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Il pasticcio della tassazione immobiliare

L’Imu è stata eliminata, ma sarà reintrodotta sotto altra forma, con minore trasparenza e coerenza con il resto del sistema tributario. Mentre si poteva scegliere una soluzione diversa, consolidando il modello della vecchia Ici. La confusione tra prelievi di natura tariffaria e impositiva.

TASSARE LA PRIMA CASA?
Il recente provvedimento di abolizione dell’Imu sulla prima casa (almeno della prima rata) e l’annuncio dell’introduzione di una service tax (la cui definizione è ancora del tutto incerta) ripropongono ancora una volta la questione di come pervenire a una ordinata e razionale struttura del prelievo immobiliare. Finora, il dibattito ha risentito di posizioni demagogiche e remunerative sul piano politico. Il risultato risente di questa impostazione, e solleva numerose perplessità.
In generale, a favore di una tassazione degli immobili (sia del loro valore o dei redditi da essi prodotti) si possono portare diverse ragioni, ma nel dibattito attuale due appaiono fondamentali, entrambe riconducibili ai principi che governano la ripartizione del carico tributario.
Il primo si lega al concetto di capacità contributiva, e quindi a obiettivi redistributivi. Il patrimonio costituisce un autonomo indicatore di capacità contributiva, complementare al reddito, soprattutto nei casi in cui la tassazione del reddito si allontani (come nel caso italiano) dall’ideale onnicomprensivo della teoria (con esenzioni, forme di tassazione separata o sostitutiva). In questo caso, l’esenzione della prima casa non trova una convincente giustificazione. In primo luogo, a parità di reddito, si ritiene che la capacità contributiva di un individuo sia maggiore nel caso in cui sia proprietario della casa in cui risiede. (1)
In secondo luogo, l’obiettivo di un’imposta patrimoniale è quello di tassare ogni bene economico dell’individuo che non è reddito e che sia a disposizione dello stesso (quindi che non sia consumato). Pur accogliendo la tesi che la proprietà della prima casa sia il frutto di un atto di risparmio del reddito, resterebbe da chiarire il motivo dell’esenzione del reddito figurativo da essa derivante, e quello invece della tassazione dei frutti di altre forme di risparmio (come gli interessi sui depositi, titoli o obbligazioni, o l’affitto percepito su case non di abitazione). (2)
In terzo luogo, esentare la prima casa implica che la tassazione immobiliare si trasformi in una imposta speciale su alcuni tipi di immobili, generando potenziali distorsioni tra forme di investimento.
Il secondo elemento si lega al principio del beneficio. L’idea è che il valore dei servizi si “capitalizzi” almeno in una certa misura nel valore degli immobili. Questo maggior valore “trasmesso” dai servizi pubblici potrebbe essere tassato con forme di imposizione straordinaria sugli incrementi di valore o con imposte su successioni e donazioni. In loro assenza, è l’imposta ordinaria sul patrimonio immobiliare che può svolgere il ruolo di “corrispettivo” dei servizi pubblici forniti dagli enti locali. Ma poiché i servizi pubblici beneficiano tutti gli immobili, l’esenzione della prima casa equivarrebbe a esentare una parte della popolazione dal pagamento dei servizi forniti dalle amministrazioni locali. In altri termini, è come se alcuni proprietari beneficiassero gratuitamente di servizi pubblici che altri devono invece pagare soltanto in ragione della scelta di non abitare la casa di proprietà. Stando così le cose, non ci sarebbero neanche molte ragioni teoriche per prevedere l’applicazione di aliquote diverse alle prime e alle altre case. Rimarrebbe in piedi la ragione che la prima casa è da tutelare sotto il profilo distributivo, ma questo poco avrebbe a che fare con il principio che l’imposta rappresenti il “prezzo” di una controprestazione di servizi.
Ne deriva che l’esenzione dall’Imu della prima casa sia un errore concettuale, sia che lo si voglia guardare come un problema di capacità contributiva, sia che lo si voglia valutare in termini di benefici dell’azione pubblica. Ovviamente, il peso della tassazione dovrebbe essere contenuto in modo tale che la stessa incida effettivamente sul reddito lasciando immune il patrimonio.
LA SERVICE TAX
