Nel giro di tre anni sono scadute sei concessioni autostradali. Era l’occasione per impostare una politica che superasse, sia pure gradualmente, le tre storiche deficienze strutturali del sistema. Non è andata così.
Il sistema autostradale italiano è storicamente caratterizzato da tre principali deficienze strutturali: 1) eccessiva frammentazione; 2) assenza di concorrenza per il mercato; 3) discrezionalità nella politica tariffaria.
Nel giro di tre anni sono scadute (o stanno per scadere) sei concessioni: si sarebbe dunque potuto impostare una politica volta a superarle, sia pure gradualmente, ma nulla è stato fatto o pensato per avviarsi su questa strada.
DOV’È LA CONCORRENZA?
Sull’eccessiva frammentazione, ricordiamo che vi sono in Italia ventisei concessionarie, parecchie delle quali gestiscono tratti di 40-80 chilometri, spesso “pezzi” dello stesso tronco. Ciò comporta notevoli diseconomie di scala e i maggior costi sono scaricati sugli utenti, visto che il regolatore (storicamente l’Anas) recepisce tutti i costi in tariffa senza alcun tentativo di confronto con le concessionarie più efficienti (il termine “yardstick competition” sembra ignoto). (1) Si assiste così allo spettacolo, abbastanza ridicolo, di società che per gestire pochi chilometri hanno pletorici consigli di amministrazione, bilanci, assemblee, revisori di conti, e così via. Il tutto a carico degli utenti. La frammentazione rende anche più difficile il finanziamento di nuovi investimenti e determina una struttura tariffaria del tutto irrazionale, con differenze molto ampie nei pedaggi per chilometro. Ma tutte le concessioni in scadenza in questi anni sono state rimesse in gara, quando non semplicemente prorogate, ciascuna per il proprio tratto storico, senza alcun tentativo di razionalizzare la rete. Il ruolo di regolatore è svolto dall’Ivca – Ispettorato vigilanza concessioni autostradali- che è stato recentemente trasferito dall’Anas al controllo diretto del ministero delle Infrastrutture e trasporti.
La seconda deficienza strutturale è l’assenza di concorrenza per il mercato. Delle sei concessioni in scadenza, tre sono state prorogate senza gara: Padova-Mestre, Brescia-Padova, Cisa. Per la Padova-Mestre (che gestisce una quarantina di chilometri sull’asse Milano-Venezia e il nuovo Passante) la gara è stata evitata inserendo un comma nella Finanziaria 2008 che assegna, senza corrispettivo, una nuova concessione per ventitré anni a una società partecipata da Anas e Regione Veneto. Per Cisa e Brescia-Padova la proroga delle concessioni è stata giustificata dalla decisione di costruire nuove tratte che erano previste nelle concessioni originarie, risalenti agli anni Settanta, peraltro “assegnate” allora senza gara e senza corrispettivo. C’è da chiedersi quanto avrebbe potuto essere il risparmio di costo se la costruzione delle nuove tratte fosse stata messa a gara e quanto avrebbe potuto incassare lo Stato se avesse fatto altrettanto e separatamente per il rinnovo delle concessioni. Le proroghe senza corrispettivo sono un grosso “regalo” alle concessionarie, la cui quantificazione è affidata nel tempo ai periodici negoziati col regolatore sulla dinamica tariffaria.
RINNOVI LUNGHI
Per altre due concessionarie (Autobrennero e Autostrade meridionali) si è messo (o si metterà) a gara il rinnovo per periodi molto lunghi, proprio il contrario di quanto si dovrebbe fare per promuovere la concorrenza.
