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La decrescita secondo i 5 Stelle

Oggi la crescita è il collante della società e la precondizione per una pur minima forma di equità distributiva. La decrescita auspicata dal M5S richiederebbe una rivoluzione civile e morale, che non può essere di un solo paese. Ma l’idea è nobile e qualcosa si può fare verso una maggiore sobrietà.
APOCALITTICI E OTTIMISTI
La “decrescita” come programma (o almeno come valore) lanciato dal Movimento 5 Stelle non è questione banale, da relegare fra le sirene di un movimento in cerca (con ragguardevole successo) di consenso. Anche perché l’idea è accattivante, ma la sua realizzazione sarebbe tutt’altro che popolare.
È una dibattuta questione che ha alle spalle una lunga e nobile storia, avviata da grandi economisti, sociologi e filosofi fin dalla prima metà dell’Ottocento. Un dibattito nel quale hanno convissuto catastrofiche previsioni con altre di segno opposto. Fra le prime, Thomas Malthus, convinto che il futuro della crescita era fatalmente segnato dalla scarsità delle risorse naturali, decretando un destino di miseria che, a dirla tutta, l’umanità coltivava nei suoi propri cromosomi (perlomeno in quelli che la spingevano a moltiplicarsi senza senso della misura); e Karl Marx, che per la verità si spellava le mani nell’attesa che il capitalismo crollasse, complice la sua avidità e la stagnazione prodotta dalle sue interne contraddizioni. Fra le seconde, John Stuart Mill e John M. Keynes, che invece profetizzavano che si sarebbe finalmente raggiunta un’età dell’oro e dell’abbondanza dove, una volta soddisfatti i bisogni “reali” della popolazione, tre o quattro ore di lavoro al giorno sarebbero state sufficienti a “soddisfare il vecchio Adamo che è in noi”; il bello di questo stato del mondo era che avremmo potuto dedicare il nostro tempo a coltivare il lato estetico, culturale, sociale della vita. Vale la pena citare anche, fra i grandi filosofi, Bertrand Russell, per il quale nella nostra società l’essenza del progresso è nella capacità di produrre un numero doppio di spille nello stesso tempo di lavoro anziché lo stesso numero di spille in metà tempo di lavoro. E come dimenticare Thorstein Veblen, che fustigava la logica del consumo “vistoso”, status symbol fonte di una continua e sterile rincorsa nei consumi e di frustrazione e disagio sociale per chi non ce la fa a tenere il ritmo.
In tempi più recenti (intendo dagli inizi degli anni Settanta del secolo scorso) si sono aggiunte altre sporadiche voci, da Nicholas Georgescu-Roegen al Club di Roma, focalizzate in primis sui limiti fisici e ambientali di una crescita continua. Ora è la volta di Serge Latouche, più incline a coltivare un’impostazione socio-antropologica (e un tantino commerciale). Soprattutto da quest’ultimo sembra ispirata la “decrescita secondo 5 Stelle”.
PIL E SVILUPPO
La maggior parte dei personaggi che ho citato erano tutt’altro che nemici del mercato e del progresso, ma avevano ben distinti due concetti che oggi tendiamo invece a identificare: la crescita materiale, misurata dal tasso di incremento del Pil, e lo sviluppo, inteso come progresso di valori civili, sociali e culturali: identificando in quest’ultimo, una volta soddisfatti i bisogni materiali “reali” della popolazione (ossia un decoroso ed equamente diffuso livello di vita), la fonte del benessere.
Oggi la crescita del Pil è universalmente considerata termometro dello stato di salute dell’economia e della società, indice del successo della politica e metro di posizionamento di ciascun paese nella comunità internazionale. E non importa che sia di comune osservazione che – superata una determinata soglia di sviluppo – il Pil non possa essere considerato come unico driver del benessere di una società e che la crescita sia una gerla che contiene balocchi e carbone. Secondo il pensiero mainstream, infatti, si tratta di esternalità, disallineamenti da un modello che va qua e là emendato, ma guai a metterlo in discussione alle radici.
Resta comunque che la tesi grillina della decrescita come stato felice è sì una deviazione dal comune credo, ma non la si può bollare di giacobinismo. Come utopia sì, almeno se non ci spingiamo oltre “dopodomani”.
Lo scenario prefigurato non lo si può realizzare semplicemente “frenando la crescita” (ammesso che oggi e in prospettiva di medio termine siano necessari interventi attivi in questa direzione). Ci vorrebbe una rivoluzione, civile, morale, di sensibilità, di valori. Ovviamente una “rivoluzione universale”. Proprio in nome di questa universalità prescindo dalle consuete e non infondate obiezioni circa l’insostenibilità del (nostro) debito pubblico o la “tenuta dell’euro” in uno scenario stazionario solo nostro. Lasciamo da parte i provincialismi e il breve periodo; voliamo alto e guardiamo lungo.
È di comune constatazione che la molla della crescita senza limiti è che il mercato soddisfa bisogni (o desideri) che ha previamente creato, in una spirale senza fine che appaga temporaneamente quelli che possono permetterselo e lascia frustrazione e risentimento in quelli che restano fuori dalla corsa. Non si può per decreto mettere fine a questa corsa, modificare i modelli di consumo (più libri e meno ipad), perché non si può cambiare per decreto il sistema dei valori, distorto quanto si vuole, che ne sono la molla. Bisognerebbe cominciare dal basso, dall’istruzione primaria, dall’educazione familiare; riusciamo realisticamente a immaginare padri e madri che impartiscono ai figli austeri insegnamenti, opposti a quelli che loro stessi sentono propri? E se anche una parte di loro riuscisse nell’operazione, non prevarrebbe la sirena dell’altra parte? Non vedo, né auspico, un Pol Pot che possa farsene carico.
E poi il cambiamento dovrebbe essere, appunto, universale, posto che la malapianta sopprime quella buona. Non è concepibile rivoluzionare radicalmente i modelli di consumo in un solo paese, salvo uscire dalla democrazia; e nemmeno questo funzionerebbe, visto come sono andati a finire i regimi comunisti.
Anni fa, Giorgio Ruffolo rappresentava una società economicamente in crescita come una colonna in marcia, dove quelli che stanno in coda si aspettano che prima o poi potranno raggiungere la posizione che oggi occupano quelli che sono in testa, i quali nel frattempo saranno andati a loro volta avanti. Un’economia stazionaria è invece come una colonna ferma dove tocca pestare i piedi sul posto o per andare avanti spintonare altri indietro. In questo contesto operazioni di redistribuzione delle risorse avrebbero effetti dirompenti, non sostenibili da regimi democratici. In definitiva, oggi la crescita è collante della società e precondizione per una qualche equità distributiva.
Questo vale tanto più se da una singola collettività si passa a considerare l’universo, dove i divari di benessere – nei paesi e fra i paesi – sono un multiplo di quelli che lamentiamo da noi. Come gestire (non militarmente) la “decrescita globale”? Mettendo un tappo a chi sta indietro o livellando il benessere di tutti (dove il rapporto fra i benestanti e quelli che se la passano male è all’incirca 1 a 5)? Davvero siamo pronti, noi privilegiati, ad abbracciare fino in fondo il messaggio messianico?
Suggestiva, dunque, l’idea dei grillini, e nobile. Ma utopica, almeno nella forma che viene comunicata. Questo non significa che dobbiamo restare dove siamo e lo stesso movimento fornisce utili “dritte”, almeno per iniziare a lavorare in casa nostra. Di fondo, una maggiore sobrietà, a cominciare da quella personale. In definitiva la veemente e sacrosanta battaglia contro i costi della politica va, credo, declinata anche nei termini più generali di condanna di ogni forma di ostentazione, da qualunque parte venga, inclusa dunque l’ostentazione (la volgarità) e la vacuità degli eccessi del consumismo. Sotto questo profilo, non si può non coglierne il contenuto educativo e augurarsi che sia efficace. Non so se e quanti elettori 5 Stelle siano consapevoli che tutto ciò vale anche per loro – speriamo di sì. Nella stessa direzione va l’attenzione per l’ambiente, la green economy e il risparmio energetico, i consumi pubblici verso quelli privati. Non so in che misura e in che tempi, ma questo frastuono può servire a sensibilizzare tutti noi. Non a convertirci alla logica della “decrescita”.