Dal 2014, l’Imu dovrebbe essere abolita e al suo posto introdotta una service tax (St), che fonde in un unico prelievo il finanziamento del servizio rifiuti (Tari) e il finanziamento dei servizi indivisibili (Tasi). Questa soluzione, però, confonde prelievi di natura tariffaria e impositiva. La Tari dovrebbe essere il corrispettivo per il servizio di raccolta rifiuti, quindi una tariffa che sarebbe individualizzabile in modo soddisfacente se commisurata alla quantità di rifiuti prodotta. La soluzione proposta prevede invece che l’imposta sia commisurata alla superficie delle abitazioni, dando luogo a una patrimoniale immobiliare “mascherata”, con distorsioni potenziali peggiori di quelle derivanti dall’uso della rendita catastale. Cosa si dovrebbe fare? Semplice: scorporare la Tari dalla St e farne un’imposta separata, visibile, e commisurata alla quantità di rifiuti prodotta, recuperando la sua natura di prelievo tariffario.
La Tasi dovrebbe invece rappresentare il corrispettivo dei servizi pubblici indivisibili (come l’illuminazione stradale, la qualità delle strade, eccetera). Assume quindi la natura di imposta.
A pagare la Tasi, però, sarebbero chiamati (forse) sia i proprietari sia gli inquilini, invocando la ragione che il beneficio di alcuni servizi ricadrebbe su chi risiede nell’immobile (logica del beneficio). Ma seguendo la logica che i servizi influiscono sul valore commerciale dell’immobile, ne derivano due conseguenze: 1) è probabile che gli inquilini trovino il valore dei servizi già incorporato negli affitti (che dell’immobile costituiscono il rendimento). Chiamarli a pagare la Tasi, dunque, rappresenterebbe un duplicato economico del loro contributo. Almeno formalmente la Tasi dovrebbe dunque gravare solo sui proprietari degli immobili, il mercato determinerebbe poi l’incidenza effettiva dell’imposta; 2) sarebbe opportuno che gli enti locali adottassero la rendita catastale, per le ragioni sopra esposte con riferimento alla Tari. Ma allora saremmo di fronte a una riproposizione modificata dell’attuale Imu.
A complicare la situazione è la recentissima proposta di rendere “progressiva” la service tax. Graduare il prelievo in base alla rendita catastale, infatti, non garantisce alcuna forma di progressività, data la debolezza di quell’indicatore nel rappresentare il valore del patrimonio immobiliare. D’altra parte, condizionare il prelievo sugli immobili ad altri indicatori, ad esempio il reddito individuale o familiare, non farebbe altro che alterare il concetto di capacità contributiva o di beneficio a cui la service tax idealmente si riferisce.
Una soluzione più semplice sarebbe stata quella di eliminare la rivalutazione delle rendite catastali del 160 per cento introdotta dal Governo Monti e consolidare il modello della vecchia Ici. L’Imu sarebbe stata così ricondotta a un prelievo commisurato al patrimonio, ma sostenibile con il reddito, giustificabile in virtù del principio del beneficio, utile per le amministrazioni comunali per le sue caratteristiche di neutralità, e, soprattutto, non confuso con il finanziamento di servizi tariffabili su base individuale. Si è scelta un’altra via, quella di annunciare l’eliminazione di un’imposta che sarà reintrodotta sotto altra forma, con minore visibilità e coerenza con il resto del sistema tributario.
(1) Il patrimonio costituisce una riserva di redditi allo stato potenziale; inoltre, poiché le posizioni economiche iniziali influiscono sensibilmente su quelle finali, la disponibilità di un patrimonio permette generalmente di conseguire redditi da lavoro maggiori, “perché si può aspettare”. Si veda, ad esempio, Cosciani C. (1940), L’imposta ordinaria sul patrimonio nella teoria finanziaria, pp. 154-155.
(2) Luigi Einaudi affermava che il proprietario della prima casa è allo stesso tempo un inquilino che paga un affitto a se stesso, in luogo di pagarlo ad altri. Non tassare in qualche forma la prima casa sarebbe quindi contrario al canone dell’uguaglianza, perché mentre il proprietario di una seconda casa dovrebbe pagare un’imposta sull’affitto, il proprietario di una prima casa non dovrebbe pagare nulla col pretesto che il reddito lo percepisce da se stesso. Si veda Einaudi L. (1916), Corso di Scienza della Finanza, Terza Edizione, Edizione della rivista “La Riforma Sociale”, Torino, pp. 380-381.

