’Inps, che ne descrive le principali caratteristiche. È un’analisi utile per andare oltre gli slogan su un tema così complesso.

Il rapporto dell’Inps

A fine ottobre l’Inps ha pubblicato un breve rapporto con informazioni relative alla dimensione e alla composizione della spesa per pensioni in Italia al 31.12.2017.
In un periodo di annunci e promesse di cambiamento, può essere molto utile dare uno sguardo alle statistiche relative alla più importante componente della spesa pubblica italiana, per capirne il peso e le principali caratteristiche.

Nel corso del 2017 la spesa totale per le prestazioni erogate dal sistema pensionistico italiano è stata pari a 286 miliardi di euro, ovvero il 16,4 per cento del prodotto interno lordo. Se le prestazioni sono circa 23 milioni, i pensionati sono poco più di 16 milioni: questo significa che, in media, ogni pensionato percepisce 1,4 pensioni. Più in dettaglio, il 66 per cento dei pensionati percepisce una sola pensione; il 26 per cento ne ha due e il restante 8 per cento tre o più.

Questi numeri ci aiutano a capire perché il tema delle pensioni sia oggi – e sarà in futuro – al centro del dibattito di politica economica del nostro paese. Nel 2017 un italiano su quattro ha percepito almeno una pensione. L’invecchiamento della popolazione lascia presagire che nei prossimi decenni la quota sia destinata a crescere.

La pensione delle donne

La spesa corrente è per molti aspetti frutto e conseguenza delle dinamiche passate del mercato del lavoro. L’importo medio del reddito pensionistico, ovvero la somma delle prestazioni in capo a ogni pensionato, è di quasi 21 mila euro per gli uomini e di 15 mila euro per le donne. Il differenziale di genere è quindi pari al 28 per cento, a favore degli uomini. Non solo, mentre tra gli uomini sono prevalenti le pensioni di vecchiaia e anzianità, per le donne sono le pensioni di reversibilità e quelle assistenziali a farla da padrone. Il modello produttivo del passato, con l’uomo capofamiglia spesso unico produttore di reddito da lavoro e la donna casalinga e quindi non produttrice di reddito monetario, trova oggi una conferma nella composizione della spesa per pensioni. In termini numerici sono le donne a essere in maggioranza (8,4 milioni contro 7,6 milioni di uomini). Questa caratteristica è spiegata completamente dalla netta prevalenza femminile nella classe di età superiore agli 80 anni, a causa della loro maggiore aspettativa di vita.

Leggi anche:  Fondi pensione tra crisi e nuove sfide*

Un altro ambito dove il sistema pensionistico italiano rispecchia quanto accade nell’economia è quello relativo alla distribuzione territoriale delle risorse. Al Nord e al Centro l’importo medio del reddito pensionistico è più alto rispetto al Mezzogiorno. Inoltre, le pensioni che traggono origine dal versamento di contributi sul mercato del lavoro prevalgono nella parte del territorio più ricca; la quota che invece ha origine assistenziale è più diffusa dove i redditi e l’occupazione sono più bassi. Il differenziale nei redditi da pensione è anche qui importante, ma meno che tra uomini e donne: 19 mila euro circa al Nord e al Centro, contro poco meno di 16 mila euro nel Mezzogiorno – a testimonianza del ruolo perequativo giocato dal sistema pensionistico italiano.

Il valore dell’assegno

Aspetti di grande interesse derivano dall’analisi della distribuzione delle pensioni e del reddito pensionistico per classe di importo. L’aneddotica relativa alla diffusione di un numero elevato di pensioni di importo molto basso trova qui qualche parziale conferma. Soprattutto, però, ha conferma l’evidenza che in un sistema che eroga 23 milioni di prestazioni la questione deve essere esaminata con attenzione molto maggiore di quanto si fa nei “talk show”. Il rapporto dell’Inps ci informa infatti che le pensioni di importo fino a mille euro mensili lordi erano pari al 63 per cento del totale e coprivano nel 2017 il 31 per cento della spesa complessiva. In questa prospettiva, il sistema pensionistico italiano appare come distributore di un numero molto elevato di importi bassi, incapaci di fornire un valido contrasto alla povertà. A conferma, se restringiamo l’osservazione alle prestazioni di importo inferiore a 500 euro mensili, troviamo che erano pari a 5,7 milioni, il 25 per cento del totale delle prestazioni erogate.

Il quadro cambia se consideriamo i redditi pensionistici e non le singole pensioni. In questo caso, a finire sotto la soglia dei mille euro mensili sono il 25 per cento circa delle prestazioni. La quota si riduce al 12,5 per cento del totale se la soglia è posta a 500 euro mensili. Si tratta di circa 2 milioni di persone, in maggioranza donne, per le quali la pensione è presumibilmente la fonte principale di reddito. Poiché non abbiamo informazioni sulla composizione famigliare e sulla disponibilità patrimoniale, tuttavia, non siamo in grado di qualificare quanti di questi soggetti possano essere definiti “poveri”.