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37 commenti

  1. luca

    posto che la situazione attuale non è sostenibilee bisogna finalmente darsi da fare per risolvere i problemi, l’unico lato positivo (volendo sforzarsi di cercarlo) è proprio rappresentato dal fatto che la “gente” è stata (finalmente) obbligata a consumare in modo più oculato:
    difficile credere che tutti quelli che oggi:
    non usano più l’auto non potesserlo ridurne l’uso anche in precedenza
    controllano il prezzo più basso prima di acqistare un bene , prina invece contribuissero allegramente a far crescere l’inflazione
    si lamentano del mutuo, abbiano invece stipulato contratti per il finanziamento del 90% del valore dell’immobile.
    Tu chiamala decrescita se vuoi, per mio nonno era “buon senso”

    • carmine meoli

      crescita o decrescita sembrano fini della azione dello Stata. in realta’ qui pare l’ aumento delle disuguaglianze una concausa dello stallo .
      la ditribuzione ovvero la redistribuzione e’ la vera locomotiva del benessere
      e della ripresa.
      dissendo quindi dalla opinione espressa circa la non praticabilita’ di misure redistributive in corso di recessione ,

  2. Alberto Cottica

    Molto interessante: “la redistribuzione si può fare solo in un contesto di crescita, perché il gioco SEMBRA (senza esserlo) a somma positiva”. Ci penserò. A occhio mi sembra che questa affermazione contenga alcune ipotesi che andrebbero esplicitate e discusse:
    1. gli agenti sono miopi rispetto al tempo. Per un attore razionale, infatti, redistribuire in un contesto di crescita è sempre redistribuire: se sei ricco, vuol dire che domani lo sarai meno con la redistribuzione di quanto non lo saresti stato senza la redistribuzione. Perché non dovresti opporti ad essa?
    2. i valori (che altri chiama preferenze) sono esogeni – il che equivale a dire che il grande successo commerciale, per esempio, della Coca-Cola non abbia niente a che fare con l’esistenza di una funzione pubblicità e marketing nella Coca-Cola Company. Uhm. Molti imprenditori e professionisti del marketing vedono invece il loro lavoro come creazione di bisogni, non come loro soddisfazione.

  3. Sarebbe opportuno precisare che Marx giudicava necessario che il capitalismo svolgesse la sua funzione storica, che arrivasse alle sue estreme conseguenze e che solo alla completa realizzazione della società capitalista sarebbe naturalmente emerso un oroceso rivoluzionario che avrebbe portato alla società socialista. Evidenzio ancora che una lettura in filigrana del pensiero di Marx, non parlo di quel marxismo che costringeva Marx stesso a dichiararsi non marxista, ci co durrebbe ad esiti inaspettati. Marx era infatti affascinato dal progresso tecnologico, dalla cresvita economica, dal pensiero scientifico e forse, in fin dei conti, non appariva del tutto convinto della sua utopia.

