Gli italiani mostrano una maggiore attitudine a riprendere le consuetudini pre-pandemia rispetto a qualche settimane fa. Aumenta però anche lo scetticismo sul grado di preparazione del paese nell’affrontare il virus. I risultati di un nuovo sondaggio.
Come cambiano abitudini e aspettative
Il graduale riavviamento del paese dopo il lockdown avviene in una situazione di grande incertezza, sia sullo sviluppo epidemiologico e sulla tempistica di un eventuale vaccino, sia sulle conseguenze sociali ed economiche delle misure di contenimento. Capire le attitudini e ciò che gli italiani si aspettano dal futuro è importante per fare previsioni riguardo ad alcuni di questi aspetti, ad esempio la ripresa dei consumi. Data l’eccezionalità del periodo, però, le aspettative possono evolvere in maniera molto rapida.
Per capire le intenzioni degli italiani tra il 30 aprile e il 1° maggio, in collaborazione con Swg, avevamo effettuato un sondaggio su un campione rappresentativo della popolazione italiana (839 individui) da cui è emersa una diffusa prudenza nel riprendere le consuetudini pre-pandemia. Tra il 20 e il 21 maggio, abbiamo ripetuto lo stesso questionario, questa volta su un campione di 953 persone, per capire se le aspettative si sono modificate.
In tre settimane vi è stato un sostanziale miglioramento delle attitudini degli italiani. Vi è un aumento a due cifre nella percentuale di coloro che ritengono opportuna la riapertura di varie attività commerciali, con gli alberghi che passano dal 41 al 69 per cento e bar e ristoranti dal 48 al 72 per cento. Con poche eccezioni, la maggioranza degli intervistati è ora a favore della ripresa delle varie attività incluse nella rilevazione. Un’eccezione, complice forse l’avvicinarsi dell’estate, riguarda le scuole, alla cui riapertura è favorevole solo il 29 per cento del campione. Forse in modo sorprendente, la percentuale è ancora più bassa tra coloro i quali hanno figli minorenni: 23 per cento.
Torneremo alle vecchie consuetudini?
Più importante per comprendere l’effetto economico della riapertura è l’attitudine verso il ritorno alle abitudini di frequentazione pre-pandemia. Anche in questo caso, la comparazione tra le due rilevazioni mette in luce un atteggiamento di maggiore apertura. Mentre, ad esempio, a fine aprile solo il 35 per cento degli intervistati aveva intenzione di frequentare bar e ristoranti in caso di riapertura, nel secondo sondaggio la percentuale sale al 57 per cento. Nonostante l’aumento, la volontà di tornare a usufruire dei vari servizi rimane “minoritaria” per la maggior parte delle attività, comprese palestre e piscine, cinema e teatri, alberghi e trasporti. Anche in questo caso, il valore più basso è per la scuola, che ora solo il 29 per cento farebbe frequentare ai figli.
Come nella prima indagine, il giudizio di opportunità sulla riapertura è generalmente superiore all’intenzione di frequentare personalmente. Questo conferma come nel formulare il giudizio di opportunità non venga presa in considerazione solo la convenienza personale, ma ulteriori fattori, quali, ad esempio, la necessità per altri utenti o le difficoltà economiche dei fornitori del servizio. Sotto questo punto di vista, è indicativo che con l’avvicinarsi dell’estate la categoria degli alberghi sia quella per cui il giudizio di opportunità aumenta di più, mentre l’intenzione di frequentarli mostra sì una crescita significativa, ma più modesta.
Tra le due rilevazioni si conferma che il giudizio circa l’intenzione di frequentare una determinata attività da parte di altre persone è per tutte superiore alle intenzioni personali. Si va però verso una convergenza, visto che la crescita riguardo alle proprie intenzioni è generalmente superiore alla crescita riguardo alle intenzioni altrui.