Leggi anche:  C'era una volta la perequazione automatica delle pensioni

Cosa accade dall’altro lato della distribuzione? Selezionando i percettori di reddito pensionistico di importo superiore ai 5 mila euro abbiamo una buona approssimazione dei “super” pensionati. Non sono ancora i pensionati d’oro, il cui reddito da pensione è superiore a 6.900 euro, ma sicuramente sono soggetti che, dal punto di vista finanziario, vivono una vecchiaia serena. Si tratta di 266 mila individui, in grande maggioranza uomini. Sono l’1,7 per cento del totale e a loro arriva il 7,6 per cento del totale della spesa per pensioni. Anche in questo caso, i numeri non sono molto differenti da quelli che si trovano in analisi distributive relative ai redditi da lavoro.

Per quanto riguarda la componente assistenziale della spesa per pensioni, si tratta di 4,5 milioni di prestazioni, per un importo complessivo di 23 miliardi di euro all’anno. All’interno vi si trovano pensioni e assegni sociali, pensioni di invalidità civile e indennità di accompagnamento. Una testimonianza numerica del ruolo cruciale che il sistema pensionistico italiano occupa nel contrasto alla povertà e alla non autosufficienza all’interno della popolazione anziana.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Pensioni senza un'idea di futuro

Precedente

Ma TrenAlitalia rischia la bocciatura dell’Antitrust

Successivo

Equal pay day: per le donne due mesi di lavoro senza paga

26 commenti

  1. Marcello Romagnoli

    Chiedo cortesemente al prof. Mazzaferro se i 286 miliardi di euro spesi dallo Stato siano lordi o netti.
    Se lordi non sarebbe più corretto per la sostenibilità delle finanze pubbliche, citare il valore netto visto che una parte non piccola di questi ritornerebbero nelle casse dello stato e costituirebbero una partita di giro?

    Inoltre perchè parlare di spesa e non, per una certa percentuale non piccola, di salario differito visto che una importatnte parte dei miliardi erogati sono stati in precedenza versati dal lavoratore. Usare il termine “spesa” forse sarà corretto da un punto di vista formale, ma non lo è completamente da un punto di vista reale.

    Infine la spesa pensionistica è un volano non indifferente per quanto riguarda il mercato interno che vive anche degli acquisti dei pensionati. Ridurre le pensioni per fare cosa poi? Garantire gli interessi sui titoli di stato a chi li ha comprati, spesso banche, fondi e solo in misura minore famiglie e aziende, a differenza di quello che spesso si sente dire sui mass media? Se devo scegliere, scelgo le famiglie e aziende per motivi morali ed economici.

    • carlo mazzaferro

      Gentile Marcello, grazie del commneto. La nota inps non può pubblicare i valori netti semplicemente perché non conosce il valore delle pensioni nette. Al più conosce il valore delle pensioni al netto della trattenuta alla fonte, che però è solo a titolo di acconto. La pensione lorda infatti si somma ad altre voci nell’imponibile del pensionato e solo dopo il calcolo dell’imposta è possibile avere una misura del reddito (non della pensione) netto. A quanto so anche altre voci come le retribuzioni, i rendimenti sui titoli di stato etc, vengono sempre espressi al lordo. Io nel testo non parlo mai di sostenibilià (questione che con un dato puntuale non può essere affrontata). Mi limito a commentare dei numeri, che forse non sono troppo noti. Stessa valutazione sulla questione se le pensioni stimolino o meno la domanda aggregata.

      • Marcello Romagnoli

        Grazie per la gentile risposta. A me interessa molto la sostenibilità.

        Infatti troppo spesso si sente parlare di spesa per le pensioni senza mai dire se è lorda o netta. Le cose cambiano molto, moltissimo. Tanto cambiano che considerando il lordo l’Inps va in rosso, considerando il netto, se lo Stato restituisse l’ammontare almeno di una parte delle tasse pagate dai pensionati, l’Inps risulterebbe in attivo. Cambiano le cose vero? Cambiano talmente che in un caso c’è chi grida alla necessità di tagliare le pensioni, nell’altro caso non ne avrebbe motivo.

        Mi permetta di fare una digressione, ma che poi non si allontana tanto dal tema perchè riguarda sempre come si vogliono guardare le cose. Parlo della cosiddetta minore produttività del lavoro in Italia, usata per giustificare una stretta agli stipendi o una flessibilizzazione del lavoro ( = ti licenzio quando voglio). Mi sono sempre chiesto se era dovuta ai lavoratori italiani più pigri o ad altro. Mi sono convinto che se dai a un lavoratore una pala per scavare una fossa, per quanto stakanovista sia, avrà sempre una produttività inferiore a uno che ha una ruspa. Il problema è dal lato datore del lavoro che non investe, non del dipendente.