Caso emblematico è l’Autobrennero, un’autostrada “matura”, cioè pressoché totalmente ammortizzata e per la quale non è previsto alcun investimento di particolare entità: perché prevedere allora un rinnovo fino ai prossimicinquanta anni? Se il rinnovo fosse stato offerto solo per i prossimi dieci anni si sarebbero potute avere poi nuove gare e più “concorrenza per il mercato”. Affidando la concessione per cinquanta anni si taglia via la concorrenza e si lascia tutto lo spazio per una gestione “contrattata” tra regolatore e concessionario. Chi può dire oggi come si evolverà, nell’arco dei prossimi cinquanta anni, il traffico, la tecnologia, il fabbisogno di investimenti su questa tratta? Tutte materie che dovranno di volta in volta essere decise per via amministrativa, lasciando quindi un enorme potere discrezionale al regolatore cui forse non dispiace restare esposto per tanto tempo al rischio di essere “catturato” dal concessionario.
La lunga durata dei rinnovi rafforza dunque la terza deficienza strutturale del sistema che è la discrezionalità e la mancanza di trasparenza nella politica tariffaria. Nelle nuove gare non si è scelto chiaramente tra i due sistemi tariffari alternativi possibili: la tariffa-remunerazione o la tariffa-scommessa. (2) Nel primo caso si assegna la concessione a chi accetta di gestirla richiedendo il più basso rendimento sul capitale investito. Nel secondo caso si assegna la concessione a chi offre il prezzo più alto (avendo predeterminato il pedaggio e gli investimenti da farsi) lasciando al concessionario tutti i rischi e in particolare il “rischio traffico”. La scelta dipende anche dall’obiettivo che Stato e regolatore intendono conseguire con i pedaggi: coprire solo i costi dell’infrastruttura o anche ottenere un ulteriore gettito fiscale sotto forma di prezzo per le concessioni? Nei casi, ormai numerosi, di vecchie autostrade ampiamente ammortizzate ci si potrebbe attendere una sensibile riduzione dei pedaggi; invece, per assicurare allo Stato un buon introito si rimettono a gara le concessioni mantenendo o aumentando nel tempo i “vecchi” pedaggi: è questa in realtà una forma di tassazione indiretta che dovrebbe forse passare attraverso il vaglio del Parlamento. Nei rinnovi delle concessioni non si palesa alcuna chiara scelta tra l’uno o l’altro criterio. Obiettivi e politica tariffaria restano affidati all’ambiguità di un sistema che di “price cap” ha solo il nome, mentre lascia in realtà ampia discrezionalità al regolatore di rivedere periodicamente le tariffe sulla base di piani finanziari concordati e “segretati”, pertanto al riparo da qualunque possibile verifica esterna.
Nel caso della società Autostrade si è passati, in realtà, dal “price cap” a una formula tariffaria meno ambigua, che lascia il “rischio traffico” al concessionario, ma con margini di profitto che avrebbero giustificato un prezzo ben più alto di quello pagato a suo tempo, mentre resta ampia la discrezionalità del regolatore per la scelta e remunerazione dei nuovi investimenti.
Per verificare quanto la politica tariffaria in Italia abbia avuto successo nell’obiettivo dichiarato di contenere gli “extraprofitti” dei concessionari monopolisti a difesa degli utenti, basterebbe una semplice ricerca storica suibilanci delle concessionarie: confrontare quanto gli azionisti abbiano versato a titolo di capitale e quanto abbiano incassato nel tempo come dividendi, e ora, al termine delle concessioni, quanta liquidità si ritrovino nella società. Un bell’esercizio, da proporre come tesi per gli studenti. Nel caso dell’Autobrennero, ad esempio, considerando che gli azionisti versarono al tempo meno di 3 miliardi di lire, per calcolare il rendimento su questo capitale occorrerebbe usare la tavola logaritmica.
(1) Si veda Giorgio Ragazzi I signori delle autostrade, Il Mulino 2008, pagg 75-90.
(2) Ibidem, pagg 187-200.
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Bruno Cipolla
Voglio pensare male.
Gran parte degli extraprofitti sui pedaggi vengono fatti sparire in costosi e in parte inutili lavori sulla rete, spesso effettuati da società parte dello stesso gruppo.
La classe partitica potrebbe (ha ha) ricevere dei robusti kickback in cambio dei rinnovi delle concessioni a condizioni di estremo favore.