Più che un punto di arrivo, l’accordo tra Renzi e Berlusconi sulla riforma della legge elettorale sembra essere un punto di partenza. La proposta non risolve appieno i vecchi nodi: premio di maggioranza, liste bloccate e soglie di sbarramento. Il sistema delle garanzie e la questione del Senato.
I VECCHI PROBLEMI
Il testo base per la riforma elettorale frutto dell’incontro Silvio Berlusconi- Matteo Renzi è ufficialmente depositato, quindi si può sviluppare un ragionamento basato più sui fatti e meno sulle impressioni. Per un giudizio meditato è metodologicamente serio partire da quanto veniva quasi unanimemente criticato nella normativa precedente (legge 270/2005) e in buona parte rilevato anche dalla recente sentenza della Corte costituzionale che ne ha cassato alcuni punti fondamentali.
1. Un premio di maggioranza ritenuto incongruo perché troppo ampio e senza un quorum minimo per la sua attivazione (quorum che era presente non solo nella “legge truffa” del 1953, ma addirittura nella “legge Acerbo” del 1923, che prevedeva il raggiungimento del 25 per cento dei voti).
2. Un combinato disposto di riparto dei seggi su base nazionale e liste bloccate “lunghe” che hanno reso impossibile all’elettore influire in qualche modo sulla composizione dell’assemblea, anche a causa del meccanismo delle candidature in più circoscrizioni e successivi subentri.
3. La presenza di soglie di sbarramento plurime con incentivi all’apparentamento, che hanno concorso a costruire coalizioni artificiali, fondate più sulla volontà di conseguire il premio che su una effettiva coesione politica e programmatica.
4. Una indicazione del “capo della coalizione” in contraddizione con l’articolo 92 della Costituzione, sulla quale però non esiste formale parere della Corte perché questo aspetto non era compreso tra i punti del ricorso oggetto della sentenza.
5. Il rischio di maggioranze diverse tra Camera e Senato, considerato anche il vincolo costituzionale dell’elezione del secondo “su base regionale” e la diversa base di elettorato attivo.
UNA PROPOSTA DA MIGLIORARE
Come notato anche da Paolo Balduzzi e Massimo Bordignon nel loro contributo , il testo della proposta di riforma mantiene i difetti dei primi tre punti, non influisce sul quarto e rimanda il quinto alla riforma costituzionale. Infatti leggendo nel dettaglio, si nota che:
a) il premio di maggioranza scatterebbe al 35 per cento, con ballottaggio nel caso in cui nessuna forza politica raggiunga tale soglia. Quindi un premio del 18 per cento se va bene e molto più elevato se va male, grazie al meccanismo del ballottaggio al quale – nel 2013 – sarebbero state ammesse due coalizioni nessuna delle quali capace di raggiungere il 30 per cento dei voti al primo turno;
b) le liste sono ancora bloccate, anche se più corte (tre-sei eligendi). Ma poiché si mantiene un riparto su base nazionale con quozienti interi e più alti resti, rimane impossibile garantire la scelta dell’eletto da parte dell’elettore, così come assicurare un adeguato equilibrio territoriale. Si replica che “si faranno le primarie”, ma queste sono una mera conta interna ai partiti, non un modo per rilegittimare in chiave sistemica il rapporto tra classe politica e comunità;
c) rimangono gli sbarramenti plurimi e l’incentivo a creare coalizioni eterogenee al solo scopo di abbassare il “costo” di accesso al Parlamento, considerata anche la soglia – assurdamente alta – da superare per i partiti non apparentati, fissata all’8 per cento: con i dati 2013 significa circa 3 milioni di voti nazionali.
d) per i cittadini residenti in Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta rimangono i vecchi collegi uninominali al fine di garantire una rappresentanza delle minoranze linguistiche. Questo però li esclude dal determinare la coalizione vincente, tagliandoli così fuori dalla scelta del Governo.
La proposta potrebbe essere migliorata facilmente con pochi ritocchi, rendendola meno contraddittoria negli strumenti e meno “borderline” per quanto riguarda la legittimità costituzionale. Sarebbe sufficiente elevare la soglia per il conseguimento del premio al 40 per cento; sostituire le liste bloccate con collegi uninominali da attribuirsi con un riparto proporzionale su base circoscrizionale, così da evitare il problema dei resti e garantire l’equilibrio territoriale (non è difficile, è il sistema in vigore per l’elezione dei consigli provinciali e fu quello utilizzato per il Senato dal 1948 al 1994). Infine, lo sbarramento, che dovrebbe essere il medesimo a prescindere dalla partecipazione o meno a coalizioni.