        Basta guardare il problema da due punti di vista diversi e tutto cambia.

        Sarebbe interessante avere dati anche sul fatto “lordo” e “netto”

      • Gianni

        Per completezza, è data la natura redistributiva del sistema a ripartizione, occorrerebbe citare anche le entrate contributive in rapporto al pil. Scopriremmo così che esse sono in perfetto equilibrio con la spesa pensionistica, anche se molti anni Le entrate hanno superato al spesa.

    • Silvestro De Falco

      Sono d’accordo con lei. Usare il termine “spesa” non solo non è corretto, neanche formalmente, ma è fuorviante.
      Non è corretto perché, specialmente ora che vige il sistema a contributi definiti, i contributi versati diventano automaticamente un debito dell’INPS nei confronti del lavoratore. Al massimo, la spesa vera e propria è rappresentata dalla rivalutazione, cioè dalla differenza fra l’importo della pensione e i contributi versati. E’ come con le banche. Quando il correntista preleva dal suo conto, il flusso monetario in uscita non è una spesa. Inoltre, è fuorviante perché la parola spesa suggerisce che il pensionato riceve una somma che può essere anche ridotta in una logica di contenimento dei costi, quindi di qualcosa di cui si può fare a meno. Sarebbe più opportuno usare il termine esborso.

      • Gianni

        Grazie al sistema di calcolo contributivo, la spesa o meglio L esborso pensionistico e’ in media pari alle entrate. Dunque che importanza può avere il rapporto col pil?

        • Silvestro De Falco

          Non mi risulta che nel sistema contributivo l’esborso pensionistico sia pari alle entrate. Come è arrivato a questa conclusione?

          • Gianni

            Nel sistema contributivo la rendita vitalizia media attuariale viene determinata sul montante contributivo maturato. In altri termini la pensione viene calcolata ripartendo, nella vita residua media, il valore dei contributi accumulati. Se la base attuariale, le c’è tavole di mortalità, sono corrette, l equilibrio è, a regime, matematicamente assicurato.

          • Silvestro De Falco

            Il suo ragionamento varrebbe se il sistema contributivo fosse a capitalizzazione o funded, cioè se i contributi fossero effettivamente accantonati.
            Il sistema contributivo italiano invece è a ripartizione – lo chiamano NDC, Notional Defined Contributions – quindi l’equilibrio attuariale è dato dall’uguaglianza fra le pensioni erogate e i contributi ricevuti dai lavoratori. Ecco perché ci si preoccupa per la bassa natalità.

          • Gianni

            Mi spiace contraddire ma se fosse come sostiene basterebbe distribuire ogni anno, tra tutti i pensionati, l ammontare dei contributi riscossi dai lavoratori attivi. Non si deve confondere, infatti, il sistema di calcolo, retributiv o contributivo, col sistema tecnico di gestione a capitalizzazione o a ripartizione.

          • Silvestro De Falco

            Non si dispiaccia, ci mancherebbe altro.
            È esattamente quello che si fa, si distribuisce ogni anno l’ammontare dei contributi riscossi dai lavoratori attivi.
            Solo che l’equilibrio permane fino a quando ci saranno contributi sufficienti a pagare le pensioni. D’altro canto, se diminuiscono le nascite e diminuiscono i lavoratori, diminuiscono anche i contributi ed è a quel punto che il sistema non riesce più a finanziare l’esborso pensionistico.
            Consideri due piatti di una bilancia, da una parte quello delle pensioni e dall’altra quello dei contributi. Se quest’ultimo si alleggerisce o – il che è lo stesso – il primo si appesantisce, non c’è più equilibrio. Non consideriamo per non dilungarci il caso in cui non c’è equilibrio quando lo squilibrio è determinato dall’eccesso di contributi in relazione all’esborso pensionistico.
            Nella valutazione di un sistema pensionistico bisogna distinguere fra il sistema di calcolo – che può essere a contributi definiti o a benefici definiti (contributivo e retributivo come da lei indicato) – e il sistema di finanziamento che, come giustamente osserva anche lei, può essere a capitalizzazione o a ripartizione.
            A pensare che l’equilibrio attuariale debba essere ricercato solo nel sistema di calcolo, ignorando la fonte di finanziamento si commette un grave errore. Non si preoccupi, è lo stesso errore che hanno fatto coloro che hanno ridisegnato il sistema previdenziale italiano nel 1995, compreso Modigliani. E’ in buona compagnia.