  4. Pino La Lavatrice

    Utopia… che bella parola.
    Una delle cose che si impara a fare meglio, crescendo, e proprio smettere di sognare e tuttavia è anche così che si smette di vivere.
    Uno dei motivi (ce ne sono molti altri) per cui non ho ancora figli e mai ne avrò, è che mi ha sempre terrorizzato l’idea di doverli crescere dentro questa società che avrebbe finito inevitabilmente per “portarmeli via”, allontanandoli dai miei insegnamento. I miei genitori sono riusciti a tirarmi su bene, ma mi considero una felice eccezione. Tuttavia questa mia “reazione” nei confronti di una società di cui non mi sento fare parte, alla lunga potrebbe portare proprio a quell’utopia: calo delle nascite -> mancanza di forza lavoro -> calo della produttività -> carenza di tasse -> decrescita. Alla fine, anche per vie traverse, la natura fa sempre il suo mestiere e male che vada, impone i propri equilibri.

    • Giorgio Ctreunoquattro

      Pensi se, utopicamente parlando, tutti i figli avessero seguito gli insegnamenti dei propri genitori sin dalla notte dei tempi… niente sviluppo, niente necessità di decrescita. La natura anche allora faceva il suo dovere, di stagione in stagione (non con i tempi lunghi da lei prospettati) financo all’inizio del secolo scorso nei paesi oggi sviluppati, pensi alla spagnola, o alla morte nera del ‘600, del ‘300 e così via! Nella storia una società idilliaca non è mai esistita, Malthus ha già fatto, tempo fa, un ragionamento comparabile al suo, c’è da sperare che il tempo non gli dia alla fine ragione, perchè allora sarebbe si decrescita, ma sarebbe anche la situazione più lontana immaginabile dalla felicità di chicchessia.

  5. Nicola

    Vero che la realizzazione della “decrescita” richiede sforzi titanici nel senso di una rivoluzione civile e morale. Sarà bene accettare, tuttavia, che quello delle risorse limitate è un muro contro cui andremo a sbattere di sicuro, grazie al fatto di non averli voluti fare questi sforzi titanici. Un muro di cui taluni negano l’esistenza ma che anche un bambino capisce che per forza di cose esiste. Quando lo sfruttamento delle risorse (quelle fondamentali) sarà giunto a saturazione, l’umanità non farà altro che quello che ha sempre fatto: una bella guerra. Una bella e poderosa guerra. Con una differenza rispetto alle precedenti: le bombette atomiche. Bombe che, nonostante l’assenza di logica nell’usarle (anche chi le lancia, viene investito dai loro effetti), verranno usate. E allora quelli che rimarranno potranno ragionare che sì, mi sa proprio che sarebbe stato meglio cambiarlo in tempo questo mondo.
    A parte i filoni filosofici sulla “decrescita”, esiste comunque anche un movimento che con grande positività e progettualità propone le azioni concrete per cambiare le cose: il Transition Network (googlare per credere). Quasi sconosciuto in Italia. Abbastanza conosciuto in UK e Irlanda. Mentre noi discutiamo, quella è gente che si organizza concretamente.

  6. Guido

    La sobrietà non è un atteggiamento che appartiene a tutti, per svariati motivi per lo più socio-culturali: mi chiedo ad es. come Berlusconi e tanti della sua categoria “economica” la possa intendere e per converso come la si possa pretendere da un contadino del Sahel. La geografia di questo nostro pianeta e il percorso storico del genere umano giustificano ampiamente le grandi disparità di sviluppo, e quindi di livello di vita, oggi presenti ai nostri occhi. Certo la sobrietà potrebbe rappresentare una specie di Stella Polare nella guida verso una migliore redistribuzione delle risorse, ma quanti sono in grado di conoscerla e, una volta conosciuta, quanti sarebbero disposti a seguirne le regole nel bailamme odierno? Pensiamo magari, più realisticamente, a migliorare quella che si continua erroneamente a chiamare “democrazia” e i suoi obsoleti meccanismi di funzionamento: riforme prima sulla carta e, subito dopo, nella realtà. Ammesso e non concesso che la maggior parte sia d’accordo, beninteso.

  7. ero un felice abbonato di http://www.aamterranuova.it/. La decrescita felice non è invenzione di M5S,ma chiunque può parteciparvi…

  8. Bafio Refrata

    Una colonna in marcia. È vero. Le società economicamente in crescita tali sono. Coloro che sono in testa, sempre più in testa, marciano in avanti ma tengono la testa indietro, per controllare l’invarianza dell’ordine. Quelli in coda, sempre più in coda, si sentono felici per essere stati nominati Capo-chiudi-fila. Pur sempre di una promozione si tratta. Caro professore, se fosse vero che per redistribuire le risorse occorre che l’economia sia in crescita, non vivremmo l’enorme e crescente (quella si!) distanza tra il nord e il sud del mondo, tra uomini e donne, tra ricchi e poveri, tra vaccinati e non, tra chi previene le malattie e chi non può neanche curarsele. Caro professore, le tue sono solo nuove idee commentate con vecchi stereotipi. Lo sviluppo dell’uomo non passa necessariamente per la crescita economica. La crescita economica di un solo uomo passa il sottosviluppo degli altri. Proviamo, tutti noi, a liberarci dello status quo nel quale viviamo, delle nostre brillanti carriere e, di rinuncia in rinuncia, ad accogliere il progresso di tutti.

  9. Gio

    Mah, a me la colonna in marcia sembra piu’ ferma almeno per la maggior parte delle persone e solo un piccolo gruppetto in testa che continua ad allontanarsi non per meriti propri ma solo grazie ad una rendita di posizione. Se crescita vuol dire continuare su questo modello, allora ben venga la descrescita o, meglio, uno Stato che riavvicini i fuggitivi o perlomeno che metta il merito come criterio principale per stablire l’ordine della fila!

  10. Alessandro Ela Oyana

    A me sembra che la decrescita altro non faccia che prendere i difetti congeniti del comunismo sia a livello economico (saper – forse- distribuire ma non produrre ricchezza) sia a livello socio-culturale (la pretesa di insegnare – poi imporre – alla popolazione cosa volere – tradotto nell’articolo con il più sobrio termine di “sobrietà”) e li elevi a vessilli. Mi domando poi se l’IPAD (per stare all’esempio dell’articolo) sia più ecosostenibile o meno della raccomandata con ricevuta di ritorno o dello stesso libro cartaceo. A me la rinuncia alla crescita e quindi all’innovazione, alla competizione fra le intelligenze, le abilità e le sensibilità (anche solo estetiche) umane, non è un utopico cambio di orizzonte, ma la contraddizione di quanto c’è di meglio nella natura umana. Quello che dobbiamo fare e che i governi sono chiamati a fare è garantire che queste caratteristiche umane siano indirizzate, in regime di pari opportunità, verso l’utilità sociale (come dice con, insuperata sintesi che comprende tutti i temi cari ai teorici della decrescita, una delle più belle e moderne delle Costituzioni occidentali) e non frustrarle violentando alla bisogna il senso dei discorsi di Bob Kennedy sul PIL come fa il guru del 5 stelle.

    • Nicola Candoni

      Alessandro, non capisco perché sostieni che la teoria della decrescita felice preveda di rinunciare alle abilità e sensibilità umane o che sia contraria all’utilità sociale… non mi risulta.
      Cordialmente

  11. filippo condini

    Non può entrare nella testa questa cultura finchè vista come scelta di austerità!non è questa la decrescita felice. Questa è la decrescita infelice e non voluta.
    Ma se metti davanti a tutti i cittadini la possibilità di passare immediatamente al part time rinunciando a una parte di stipendio, e quindi anche di una parte di beni(auto di lusso, un iphone nuovo all’anno, ecc ecc) in cambio di avere ogni pomeriggio libero da poter passare coi propri figli o a coltivare i propri hobby, pensate che sia utopico che una bella fetta della popolazione scelga la situazione del part time?
    Io credo di no..altro che utopico..non tutti certo, ma moltissimi vorrebbero farlo subito, è solo che non hanno la possibilità!
    Appunto per questo, lo stato non deve imporre nulla, semplicemente dare la possibilità, nell’esempio del part time, se incentivato da sgravi fiscali, una buona parte della popolazione lo sceglie e si va a risolvere anche il problema dell’occupazione

  12. Nicola Candoni

    Egregio professore, la ringrazio per tenere vivo il dibattito su decrescita. Ho letto con attenzione il suo articolo, ma non sono riuscito a capire la sostanza del suo pensiero.
    Mi pare apprezzi la teoria della decrescita ma che consideri utopico realizzarla nel breve periodo.
    Tutti d’accordo, credo. E’ sicuramente anche un problema culturale, per cui ci vorranno anni per portarlo avanti, magari partendo da una “maggiore sobrietà, a livello personale”, come indica giustamente lei. Partendo dall’educazione certo. Di noi stessi e dei nostri figli.
    La domanda più pressante per me però è: esiste una alternativa alla decrescita? Credere nella crescita infinita non è forse un’utopia ancora maggiore?

  13. Simone

    Mi perdoni il prof. Sebastiani, ma non posso esimermi dal criticare l’accostamento M5S-Decrescita.
    La decrescita, intesa come movimento di pensiero e come movimento associazionistico – penso al Movimento per la Decrescita – in Italia nasce molto prima del M5S. Accostare quest’ultimo alla decrescita facendo intendere che ne è il portatore è cosa quanto mai sbagliata.
    Il M5S è sì la forza politica che ha parlato per prima di decrescita, senza però mai citarla nel proprio programma elettorale e senza che ci sia una reale produzione legislativa in merito – limitandosi esclusivamente ad alcune dichiarazioni di principio – ma idee riconducibili a questa “filosofia” sono riscontrabili anche in altri partiti come Sinistra Ecologia Libertà e Rivoluzione Civile. Senza contare che anche partiti di estrama destra presentano alcuni riferimenti, più o meno espliciti, alla decrescita. Penso ad esempio alle tematiche autarchiche proposte da questi movimenti.
    Considero poi quanto mai pericoloso, per il moviemento decrescentista italiano, questo accostamento. Da quanto Grillo ha parlato – alcune volte impropriamente – di decrescista, si è scatenato l’inferno. Pur di attaccare il M5S abbiamo assistito ad sproloqui e ridicolizzazione della decrescita da parte di politici che parlano di cose che non conoscono.
    Anche per questo auspico un chiaro smarcamento del movimento decrescentista dal M5S o quanto meno che quest’ultima traduca rapidamente i dettami della decrescita in atti legislativi concreti.
    Detto questo mi si permetta di segnalare che non si può relegare la figura di Nicholas Georgescu-Roegen a “voce sporadica” visto che proprio questo economista è considerato il padre della decrescita ed è proprio lui ad aver coniato questo termine.

  14. Savino

    La decrescita non può essere espressa come la politica economica di uno Stato, ma può, al massimo, essere l’atteggiamento psicologico di riduzione del danno da parte di ciascuno di noi nel momento in cui si rende consapevole di aver vissuto al di sopra delle proprie possibilità, tenendo presente che questa crisi non ha origine solo nei debiti sovrani, ma che la vera tragedia è da ricercarsi nei tanti debiti privati e che, ad esempio, in Italia è tutta in discussione l’identità di formiche che, con una certa dose di ipocrisia, ci eravamo dati. In questo senso, decrescere può voler significare educare gli individui a non fare il passo più lungo della gamba.

  15. alessandro

    Non ho capito bene quali considerazioni/critiche ha fatto il professore al concetto di “decrescita felice”. Al contrario mi sembra che abbia stimolato solo i soliti luoghi comuni intorno ai concetti di Latouche.
    Alcuni dati: il 3% del PIL italiano e’ fatto da cibo che si butta: se smettessimo di produrre questo cibo superfluo il PIL diminuirebbe del 3% e, secondo la convenzione comune di crescita in base al PIL, noi saremmo matematicamente piu’ poveri, ma buttare cibo ci fa ricchi? Parimenti il 70% dell’energia prodotta e’ sprecata (cattive rese energetiche , coimbentazioni edifici etc.) Migliorare e efficentare il sistema ci renderebbe matematicamente piu’ poveri (secondo i profeti del PIL) ma consumare meno risorse naturali e inquinare meno (bruciando carbone p.es) ci rende piu’ ricchi?
    Alla fine la “decrescita felice” si puo declinare anche con “meno e meglio” (e senza accento) che e’ poi simile al concetto di Russel espresso nell’articolo ovvero produrre il giusto, meglio e lavorare meno x dedicarci allo sviluppo (questo si) della risorsa uomo, la piu’ importante! Votare M5S per ottenere questo e’ cosi’ … “utopico”?

  16. Maurizio

    Decrescita e recessione sono due cose da non confondere. La prima è vissuta coscientemente, la seconda è imposta. Con impatti differenti, quindi, sulla vita della persona.

  17. Carlo_1

    Avevo pubblicato sul forum del FQ, poi ho capito che per avere almeno una possibilità di ricevere risposta conveniva commentare qui.
    Egr. prof. Sebastiani,
    è da parecchio tempo che, dopo aver letto il saggio “La scommessa della decrescita”, sogno di incontrare Serge Latouche per porgli una semplice domanda, semplice solo in apparenza io credo:
    che differenze di fatto sussistono tra il concetto di “decresita”, più o meno felice, e quello di “sviluppo sostenibile” che le nostre società occidentali, con più o meno successo, faticosamente cercano di perseguire?
    Consapevole delle scarse possibilità che avrò di rivolgerla al diretto interessato, approfitto della sua, mi auspico, cortese disponibilità nel volermele chiarire.
    Grazie per l’eventuale attenzione

  18. Beh, io la analizzerei sotto un punto di vista differente. Quando parlaiamo di decrescita implicitamente parliamo di crescita etica, mutuando sì, nel concetto del movimento, quella forma alta di produzione e di consumo diverso dall’attuale.
    L’attuale modello di sviluppo è altamente fallimentare e Malthus era completamente pazzo?
    Non vorrei che anche qui si credesse che l’energia elettrica ha un costo inferiore alle altre forme di energia solo perchè la sua implicità produzione ha un costo basso, al netto di costi impliciti mascherati.
    Questo per dire che non possiamo più nasconderci dietro slogan, bensì analizzare nello specifico il footprint di ogni cosa che facciamo.

  19. alberto filippi

    Una volta quando, tanti anni fa studiavo economia, esisteva ancora qualche professore che faceva la distinzione fra economia e diseconomia. Fra economia di spreco e vera economia. Negli anni 60 ricordo che i diseconomisti socialisti sostenevano la illimitatezza delle risorse, grazie all’invenzione delle nuove plastiche. La realtà come sosteneva Roegen è che il ciclo produttivo non ha mai voluto inserire nei costi di produzione il termine a quo e il termine ad quem. Vale a dire la prima e l’ultima fase del ciclo. Nell’economia di spreco le risorse naturali devono avere un costo minimo e il prodotto ultimo: i rifiuti della produzione, devono rimanere in gran parte a carico della collettività.
    Non si distingue fra lavoro utile e lavoro dannoso o distruttivo. La criminale estrazione delle terre rare attraverso processi ad alta emissione radioattiva, che causano la morte di schiavi con salari inferiori a quelli di sussistenza, è la prova dell’estremizzazione criminale della competitività liberista. Ha fatto bene a citare Thorstein Veblen che si ostinava a contare i morti dei processi produttivi, espulso da tutte le università americane, ma che ha posto, come Galbraith, la questione dell’impresa o del manager volta o volti a conseguire l’utile a prescindere da qualsiasi etica e qualità del prodotto.
    La realtà è che la nostra “economia” dei diseconomisti sta prosciugando le risorse senza trovare alcun equilibrio multidimensionale come sosteneva Ivan Illich, il padre della decrescita (che lei ha dimenticato). Nell’economia vera il prodotto dovrebbe essere di qualità e durare al contrario dell “distruzione creatrice” del diseconomista Schumpeter. Altre questioni come il ” Land Grabbing” 155 milioni di ettari africani acquistati con futures per i combustibili a bio massa, dovrebbero farvi riflettere e uscire dal mito della crescita infinita che può portare solo alla distruzione del genere umano.
    L’umanità si potrà salvare solo attraverso una drastica riduzione dei consumi e il ritorno alla terra con piccole imprese senza separazione fra allevamento e agricoltura che devono interagire per eliminare la chimica e gli antibiotici delle produzioni intensive, gravemente lesive della salute. La salute è il primo benessere che va coltivato!
    Non c’è alternativa: la decrescita deve essere controllata, altrimenti l’alternativa è il precipizio della produzione per mancanza di risorse.
    La cosa quindi va presa con serietà e senza ironici sorrisetti