Rimarrebbe molto da dire sul sistema elettorale del Senato, che non può essere con premio e riparto nazionale (l’articolo 57 della Costituzione prevede il “riparto su base regionale”) e, soprattutto, riesce difficile immaginare la “soppressione” pura e semplice della seconda Camera e la sua sostituzione con una indefinita “Camera delle autonomie” la cui composizione, poteri, modalità di elezione è ancora tutta da verificare.
GARANZIE DA TUTELARE
Nel caso in cui la riforma dovesse però andare in porto anche nella sua dimensione costituzionale (cioè l’abrogazione-ridimensionamento del Senato) si apre un tema oggi ignorato nel dibattito, ma di importanza centrale: quello del rafforzamento del sistema delle garanzie e dei checks and balances istituzionali.
In nessuna grande democrazia dove le competizioni hanno esito maggioritario esiste un capo dello Stato “garante” eletto dal Parlamento. Regno Unito e Spagna sono monarchie (così come Canada e Australia), Francia e Stati Uniti hanno un presidente eletto direttamente dal popolo e la Germania per eleggere il presidente federale crea un’assemblea ad hoc composta in via paritaria dai membri del Bundestag e da delegati regionali (un’assemblea di 1.200 persone, che si scioglie dopo aver adempiuto al suo compito). E quindi abolire o ridimensionare fortemente il Senato prevede anche un ritocco alle modalità di elezione del Presidente della Repubblica e degli altri organi di garanzia eletti dal Parlamento in seduta comune: Corte Costituzionale e Consiglio superiore della magistratura, considerato che la nostra Costituzione, in tutti i suoi equilibri formalizzati, mostra in filigrana il sistema proporzionale.
Sarebbe opportuno pensare anche al rafforzamento delle garanzie per i parlamentari dell’opposizione. Ad esempio, la Costituzione francese (paese maggioritario fortemente sbilanciato verso l’esecutivo) all’articolo 61 comma 2 stabilisce che: “[…] le leggi possono essere deferite al Consiglio costituzionale, prima della loro promulgazione, dal Presidente della Repubblica, dal primo ministro, dal presidente dell’Assemblea nazionale, dal presidente del Senato, da sessanta deputati o da sessanta senatori”. Si tratta di un controllo preventivo di costituzionalità molto più concreto ed efficace rispetto a quello previsto nel nostro procedimento parlamentare: in Italia la “pregiudiziale di costituzionalità” è discussa direttamente dall’assemblea e quindi, inevitabilmente, viene dato un voto di tipo politico (la minoranza a favore, la maggioranza contro).
In conclusione, più che un punto di arrivo, quello stipulato tra Renzi e Berlusconi sembra essere il punto di partenza, ma resta molto da fare, se solo il dibattito politico smetterà di ruotare attorno alle sorti personali di questo o quell’altro leader.
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paolo
La proposta di Renzi va bene così com’è. basta piccoli partitini e basta al mercato delle vacche delle preferenze.
anco39
Basta con le prime donne, si chiede il rispetto della rappresentatività di tutte le idea politiche democratiche. Piuttosto mi chiedo, con tutti i costituzionalisti esistenti in Italia, le modifiche alla Costituzione e a leggi importanti, le devono fare dei semianalfabeti?
Luigi Oliveri
La proposta di Renzi è evidentemente incostituzionale, non funzionale, approssimativa. Sarebbe opportuno ascoltare e dare credito alle critiche, senza lasciarsi andare al “tifo”. Ragionando.
Cepian Masa
A Trento, A Trento.
Vado per gli 88, speravo che la buona sorte mi donasse per il mio ultimo voto un bel uninominale classico, che Einaudi raccomandava ( v. il suo ‘Concludendo’),
Mi toccherà trasferirmi nel Trentino – Alto Adige per farlo. Costerà molta fatica e un po’ di quattrini, ma vuoi mettere la soddisfazione di votare per il signor …(nome e cognome) e non per un contrassegno di lista.
Gianni Ferrara
Le osservazioni e le proposte sono condivisibili .
Cosa accade se due forze superano il 35% ol 40% ? Cio’ e’ possibile. Non e’ detto come si attribuisce il premio di maggioranza. Il ballottaggio e’ indicato solo se non si supera il tetto definito.
