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La scelta di Cameron

Cameron ha indetto il referendum sull’appartenenza del Regno Unito all’Unione europea. Rimandandolo, però, almeno al 2017, quando i conservatori potrebbero non essere più a Downing Street. La soluzione migliore, anche secondo gli Stati Uniti. Ma sono possibili altri scenari.

UN NUOVO ESAME PER L’UNIONE

Il primo ministro inglese, David Cameron, ha finalmente svelato le sue intenzioni quanto al temuto/sospirato referendum sull’appartenenza del Regno Unito alla Unione Europea.
Anzitutto, il referendum non si terrà subito, ma nel 2017 o nel 2018. Ciò però a condizione che i conservatori vincano le elezioni politiche del 2015. Se le perdono, non se ne fa più niente. Inoltre, il referendum non sarà presentato come una scelta tra il mantenimento dello status quo o l’uscita dalla UE, bensì tra quest’ultima e l’adesione alla stessa su diverse basi; basi che Cameron desidera rinegoziare con i partner europei tra il 2015 e la data del referendum. A quanto sembra di capire il primo ministro ripropone la vecchia idea secondo la quale il Regno Unito deve aderire sostanzialmente solo alle regole del mercato comune: l’Unione sarebbe per Londra solamente un’area di libera circolazione delle merci, dei servizi, dei capitali e dei lavoratori. Infine, Cameron ha affermato che, in quanto non isolazionista, personalmente sosterrà l’idea della permanenza del Regno Unito in Europa e non della sua fuoriuscita.
Insomma, per l’Europa i referenda non finiscono mai. Il paradosso di queste iniziative è che sono il contrario di quello che appaiono, ossia sono falsi esercizi di democrazia. Per un verso, il corpo elettorale non potrà mai avere una conoscenza adeguata né delle attuali conseguenze derivanti dall’adesione all’Unione, né delle implicazioni future di un’eventuale fuoriuscita. E una scelta disinformata è con ogni probabilità una scelta sbagliata. Per altro verso, nelle democrazie, i governi e parlamenti esistono proprio per prendere le decisioni che, per la complessità dei loro presupposti e dei loro sviluppi, non possono essere adottate in modo diretto dal popolo. Dunque Cameron, per evidenti ragioni di politica interna, sta chiedendo ai suoi fellow citizens di compiere una valutazione che invece lui e il parlamento avrebbero il diritto-dovere di fare, in quanto a loro i cittadini inglesi hanno affidato la rappresentanza e l’esercizio della volontà popolare.

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QUATTRO SCENARI POSSIBILI

Gli esiti della mossa di Cameron sono molto incerti e si possono formulare almeno quattro ipotesi.
Soluzione “tutto è bene quel che finisce bene”: la prima, più semplice ipotesi, è che Cameron perda le elezioni politiche del 2015. Probabilmente questa circostanza chiuderebbe per molto tempo la questione dell’appartenenza del Regno Unito alla UE, perché gli elettori inglesi avrebbero espresso esplicitamente e democraticamente la loro volontà di rimanere nell’Unione alle condizioni esistenti.
Soluzione “Gattopardo”: un secondo esito è che, vinte le elezioni, Cameron e i partner europei perseguano una soluzione gattopardesca, come quella presa con il trattato di Lisbona. Quest’ultimo fu adottato dopo che Francia e Olanda avevano rigettato mediante referendum la costituzione per l’Europa. Ma di quella costituzione il trattato di Lisbona rappresenta, al netto delle modifiche formali, un sostanziale duplicato. Dunque si cambiò tutto, perché tutto rimanesse come era stato stabilito dai governi degli Stati membri. Questa soluzione potrebbe essere favorita dal fatto che, dopo il rafforzamento dell’integrazione tra gli Stati dell’Eurozona attualmente in corso, il Regno Unito si troverà già in posizione marginale e dunque si tratterebbe di ratificare l’esistente, mediante adeguata cosmesi.
Soluzione “Europa bipolare”: un terzo possibile esito è che, al contrario, il Regno Unito cerchi e ottenga una rinegoziazione sostanziale della sua attuale partecipazione alla UE. Un simile risultato però aprirebbe la strada ad analoghe rivendicazioni da parte di altri paesi euroscettici, con la conseguenza che l’Unione tenderebbe a gravitare tra due poli ben distinti. Da una parte, il polo “a bassa integrazione” guidato dal Regno Unito e, dall’altro, il polo “a integrazione rafforzata” costituito dall’Eurozona. In mezzo, gli Stati non appartenenti né all’uno né all’altro, che sarebbero però costretti nel tempo a scegliere uno dei due modelli.
Soluzione “Bye bye, UK”: l’ultimo scenario è che i partner dell’Unione si rifiutino di rinegoziare le condizioni di adesione del Regno Unito. Cameron ha infatti promesso ai suoi concittadini ciò che lui, da solo, non può garantire, ossia che gli altri Stati membri siano d’accordo a concedere uno status particolare alla Gran Bretagna. Occorre però ricordare che le modifiche dei Trattati devono essere fatte all’unanimità e, dunque, se uno solo dei restanti 27 Stati (dal 1º luglio 2013, anche la Croazia sarà membro a tutti gli effetti) non acconsente a concedere tale status, il negoziato invocato da Cameron non si chiude. In tal caso, il primo ministro sarebbe costretto a proporre la scelta referendaria tra il mantenimento dello status quo oppure l’uscita secca da tutta l’Unione (prevista dall’articolo 50 del Trattato UE). E dopo lo smacco del mancato negoziato sarebbe molto probabile che gli inglesi optassero per quest’ultima.
E gli altri partner europei? Quale posizione dovrebbero tenere gli altri partner europei di fronte a questo ulteriore contorcimento inglese? A mio avviso, occorre escludere sia la soluzione gattopardesca – che umilierebbe gli inglesi – sia quella bipolare che, al contrario, accorderebbe al Regno Unito quello che desidera senza nessuna contropartita. Non resta che tifare perché gli inglesi stessi si rendano conto dell’errore che potrebbero commettere e boccino Cameron alle prossime elezioni politiche. Sono già stati avvertiti dal governo Usa che un Regno Unito fuori dall’Europa sarebbe molto meno interessante anche ai fini della loro (presunta) special relationship con gli Stati Uniti. Se così non fosse, gli altri partner europei non hanno alcun interesse a rinegoziare alcunché, e la soluzione del distacco rimarrebbe l’unica perseguibile. Con un caveat, che Cameron ha opportunamente evocato nel suo discorso: l’uscita del Regno Unito dall’Unione “sarebbe un viaggio di sola andata, senza possibilità di ritorno”.