  20. Marcello

    Ritengo che quando una società arriva a produrre migliaia di servizi per i cellulari e i tablet con le offerte piu disperate e non crea servizi per l’assistenza all’infanzia o ai propri vecchi, tale società è destinata al suicio collettivo.
    Questa crescita non mi interessa! Ora piu che mai è necessario determinare politicamente “di cosa un società debba occuparsi”. Il libero mercato ha fallito! Le risorse non si sono ridistribuite in modo da aumentare efficienza e efficacia ma solo competitività e guadagno a discapito dell’umanità!

    • giovanni

      Come non darti ragione su tutta la linea?
      Infatti sembra che la “crescita” e il “progresso” debba per forza significare spreco di risorse ed energia per la produzione – o sovraproduzione – di cose futili.

      • venettewaste

        Non è che debba per forza significare spreco…lo è di fatto! Lo spreco: ce ne è talmente tanto che è diventato una risorsa che se usata riporterebbe equilibrio tra bene materiale e bene immateriale riavvicinando l’economia vicina al suo significato originario.

  21. prof. Ascari

    Non bisogna confondere la decrescita con la recessione economica -sono due concetti diversi. La decrescita implica un miglioramento del benessere sociale e mentale delle persone attraverso un miglioramento tecnologico e di sistema che permetta l’efficientamento dei consumi e l’autoproduzione. La recessione invece un peggioramento della vita delle persone a causa dell’impoverimento materiale. Facciamo degli esempi…Se isolo una casa con un capotto in modo che consumi l’80% in meno e sia più confortevole diminuisco i miei consumi energetici e faccio decrescita, il PIL diminuisce. Se non ho i soldi per scaldarmi l’inverno, come in Grecia, sto subendo un deterioramento delle mie condizioni materiali a causa della recessione economica – Se mi compero la macchina per il pane e me lo autoproduco in casa, mangio più genuino e aumento il jo, benessere ma faccio diminuire il PIL; aumenterà però la vendita di nuove tecnologie- Se riuscirò a vivere in convivialità risolvendo i problemi materiali della vita preservando serenità benessere e tempo libero sarò un profeta della decrescita- Se penserò al suicidio come alternativa al pasto alla caritas e all’umiliazione sociale sarò una vittima della recessione targata TROIKA ed EUROZONA

  22. Alberto Filippi

    Tanto per fare un altro esempio di diseconomia. Il governo attuale è intenzionato a portare avanti le grandi opere inutili come la TAV anche se il traffico in generale è in forte calo a causa della diminuita domanda di consumi. Per favorire l’occupazione non sarebbe meglio devolvere quelle risorse per la messa in sicurezza del territorio che sta franando e per rimettere in sesto il patrimonio culturale dell’Aquila. La TAV si preferisce perchè crea più PIL senza contare che accentra la ricchezza al contrario delle opere sul territorio.
    Queste ultime creerebbero una grande domanda di occupazione ben distributa su tutto il territorio e soprattutto molte volte superiore a quella delle TAV. Ma ciò non si fa perché contrasta con gli interessi del capitalismo finanziario globalizzato che sostiene le multinazionali.
    Se non si reagisce con decisione rischiamo l’aporia economica, vale a dire contraddizioni tali da non poter essere superate.

  23. Luigi Idili

    Interessante che il tema della decrescita sia stato commentato così estesamente. Propongo un ulteriore elemento di riflessione, riferito al finanziamento della sfera pubblica. Il sistema fiscale attuale, come sistema di finanziamenti delle funzioni e dei servizi resi dalle amministrazioni pubbliche, è interamente fondato sull’economia monetaria formale. E’ dunque direttamente correlato al PIL. Se il PIL sale, crescono le entrate fiscali, e cresce quindi la capacità di finanziarie i servizi pubblici, e viceversa. Nell’ipotesi di decrescita (sintetizziamo con la semplificazione “meno PIL, più benessere) è necessario porsi il problema del finanziamento dei servizi pubblici, e non è questione da poco. Anche questo problema nasce, forse, dalla confusione tra decrescita e recessione. Forse sarebbe preferibile, ragionare non tanto di decrescita, bensì di “stato stazionario” (H. Daly), inteso come limitazione alla crescita del consumo di materia/energia, a parità di servizi resi, avvicinandosi al concetto di sviluppo sostenibile.

  24. antonello

    Condivido l’impianto dell’articolo. Io mi ritengo di sinistra, mi sono laureato col prof. Caffè, e credo quindi di essere interessato/sensibile ai temi di un maggior benessere, di una maggiore equità, ecc. Però, scusatemi, ma una cosa la sento: ho il forte dubbio che queste tematiche servano sostanzialmente a cristallizzare lo staus quo e/o i privilegi-ricchezze nel modo più reazionario possibile, ammantando il discorso di poesia. Ok che stiamo consumando troppo, impatto ambientale, crisi delle risorse e quindi del pianeta, ecc. Ma la decrescita di chi guadagna 10mila al mese sarà molto più “felice” di chi ne guadagna 1000 ed ha poco da essere “sobrio”. Come si attua? si redistribuisce drasticamente dai ricchi ai poveri, in una forma di comunismo post-litteram? Mi sembra una riflessione tipo: com’era bello quando in “villeggiatura” a capri ci venivamo solo noi tre ed ora invece ci vengono tutti, magari alloggiando nella pensioncina. Tutta questa gente – il turismo di massa – ha rovinato tutto. OK, e quindi? meglio quando a capri ci andavano solo in tre? A me ‘sta cosa della decrescita, per come l’ho capita, ovviamente, mi fa pensare al villaggio autosuffiente del medioevo, quando in Europa eravamo ad abitarci un decimo di quelli di oggi; e mi fa il paio con quell’altra storia dell’ “ozio creativo”, che poi quando mi fanno gli esempi storici mi si citano gli imperatori romani, che erano notoriamente 1 o 2 per volta e altrettanto notoriamente ricchi e potenti. E gli altri (schiavi, plebei, soldati, ecc.) servivano solo a farli “oziare” meglio. Saluti cordiali

  25. Alberto

    Artefici della disuguaglianza sono il capitalismo finanziario e la globalizzazione. Se oggi il 10% delle famiglie possiede il 50% della ricchezza, non considerando quella nei paradisi fiscali che incrementerebbe la percentuale di un 10-20% minimo, di chi è la colpa? Della decrescita o dell’economia di spreco? Puntando a produrre con il minimo spreco più all’interno del paese che fuori, per soddisfare pienamente i bisogni essenziali, la ricchezza interna aumenterebbe e sarebbe meglio distribuita. Non si tratta nemmeno di chiudersi, ma di privilegiare la redistribuzione, magari secondo i Principi di J.S. Mill, adattandoli al nostro tempo. Armi ed eserciti non portano ricchezza.
    Gli esempi che riporti permetti sono un po’ qualunquisti e mi meraviglio siano atti da un allievo di Federico

  26. Lino

    L’articolo presenta la proposta della decrescita ecomonica come una utopia, un esercizio di dialettica più fine a se stessa che come progetto. L’umanità è così com’è e poco e nulla si può tentare, al massimo intrattenere in qualche conferenza occasionali intellettuali perditempo. Infatti l’analista nel presentare il problema accenna con tono secondario sia al club di Roma che a Nicholas Georgescu-Roegen che in modo ampio il primo ma forse più puntuale il secondo secondo (e molto meglio di tutti i soggetti prima citati ) argomentano sulll’ineluttabilità della fine delle risorse. Questo problema per dibatterlo deve però essere ben inteso poichè quando si parla di limite di una risorsa non si intende la fine “assoluta” della risorsa ma la valutazione di quanto occorre spendere in temine d’energia (e non di denaro) per procurarsela. Quindi per esempio se si parla di petrolio è risaputo che la stima sicura della quantità della risorsa non è possibile (si scoprono sempre nuovi giacimenti)ma la cosa certa è che oggi per utilizzare un barile di petrolio occorre spendere in temini d’energia (fossile) 25 volte di più di quanto necessitava alla fine della II guerra mondiale. E ciò vale per tutti i minerali e anche per il costo energetico del riciclo di una risorsa.Quindi quando si approccia al problema della descrscita occorre innanzi tutto cambiare l’unità di misura e utilizzare quella che usa la natura che sono “Joule”e non € o $! Poichè non ci si può ritirare da questo tipo di vita la decrescita è solo un invito all’attenzione, alla comprensione che se un sistema (il ns pianeta) è finito non può permettere una crescita dello sviluppo senza limiti. Nessun processo fisico naturale è senza limiti persino il DNA di una lumaca ne è consapevole. Se la chiocciola facesse un giro di più la lumaca non potrebbe più muoversi. Ecco il messaggio della descrescita. E’ scritto nelle leggi fisiche (la temodinamica), leggi che non usano quelle borsistiche o il ns denaro come mezzo di scambio ma solo kWh. Disquisire di decrescita non è una banalità “grillina” o giù di li ma un problema del quale chi è seriamente interessato per chi ci seguirà deve occuparsi presto poichè le crisi attuali sono solo i prodoromi di ciò che capiterà negli anni futuri. Questa non è futurologia ma solo semplice buon senso. L’onestà professionale del divulgatore diventa pertanto di estrema importanza (sempre se il divulgatore ne è all’altezza ovviamente).

  27. rogi

    Argomento interessante che dà luogo a tanti equivoci.
    Tanto per fare un esempio, considero evoluta una società che mi garantisce prestazioni mediche a costi moderati e tempi brevissimi, anche se non mi obbliga a cambiare auto ogni 5 anni “per far aumentare il PIL”.
    La questione di produrre lo stesso in metà tempo è fondamentale. Dal metà del ‘900 si rincorre il mito della produttività – stessi prodotti con meno risorse umane, e si dimentica che quelle risorse umane sono anche i compratori dei prodotti.
    Per ora si è risolto separando le categorie in modo geografico. I paesi dell’est producono a prezzi bassi e quelli “evoluti” acquistano a prezzi alti.
    Il giochino finirà quando la tanto celebrata globalizzazione porterà alla uniformità del costo del lavoro (salari e stipendi emergenti uguali a quelli occidentali)
    Potrebbe non mancare cosi tanto..