          • Gianni

            In un sistema puro a ripartizione c è sempre equilibrio, basta distribuire L ammontare dei contributi riscossi tra tutti i pensionati. Qualche anno andrà meglio, qualche anno andrà peggio, ma L equilibrio è assicurato. Se invece si vuole una pensione di importo fisso, occorre calcolarla in qualche modo, e qui ci aiuta la matematica attuariale che ci fornisce la basi tecniche per uguagliare i montanti alle rendite vitaliazie. Se anche Modigliani ha ragionato così, forse, non sarà un errore.

          • Silvestro De Falco

            Un sistema puro a ripartizione, dove c’è sempre l’equilibrio, è guidato (“driven”) dall’ammontare dei contributi riscossi dai lavoratori. In presenza di una variazione strutturale – come il calo delle nascite – c’è il rischio che non ci siano risorse sufficienti a estinguere le passività determinate dalle rendite vitalizie.
            È ovvio che in previsione di tale calo, si pone la necessità di far sì che le rendite vitalizie siano tali da essere sempre in equilibrio con i contributi, per esempio formulando aspettative di vita senza tener conto dell’anno di nascita, fra le altre cose.
            A questo punto il sistema non ha più motivo di esistere, perché non serve più ad attenuare il rischio di povertà in vecchiaia ma addirittura ad accentuarlo. Mi sa che Modigliani avrebbe dovuto pensarci su meglio.

        • Silvestro De Falco

          Oh meno male, abbiamo finalmente accettato il principio che deve esistere un equilibrio fra uso e fonti di finanziamento.

  2. Tino

    Aggiungerei che i pensionati versano all’ Agenzia delle Entrate ben 54 miliardi di tasse prelevate alla fonte. E’ un argomento che meriterebbe un viusto rilievo. Se da qualche parte vengono prelevati, da qualche parte arrivano per essere ben utilizzati. Cordialita’

    • carlo mazzaferro

      Gentile Tino, grazie della risposta. La tassazione sulle pensioni in Italia è più alta che nel resto d’Europa. La medesima cosa accade però sui redditi da lavoro. Inoltre se le pensioni le calcoliamo al netto delle imposte allora mi sembrerebbe metodologicamente calcolare anche il pil (prodotto interno LORDO) al netto delle imposte

      • Marcello Romagnoli

        Scusi, ma le tasse non scompaiono, ma fanno parte, anzi stimolano il PIL, quindi che senso ha parlare di PIL netto?

        Sarebbe allora più sensato parlare di PIL dopo il pagamento degli interessi sul debito contratto con stranieri. Quelli si che sono soldi che escono dalla nostra economia.

    • amadeus

      E’ un argomento inconsistente e fallace. Vedi sopra la risposta al sig. Pessa.

    • carlo mazzaferro

      Gentile Tino, mi devo correggere. Il Pil è al lordo di ammortamenti e imposte, ma solo indirette. Cordialmente

  3. Savino

    L’INPS fino al 1995 circa era un guazzabuglio indicibile. I contributi sul cartaceo non sono mai stati veritieri, i fondi speciali crescevano come funghi, le eccezioni erano più delle regole, ogni 3-4 anni lavorati ne avevi 1 di abbuono, lo stesso retributivo nasceva dal fatto che si erano smarriti 35 anni di buste paga mente l’ultima la possedevi. L’area welfare era nelle mani di persone spudorate, con l’abbondanza di false attestazioni in atto pubblico. Non ha mai pagato nessuno per questo.

  4. Piero Pessa

    Sono d’accordo con Tino: l’incidenza delle pensioni sul Pil bisognerebbe farla sul netto percepito non sul lordo, come in altri paesi europei. E’ una partita di giro: le tasse pagate dai pensionati rientrano nelle casse dello stato.

    • amadeus

      Ancora con questa storia delle tasse sulle pensioni: l’incidenza su PIL si calcola inequivocabilmente sul lordo per il semplice motivo che la quota di contributi prelevata al resto dell’economia (cioè a chi lavora) è quella lorda non quella netta. Sveglia, finiamola con questa storia. Altrimenti basta dire che le tasse sulle pensioni non sono a carico dei pensionati ma dei lavoratori attivi. Magie del sistema retributivo (pay-as-you-go).

    • Silvestro De Falco

      L’incidenza delle pensioni – e automaticamente delle tasse che i pensionati devono pagare – sul PIL serve a misurare l’onere di questi esborsi sull’economia, visto che i relativi pagamenti avvengono mediante prelievo sul lavoro e sulle imprese. Peraltro, le tasse sulle pensioni non sono incassate a titolo definitivo ma restano come debito per l’INPS, quindi per lo Stato, nei confronti di coloro che hanno pagato i contributi, vale a dire i futuri pensionati.

  5. Antonio Chiaraluce

    L’ultima frase, posta dopo il riferimento all’assistenza sociale, dimostra quanta confusione c’è sull’argomento. sistema previdenza.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén