Quali sono stati gli effetti della legge Fornero? Sembra aver ridotto le distorsioni e gli abusi nell’utilizzo di alcuni contratti atipici. Ma anche disincentivato le imprese ad assumere nuovi lavoratori o a rinnovare i contratti in scadenza, per l’incertezza del ciclo economico.
COSA È SUCCESSO ALLA CARRIERA DEI LAVORATORI?
Le dinamiche che segnano l’evoluzione dei posti di lavoro sono il frutto del ciclo economico. Nessuno può negarlo. Tuttavia, a partire dalla seconda metà del 2012, è entrata in vigore una riforma del mercato del lavoro (legge 92/2012), che ha reso più stringenti i criteri per l’utilizzo delle principali forme contrattuali a termine e i cui effetti si sono inevitabilmente intrecciati con quelli della congiuntura. Allora, due domande sono le domande che sorgono: il riassetto normativo predisposto dall’allora ministro Fornero ha redistribuito le opportunità di lavoro, favorendo quelle a maggiore durata e tutela? E poi, indipendentemente dagli esiti della redistribuzione, quale impatto ha avuto la riforma sul volume complessivo della domanda di lavoro? Senza la pretesa di avanzare valutazioni conclusive, proviamo a fornire una risposta utilizzando i dati amministrativi sui flussi di avviamenti, cessazioni e trasformazioni dei centri per l’impiego. L’analisi si riferisce alla Toscana. (1)
L’analisi descrittiva delle carriere dei lavoratori cessati prima e dopo l’entrata in vigore delle legge Fornero consente di ricavare alcuni indizi su quello che è successo. Consideriamo le coorti di lavoratori cessati nel terzo trimestre 2010 e 2012 nelle quattro principali fattispecie contrattuali a termine (il lavoro intermittente, quello parasubordinato, il contratto a tempo determinato e l’apprendistato) e confrontiamo gli esiti occupazionali di questi lavoratori a distanza di sei mesi. Rispetto a quanto avvenuto nel 2010, immediatamente dopo la riforma sono cresciute le probabilità di ritrovare lavoro per chi proveniva da un rapporto intermittente; viceversa, la probabilità di essere occupato si è ridotta per tutti gli altri lavoratori flessibili.
Figura 1 – Cessazioni registrate nel terzo trimestre di ogni anno per contratto di origine e esito a 6 mesi.
Fonte: elaborazioni Irpet su dati Sil, Regione Toscana
In ogni caso, chi ritrova il lavoro con quali modalità contrattuali viene avviato? Quello che si rileva è una crescita dei passaggi dal lavoro intermittente verso il tempo indeterminato e determinato, spesso all’interno della stessa azienda, che di fatto celano una trasformazione del medesimo rapporto di lavoro. Lo stesso effetto si rileva anche tra i lavoratori parasubordinati, sebbene con una minore intensità. Il lavoro in apprendistato e quello a tempo determinato, invece, non registrano segnali evidenti in questa direzione.
Figura 2 – Esiti contrattuali a un mese della coorte di cessati nel terzo trimestre da un contratto intermittente e nuovamente assunti.
Figura 3 – Esiti contrattuali a sei mesi della coorte di cessati nel terzo trimestre da contratto di lavoro parasubordinato e nuovamente assunti.
Dopo la riforma, quindi, per alcune tipologie di lavoratori più flessibili (intermittenti e parasubordinati) sono aumentate le probabilità di stabilizzazione, ma è al tempo stesso cresciuta la probabilità di restare disoccupato alla scadenza del contratto a termine: vale per il parasubordinato, come si osserva nella prima tabella, ma anche per il determinato e l’apprendistato.
Si tratta, però, di evidenze descrittive, e quindi potrebbero essere il frutto di una combinazione di eventi, su tutti la recessione, che hanno agito in concomitanza con la riforma.
MENO LAVORO, MA PIÙ TUTELATO
Le indicazioni tratte dall’analisi delle carriere trovano conferma nella evoluzione temporale dei macro dati degli avviamenti delle principali tipologie contrattuali: crolla l’intermittente, flette l’area del parasubordinato, cala l’apprendistato, cresce il tempo indeterminato e, sebbene in misura inferiore, il lavoro a tempo determinato. Il tutto mentre si accentua la riduzione del numero totale degli avviamenti.
Pertanto, in corrispondenza dell’entrata in vigore della riforma, è avvenuta una variazione (di segno o di intensità) negli andamenti delle singole tipologie contrattuali. L’evidenza è suffragata dall’applicazione del test di Chow, che evidenzia la presenza di un break strutturale nelle serie temporali degli avviamenti (eccetto che per l’apprendistato). (2)
Figura 4- Tassi di variazione (%) degli avviamenti per tipologia contrattuale.
Nota. Il test di Chow è stato condotto stimando, per ciascuna delle serie considerate, una regressione, tramite il metodo Ols, con la sola costante e testando successivamente per la presenza di un break strutturale a partire dal luglio 2012 (ipotesi nulla: assenza di break strutturale). (*) significatività al 10 per cento; (**) significatività al 5 per cento; (***) significatività all’1 per cento.
Sebbene il break osservato non possa essere necessariamente imputabile alla riforma, in quanto potenzialmente riconducibile a una pluralità di eventi, l’andamento anticiclico del tempo indeterminato e di quello determinato lascerebbe supporre un passaggio da alcune forme contrattuali più flessibili a quelle più stabili, ma con un volume di avviamenti complessivamente in calo.
Ulteriori analisi econometriche svolte sulle serie temporali degli avviamenti, ma anche dei saldi fra avviamenti e cessazioni, e infine degli occupati, confermerebbero – dopo avere controllato per il ciclo economico – una associazione negativa fra la riforma e la dinamica del volume complessivo di lavoro. Quindi, se redistribuzione c’è stata, sembra essere stata parziale e su dimensioni della torta inferiori a prima.
A questo livello di approfondimento, nulla di conclusivo può essere ancora argomentato. Vi sono però molti indizi per i quali la riforma abbia avuto un duplice effetto: da un lato, avrebbe indotto un meccanismo di sostituzione tra le diverse forme di lavoro, riducendo le distorsioni e gli abusi nell’utilizzo di alcuni contratti atipici; dall’altro, avrebbe disincentivato le imprese ad assumere nuovi lavoratori o a rinnovare i contratti in scadenza, dato il quadro di assoluta incertezza del ciclo economico. Meno lavoro, quindi, sebbene per alcuni migliore.
Poiché il problema è creare lavoro, il tema è come farlo. Delle due l’una: o ridurre significativamente il costo del lavoro; oppure rilanciare la domanda aggregata, con un piano mirato ma generoso di investimenti. Prima cominciamo a ragionare su questo, prima (forse) usciremo dalla crisi.
(1) Per i dettagli si rinvia al Rapporto 2013 sul mercato del lavoro in Toscana, Collana Irpet, in corso di pubblicazione
(2) I test di Chow sono stati condotti dopo aver stimato una regressione di ciascuna delle variabili dipendenti sulla sola costante e non controllando per la presenza di variabili omesse, a cui potrebbe essere legato il cambio di media. Inoltre, il test è eseguito sotto l’assunzione di conoscere la data del break strutturale. Ai fini del ragionamento sviluppato in questa sede, tuttavia, i test sono intesi come uno strumento per effettuare una prima valutazione sulla significatività del cambio nel tasso di crescita medio delle variabili in esame. Una analisi di sensitività dei risultati rispetto all’andamento del ciclo economico, alle condizioni del mercato del credito e al timing della riforma è svolta nel Rapporto sul mercato del lavoro in Toscana, al quale rinviamo per ulteriori approfondimenti.
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rob
“Poiché il problema è creare lavoro, il tema è come farlo”. Assunzione con una semplice domanda ad un unico organo di stato (non 78 procedure). Contributi pari al 35% dello stipendio (come si fa nei Paesi seri) . Con il 35% di uno stipendio di 1500 euro si versa 525 euro al mese una cifra enorme che se il dipendente si facesse una assicurazione privata capitalizzerebbe una enormità. Inoltre vorrei suggerirvi di uscire dai dati e dai numeri freddi provate a farvi un giro e vedete il dramma quotidiano che si compie ogni giorno per l’Italia. Se vi viene un padre di famiglia che ti dice fammi fare almeno 2 ore per fare la spesa stasera cosa gli rispondereste voi? Per assurdo la pace sociale la stanno mantenendo quei piccoli e medi imprenditori che rischiano (ancora) sulla propria pelle.
domenico sannella
La realtà nelle aziende va ben oltre le analisi statistiche, che comunque servono a capire l’andamento generale.
Il problema è uno solo. Il costo del lavoro è esagerato, e le aziende cercano vie alternative per risparmiare, perdendo capitale umano che necessariamente impatta sulla strategia di lungo periodo.
Maurizio Serafin
Credo l’articolo e il rapporto di ricerca che ne è alla base abbiano, fra gli altri, il merito di dare dimostrazione scientifica della vanità di tante riforme che si illudono, modificando i soli meccanismi di regolazione del mercato del lavoro senza politiche fiscali, economiche e di cura del cosiddetto “capitale umano” congruenti, di risolvere i problemi occupazionali di un Paese, limitandosi in realtà con effetti sostituzione solo ad allocare diversamente il lavoro e il reddito. Di questo insegnamento sarà bene farne tesoro nelle prossime settimane, in cui l’avvio della Garanzia Giovani rischia di limitarsi a “spiazzare” i disoccupati over con gli inoccupati under per effetto di mal calibrate politiche di incentivi all’occupazione e di premi all’inserimento lavorativo.
michele
Non sono d’accordo, penso che si possono fare serie riforme, a costo 0, per migliorare sensibilimente la questione lavoro.
Deburocratizzare
Contratto unico
Salario minimo
Tre cose a costo zero da intrudurre con allegerimento del fisco.
Enrico
Be’, non proprio a costo zero, mi riferisco alla prima: “deburocratizzare”. Che ne facciamo di tutti gli uffici (centrali, periferici) nati per gestire le pratiche?”. Comunque ha centrato il punto: la riduzione della burocrazia è uno dei punti cardine.
Vincenzo Tondolo
“Di solito si usano le statistiche come un ubriaco i lampioni: più per sostegno che per illuminazione”. (Mark Twain)