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  1. Luigi Calabrone

    DEBOLEZZA DEL SISTEMA AMMINISTRATIVO ITALIANO
    Nell’Europa civile (Francia, Germania, Austria, eccetera) il sistema amministrativo degli stati è stato impostato nel Settecento, in particolare per quanto riguarda la identificazione dei beni economici ai fini dell’amministrazione pubblica, tra cui il patrimonio allora più diffuso e rilevante, quello immobiliare.
    Nei paesi civili, tra cui l’Impero austriaco, a quei tempi è stato introdotto il catasto tavolare, che ha il grandissimo pregio che i proprietari delle singole particelle hanno interesse a che i dati immessi siano corretti/aggiornati; altrimenti, ne è impedita la circolazione. Con questo sistema, il catasto si aggiorna da solo.
    In Italia questo sistema non è stato mai introdotto; anzi, nel Lombardo Veneto, dove esisteva, è stato smantellato, sostituendolo con il sistema attuale, che non da alcuna garanzia sulla completezza/aggiornamento delle partite. (Forse i notai si sono opposti per motivi di potere, alleandosi con i contribuenti che non volevano offrire informazioni corrette al Fisco? Il catasto, specie al Sud, era considerato un nemico del popolo, e nelle rivolte popolari la prima operazione dei rivoltosi era di bruciare i registri catastali. Nel periodo delle guerre coloniali, lo Stato italiano era talmente convinto della bontà del sistema tavolare, che con tale sistema iniziò a classificare le terre d’Africa appena conquistate; lì non c’erano contribuenti riottosi e appoggiati dai propri padrini politici, ed era possibile applicare un sistema amministrativo che faceva l’interesse dello Stato).
    Tanto è vero che, periodicamente, leggiamo sui giornali: “mezzo milione di immobili non censiti”, “immobili censiti via satellite”, ed altre piacevolezze/schifezze civiche. (Due decenni fa, si era cercato di fare il censimento degli immobili allacciati alla rete elettrica – il cosiddetto “catasto elettrico”; A Roma, fino a qualche tempo fa, c’erano enormi magazzini pieni delle schede pazientemente inviate dai contribuenti onesti. Sono poi state divorate dai topi, o alluvionate nell’ennesima “emergenza metereologica”. Già Garibaldi, a Napoli, aveva detto: Italiani, siate seri!).
    Maria Teresa, a suo tempo, non aveva bisogno dei satelliti e riusciva lo stesso a tenere in ordine il Catasto, mandando in giro i suoi geometri camerali.
    Se queste sono le premesse, è evidente che qualsiasi sistema di tassazione immobiliare, in Italia, parte male, perché è fondato sulla sabbia. Ne nascono ingiustizie, storture e pretesti, a favore dei contribuenti per contestare il sistema.
    Questa situazione è ancor più grave oggi, perché l’informatica oggi (ma, in realtà, da trent’anni) ha reso possibile la creazione di una base dati ineccepibile, per tutto il paese, in tempi ragionevoli. (Già si vedono questi risultati nelle province di Trento e Bolzano, dell’ex Regio Imperial Governo).
    Ma non sembra, ancor oggi, che ci siano progetto ed volontà seria di creare questa base dati incontestabile; tale è la fame di soldi del Fisco e la fretta/bisogno di raggranellarli a qualsiasi costo, che l’attuale situazione, insieme ad un gettito incerto e subito contestato, produrrà l’ennesimo pasticcio legale/ fiscale/amministrativo, destinato, nel breve periodo, ad essere variato, eccetera. Eppure, gli immobili – essendo tali!- si presterebbero più di ogni altro oggetto ad una identificazione e classificazione precisa; ma la serietà amministrativa non è nel DNA degli Italiani, cui un consistente grado di anarchia fa comodo, in modo che ognuno possa (o creda di potere) fare i propri comodi, a spese della collettività.
    In tal modo continuerà l’attuale declino dello Stato e la posizione dell’Italia nelle classifiche degli stati europei e mondiali continuerà a peggiorare. Se gli Italiani preferiscono il loro (apparente) comodo privato alla gestione più produttiva del bene pubblico, non devono poi lamentarsi che l’Italia decada.