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  1. massimo canali

    Un referendum sull’Europa sarebbe un esercizio di falsa democrazia? E chi dovrebbe decidere? Qualche illuminato tecnocrate o un parlamento di politici nominati dai capibastone dei partiti? Non credo che questa Europa che impone ai popoli le scelte interessate di poche élite possa avere un qualche futuro e nessuno infatti ci sta vedendo un futuro.

    • franco

      mi trovo assolutamente d’accordo. esercizio di falsa democrazia? chi può decidere se una questione è complessa oppure no per essere sottoposta alla volontà popolare? Il vero volto dell’Europa antidemocratica è chiaro a tutti ecco il perchè della sua scarsa popolarità. Ci vuole coraggio per affermare per esempio che le politiche adottate per “salvare” la Grecia siano state fatte per il bene di quel popolo, quando in realtà stanno portando il paese nel caos. Invece la scelta di Cameron è coraggiosa, in questi anni si può avviare un serio dibattito (cosa che farebbe enormemente bene anche a noi italiani) sugli effettivi vantaggi e svantaggi di mantenere la permanenza nell’UE e quindi nel nostro caso, anche nella zona Euro. dopodichè il popolo avrà gli strumenti per decidere. questa è la democrazia.

  2. Maurizio Cocucci

    La scelta di Cameron è puramente propagandistica. La Gran Bretagna non riesce ad uscire dalla crisi eppure: 1) Non ha adottato l’euro. 2) Ha una Banca Centrale indipendente che è in grado di stampare moneta a piacimento. 3) I tassi di interesse sui titoli pubblici sono bassi e solo un po’ più elevati di quelli tedeschi. 3) Non ha approvato il Fiscal Compact. Nonostante questo dicevo, non riesce ad uscire dalla crisi e sebbene abbia un tasso di disoccupazione apparentemente in linea con gli altri Stati europei registra però una notevole discrepanza al suo interno, tra un sud ed in particolare la London area con un livello contenuto ed un nord dell’Inghilterra a livelli paragonabili alla nostra Calabria. E’ nota per la sua economia di matrice liberista, eppure ha un debito pubblico ben maggiore delle economie socialdemocratiche scandinave e della stessa Germania. Questo dovrebbe far riflettere su quali cure dovrebbero essere prese e su chi gettare le responsabilità. Un referendum popolare non sarebbe risolutivo perché il popolo nella sua generalità non ha quelle competenze sufficienti per individuare la scelta più appropriata ed è per questo che si affida alla politica, perché sia essa a guidare il Paese e non a fare da semplice esecutore della volontà dei cittadini mediante referendum.

  3. Massimiliano

    Se servisse davvero votare non ce lo farebbero fare. E siccome serve, in Italia non ci hanno mai fatto votare nulla di importante circa l’Europa, se non sull’onda dell’entusiasmo degli anni 80, senza spiegazioni se non che l’Europa è bella e blu. Ma come vediamo non è rappresentativa di nessuno se non di comitati d’affari che occupano Commissioni, Parlamento (esautorato e limitato di fatto) Consigli vari… dispersiva come poche altre istituzioni, perfetto schema burocratico dove perdersi.
    Spero che Cameron segua e cavalchi anche le idee del UKIP, un partito, un’idea, che da noi manca, o è stravolta localmente.

  4. Luca

    La democrazia viene intesa da molte persone come “governo del popolo”. Non è così, e ci aggiungerei un “per fortuna”. La democrazia è semplicemente l’esercizio di delega del potere: la sovranità popolare viene trasmessa tramite il voto al Parlamento. Se fosse l’esercizio diretto del potere da parte del popolo ciò vorrebbe dire che ogni decisione presa dal governo dovrebbe essere votata direttamente dal popolo il quale non è per nulla infromato delle questioni tecniche che i governi sono chiamati ad affrontare. Quindi la decisione di Cameron mi sembra molto pretestuosa: vuole rivincere le elezioni cavalcando l’euroscetticismo del suo Paese, ma chiedendo ai cittadini britannici di scegliere di stare nell’UE. Totalmente incoerente, ma per il potere si fa ogni cosa.

  5. L’intervento di Cameron può essere letto come propone Luca una astuta mossa per essere eletto sulla base dell’euroscetticismo inglese senza pagare il “biglietto”, ma nella sua dichiarazione ci sono molti punti che Bruxelles farebbe bene a considerare con attenzione: l’efficienza del governo europeo di Bruxelles, la effettiva capacità di adottare strumenti capaci di proteggere la moneta unica sui mercati, la rappresentatività del Parlamento Europeo, la debolezza della politica “estera” dell’Europa sul teatro dei conflitti in emergenza nel mondo islamico … in fondo la struttura “europea” ha cinquanta anni è nata in un mondo molto diverso da quello attuale sia come contesto politico che come contesto finanziario e ambientale. Qualche aggiornamento non sarebbe fuori luogo.

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