Sono per il metodo delle preferenze. Qualora restassero le liste bloccate la sequenza dei nominati sulla scheda avvenisse tramite sorteggio, rispettando l’alternanza dei generi.
I valori, della rappresentativita’, devono essere considerati su base dei risultati per Circoscrizione. Questo permette l’inclusione di forze politiche radicate solo in alcuni territori. A livello nazionale il restante conteggio del premio di maggioranza.
Francesco Crispino
Condivido le osservazioni dell’articolo, credo tuttavia che sia necessario uscire dalle secche delle discussioni infinite alle quali abbiamo assistito negli ultimi anni. Bisogna trovare l’accordo in Parlamento. Renzi non avrebbe nessun interesse a far saltare il tavolo a fronte di una proposta migliorativa che superi le criticità evidenziate nell’articolo di Marco Cucchini. La stessa base che ha legittimato il segretario alle primarie è chiaramente favorevole a votare con liste aperte, ma è altrettanto evidente che bisogna evitare in tutti i modi di ritornare al voto con un meccanismo quale il mattarellum che riprodurrebbe certamente la situazione di ingovernabilità attuale. Tra la difesa strenua dei diritti di rappresentanza delle minoranze che divengono diritti di veto, ed un po di sana di Realpolitik, in questo momento, propendo per la seconda. Abbiamo bisogno di un governo forte ed autorevole per rilanciare il Paese e la nostra economia e creare una nuova Europa.
Giorgio Visentini
b) le liste sono ancora bloccate.
La riforma elettorale dovrebbe prevedere di lasciare al singolo partito la scelta fra liste bloccate o preferenze.
Precario2
Più che le liste bloccate che se in collegi piccoli possono anche starci, non funzionano le soglie. Troppo basso il 35% e troppo alte le soglie di sbarramento, che io metterei del 4% sempre. Perchè penalizzare la rappresentanza quando poi hai il premio di maggioranza?
Ma io avrei anche una soluzione innovativa per mettere d’accordo un po’ tutti e che darebbe anche più spazio di dialogo parlamentare. Si vota con il sistema della Corte, ma si modificano Senato e
titolo V. La ”fiducia” va a chi ottiene la maggioranza anche se relativa, che assume governo ed onere delle proposte. Poi su ogni proposta le opposizioni se votano no, devono motivare il no e fare una
controproposta e solo se la controproposta è identica i no si sommano.
Esempio: A ottiene il 34%, B e C il 33%. Governa A e supponiamo che sul lavoro decida di proporre un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti al posto dei contratti a progetto. B è contrario perchè vuole che restino i contratti a progetto. C è contrario perchè vuole più tutele. Ci saranno 3 mozioni in campo e quella che ottiene la
maggioranza anche relativa diventa legge.
Se ognuno vota il suo passa la A con il 34% contro due no distinti da 33%, ma non sommabili. Cosa ne
pensate?
enzo
Tutto condivisibile e di buon senso. in particolare andrebbe compreso il motivo, probabilmente di opportunismo partitico, per cui si rifiuta sistematicamente l’uninominale e si ritorna sempre al premio di maggioranza. Entrambi dovrebbero garantire la governabilità ma l’uninominale mi sembra più rispettoso della volontà dell’elettore e più logico. Un’altra questione, che sia l’uninominale che il premio di maggioranza portano con se, secondo me, è il quoziente necessario per le riforme costituzionali e per l’elezione del presidente della repubblica: se il parlamento è eletto in modo proporzionale piuttosto che negli altri due le cose cambiano parecchio.
Franco da Parma
Siamo comunque in una situazione di grande rischio. C’è l’illusione di poter dare certezza e stabilità per la/e forza/e vincente/i, in realtà la debolezza dei nostri governi è dovuta alla qualità del personale politico che si è abbassata notevolmente rispetto a 30/40 anni fa. Con governi instabili l’Italia è progredita notevolmente, con il primo governo forte e stabile (Craxi/Andreotti) è cresciuto solo il debito pubblico. Proviamo a pensare che la legge elettorale venga approvata (ovviamente anche dal Senato) e che non riescano ad andare a compimento le riforme costituzionali. Il caos sarebbe totale perché ci sono forze che hanno comunque interesse ad anticipare le elezioni. Con quale legge elettorale si voterebbe visto che il sistema maggioritario per il Senato dovrà essere regionale? Infine rendiamoci conto che la debolezza del personale politico è l’effetto di una generale caduta di qualità di noi italiani e oggi lo vediamo alla grande.