  2. MARIA DI FALCO

    Io penso che la tassazione degli immobili tramite l’IMU sia corretta dal punto di vista sociale e fiscale. La platea dei contribuenti che pagherebbe l’imposta è molto ampia dal momento che l’80% degli italiani possiede la casa; inoltre, se si possiedono più immobili è corretto pagare di più, perchè questa circostanza è indice di una capacità contributiva maggiore, anche se riguarda una ricchezza accumulata nel tempo o può essere frutto di una eredità. Andrebbe rimodulata la compresenza dell’ imposta sostitutiva sull’affito e dell’ Imu, perchè altrimenti è come se si pagasse due volte su uno stesso reddito. E si dovrebbe a monte rivedere un pò il sistema delle rendite catastali.
    La service tax presenta i suoi problemi e un pericolo che potrebbe presentarsi è legato alla possibile disprità che si creerebbe tra diverse Regioni.

  3. Brancaleone Da Norcia

    articolo molto interessante

  4. rosario nicoletti

    Ho trovato interessante l’articolo – un ritratto della confusione mentale dei legislatori – ed ancor di più l’intervento di Luigi Calabrone. Le tasse sugli immobili, qualora fossero “limpide”, ad esempio considerando il valore, dovrebbero poggiare su dati catastali veritieri. Qui regna il caos, e solo un aggiornamento dei catasti potrebbe portare ad immaginare tasse “eque” sugli immobili. Naturalmente, di ciò quasi non si parla.

  5. stefanokoki

    Un commento sulla tassa per i rifiuti: credo sia un’assurdità perniciosa. Discutendo di una tassa si dovrebbe far riferimento ad un reddito o ad un patrimonio (come diceva Einaudi sarebbe meglio fare sempre solo riferimento al reddito) ma se parliamo di un servizio che ha un costo, si deve invece pagare il servizio. Avere i rifiuti pagati attraverso una tassa valutata su metri quadri, redditi catastali o altro, non tiene conto di quanti rifiuti produco e di quanto costa smaltirli, con l’effetto perverso che dovendo pagare comunque una cifra che nulla a che vedere con i rifiuti che produco non avrò nessun incentivo a ridurli o a riciclarli. Questo è un controsenso perchè ridurre i rifiuti e riciclare è una priorità assoluta, basta vedere a che costo è arrivato lo smaltimento per mancanza di siti e di capacità di riciclo. In Svizzera si paga sul volume di rifiuti prodotti con un sistema banale ma efficacissimo: quello che non si porta al riciclo o alla differenziata va messo nei sacchetti forniti dal comune, ogni sacchetto di capacità 20 litri costa diciamo 10 €, meno indifferenziato produco e meno pago, e nessuno si azzarda a buttare rifiuti fuori dal sistema perchè paga multe super salate. Insomma si dovrebbe discutere di come far pagare il costo del servizio e di come ridurlo al minimo attraverso riduzione e riciclo non di come far pagare una tassa che comunque la si giri è un danno in tutti i sensi per le persone e per l’ambiente!

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