Scetticismo verso il grado di preparazione
L’aumento nell’attitudine a tornare progressivamente alla normalità non è dovuto a un miglioramento significativo del giudizio sull’esistenza delle condizioni necessarie per la “fase 2”, riassunte nella domanda nella frase “bassa trasmissione della malattia, servizi sanitari non sovraccarichi, abilità di testare tempestivamente i casi sospetti, e risorse adeguate per il tracciamento dei contatti”. Come a fine aprile, per il 9 per cento degli intervistati “siamo ancora molto lontani” dall’obiettivo, mentre aumenta dal 14 al 20 per cento la quota di coloro i quali ritengono che ci vorranno ancora alcuni mesi per raggiungere quelle condizioni. Nella rilevazione di aprile, il 33 per cento degli intervistati riteneva che ci fossero già le condizioni necessarie per raggiungere la “fase 2”, mentre per il 44 per cento servivano ancora alcune settimane. Nonostante siano passate tre settimane, la percentuale di chi ritiene che ci siano le condizioni è aumentata solo di cinque punti, al 38 per cento, mentre il 33 per cento pensa che serviranno ancora altre settimane. Emerge quindi una certa disillusione, probabilmente sulla capacità di testare e, soprattutto, di tracciare gli eventuali infetti.
Ciononostante, si nota un miglioramento delle aspettative circa la possibile reintroduzione delle misure di isolamento a causa di una seconda ondata dell’epidemia. Cresce di dieci punti percentuali, dal 22 al 32 per cento, la quota di campione che pensa che provvedimenti di isolamento sociale non saranno più reintrodotti, mentre si riduce dal 20 al 12 per cento la quota di coloro che pensano che un nuovo lockdown sarà necessario già qualche settimana dopo la fine del primo.
La discrepanza tra peggioramento delle aspettative sul grado di preparazione del paese e il miglioramento delle attitudini verso il ritorno (e il permanere) della normalità può essere dovuta a una volontà di essere ottimisti al di là dei fatti o a una maggiore fiducia nella capacità delle persone di tenere comportamenti responsabili nella fase in cui le restrizioni vengono allentate.
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Lorenzo
Ovviamente se un’estetista avesse detto non c’è sicurezza a frequentare il salone si sarebbero viste le stesse percentuali riferite alla scuola
Savino
Bisogna fermare la tentazione tutta italica di tornare alle vecchie consuetudini e, soprattutto, ogni ripartenza non può prescindere da un abbondante ricambio generazionale e di genere in tutti i settori della vita sociale, perchè, a dispetto delle questioni sanitarie, i più fragili socialmente sono giovani e donne.
toninoc
Toninoc 1) L’ottimismo, il pessimismo o altre sensazioni provate da moltissimi cittadini sono quasi sempre condizionate dalle notizie date nei vari tg o nelle trasmissioni tv dedicate alla pandemia e si alternano a seconda di chi le trasmette. Se parla il presidente della Lombardia si induce all’OTTIMISMO, se parla un epidemiologo o un virologo si frena l’ottimismo e si induce al REALISMO. Se parla qualche assessore, Sardo o Lombardo o di altra regione, si è indotti alla DISPERAZIONE per la manifesta incompetenza dimostrata dall’argomentare di molti di essi. Io vorrei essere ottimista ma la realtà e la mia età mi inducono alla cautela perché il maledetto virus è ancora tra di noi (Lombardia insegna) e l’incognita degli a-sintomatici è in tutto il mondo, Italia compresa. SEGUE
toninoc
Toninoc 2) L’ INSICUREZZA è invece dovuta principalmente alle manifeste omissioni della verità per la paura che la stessa possa generare reazioni indesiderate nell’opinione pubblica. Dall’inizio della pandemia siamo stati sommersi di dati in modo volutamente confuso per non farci capire che era in atto un’ECATOMBE di anziani a causa dell’impreparazione di tanti AMMINISTRATORI e FUNZIONARI PUBBLICI , di oggi e di ieri, che si rimpallano vicendevolmente le responsabilità della Waterloo sanitaria. Se ne sta occupando la MAGISTRATURA ma con i tempi che corrono …….regna il PESSIMISMO.