  28. Rosanna Napoli

    Gentile Prof. Sebastiani,
    francamente penso che il tema meriti degli approfondimenti, tantopiu’ da chi come Lei si occupa con professionalità di materie economiche.
    Mi pare invece che si rischi di incorrere nella generale tendenza a fermarsi alla superficie, al voler leggere letteralmente un termine senza appropriarsi dei concetti in esso insiti; e purtroppo inizio a pensare che questo atteggiamento (che mi sembra, appunto, generalizzato) sia in parte motivato dal pregiudizio che spesso anima i detentori della sapienza, cosi’ come dei metodi, tradizionali.
    Lasciamo perdere M5S e l’auspicata (anche da chi, come me, vota altrove) riduzione dei costi della politica: quello é buon senso e sarebbe buon esempio. Ma la decrescita é altro, e al concetto nulla manca per assurgere alla medesima dignità di altre teorie economiche; nulla manca, altresi’, per permetterne un’applicazione concreta in termini politici, e questo lasciando da parte visioni bucoliche e limitate di teorie che invece rappresentano quanto di piu’ moderno offra il ‘mercato’.
    Nulla manca, tranne la volontà degli economisti e dei politici, che devono rassegnarsi ad abbandonare concetti ormai obsoleti di progresso in nome di teorie e pratiche che vadano nella direzione del futuro.
    Quando succederà che l’economia inizi a teorizzare el a politica inizi a lavorare per un mondo come ogni persona dotata di buonsenso, e non offuscata dal potere della prossima poltrona, vorrebbe che fosse fra cinquanta, cento anni?
    Un sistema in cui l’essere umano esiste solo in quanto lavoratore e consumatore, e lavora per consumare e consuma per lavorare, é un sistema che stiamo vedendo fallire in diretta e di cui si sta contribuendo a prolungare l’agonia.
    Oggi occorre una revisione seria dei progetti da supportare, anche per creare posti di lavoro che contribuiscano realmente al miglioramento della qualità della vita e al nostro benessere, il benessere reale e non economico (e qui occorrerebbe approfondire le motivazioni dell’inadeguatezza del parametro PIL in quanto indicatore di “benessere” di una nazione). Oggi occorre supportare progetti di riqualificazione ambientale ed edilizia, di ricerca nel settore delle rinnovabili, occorre investire in istruzione e sanità considerandole sacre conquiste da rendere accessibili a tutti a livelli di eccellenza e non settori da affossare pur di racimolare soldi per mastodontiche opere nonsense.
    Oggi occorre che problemi come sperequazioni, maldistribuzioni, speculazioni e corruzione siano trattati davvero, e non solo a parole,come cancri da estirpare, e questo si’ che è futuro, l’unico futuro da perseguire.
    In quanto stimato docente presso la facoltà di economia, auspico col cuore che Lei voglia approfondire il tema con approccio economico, non per limitarsi a ‘sensibilizzare’ i suoi giovani, bensi’ per constatare con loro la concretezza di una proposta economica nuova e, magari, farne materia d’esame.

  29. venettewaste

    il PIL è un falso indicatore: non tiene conto dei due costi principali generati dall’attuale sistema economico: il valore dello spreco e quello dell’impatto ambientale . La crisi è giunta perchè questo debito è divenuto così grande che non si può più ignorare, siamo arrivati alla cassa e dobbiamo pagarlo…..e in fretta! Cominciare a pagarlo e considerare questi due costi nella produzione dei beni significa fermare/ rallentare la crescita. Questa è la decrescita. Abbiamo bisogno di aziende a ciclo chiuso, aziende che sono responsabili del loro prodotto non solo dell’inizio del loro ciclo vitale ma anche della fine. Questo imporrebbe loro la considerazione di costi che attualmente troppo facilmente scaricano a valle generando quello spreco che alimenta il divario a forbice che permette a pochi ricchi di diventare sempre più ricchi a scapito di molti poveri che diventano sempre più poveri oltre al degrado ambientale. In qualsiasi modo, purchè lecito ed etico, bisogna agire per fermare l’inesorabile cammino dell’economia che si fonda sugli sprechi (ossimoro), il consumismo easperato il male più subdolo che l’umanità abbia mai vissuto. Soffermarsi a pontificare sul chi e il come è proprio di chi ancora non ha capito quanto sia urgente per l’umanità la soluzione di questo problema.

  30. Fabio Eboli

    Mi sembra ormai argomento condiviso dalla maggioranza che il PIL non possa più rappresentare in sè una misura di benessere. Il problema è piuttosto come tradurre in pratica una misura di benessere legato al concetto di sviluppo piuttosto che a quello di crescita materiale. Il primo concetto è basato su aspetti qualitativi che sono difficilmente misurabili, basate su valutazioni soggettive e, pertanto, opinabili a seconda dei punti di vista.
    Il concetto di decrescita non mi convince – tanto meno il concetto di decrescita felice. Tuttavia, riprendendo il senso del progresso “a la Russell” riportato dal Prof, Sebastiani, credo che una delle aspettative del progresso tecnologico ed economico sia quella di ripercuotersi in senso positivo sulla qualità della vita. E fin quando penseremo che per essere più competitivi dobbiamo essere più produttivi (e più stressati) anziché mirare ad una migliore qualità di quello che produciamo e quindi della qualità della vita, saremo ineluttabilmente portati a considerare il PIL come obiettivo finale – che poi porta con sè sovrapproduzione, disoccupazione, eccessivo utilizzo risorse naturali.

  31. damiano

    Joyless economy è del 1976….

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