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MAGGIORITARIO E PROPOSTA VASSALLO A CONFRONTO

Il maggioritario a turno unico può garantire il bipolarismo, ma non la governabilità. Il doppio turno favorirebbe entrambe le cose, ma non ha nessuna chance di essere adottato. La proposta Vassallo si muove sul terreno delle scelte possibili: riduce la frammentazione, ma non troppo; favorisce la credibilità delle opzioni di governo, ma può creare scricchiolii nel bipolarismo. Mentre il vero effetto della legge elettorale sulla qualità e l’impegno della classe politica dipende dal grado di concorrenza che si crea in contesti diversi.

Ora che si allontana lo spettro delle elezioni anticipate e si avvicina quello del referendum, il dibattito sulla riforma elettorale entra nel vivo. Tito Boeri e Vincenzo Galasso mettono sul piatto il dilemma che minaccia di dividere il fronte degli innovatori: sistema maggioritario o proposta Vassallo? Gli effetti delle due alternative dovrebbero essere valutati sia in un’ottica macro (sistema partitico e governabilità) sia in un’ottica micro (caratteristiche della classe politica).

Gli effetti sul sistema politico

La proposta Vassallo ha il merito di introdurre un obiettivo troppo spesso sottovalutato: evitare il formarsi di "coalizioni pre-elettorali artificiose, prive di coesione programmatica". È il problema che Giovanni Sartori pone da anni: la stabilità (dei governi) si rivela dannosa se non è accompagnata dall’effettività (del governare). Nella Seconda Repubblica, tutte le maggioranze governative si sono rivelate eterogenee e inconcludenti.
Il sistema prevalentemente maggioritario (al 75 per cento) che abbiamo sperimentato dal 1994 al 2001 non ha ridotto la frammentazione partitica. Boeri e Galasso si chiedono se ciò non sia dipeso dal fatto che il maggioritario era "diluito" (dal 25 per cento della quota proporzionale). La frammentazione, tuttavia, era tale solo nella parte maggioritaria e non in quella proporzionale (con sbarramento). Nell’ultima legislatura del Mattarellum (2001-06), i deputati eletti nel proporzionale appartenevano a cinque partiti, mentre i deputati eletti nel maggioritario appartenevano a ben tredici. Le formazioni minori, grazie al loro potere di ricatto ("se non mi dai qualche collegio sicuro, mi presento ovunque e ti faccio perdere"), riuscivano a far eleggere i loro esponenti proprio nei collegi uninominali. È vero che, in un’ottica dinamica, si potrebbe pensare che, a forza di votare con il maggioritario a turno unico (al 100 per cento), i partiti minori potrebbero sparire a causa delle poche occasioni per contarsi. Ma in Italia, dove si vota con il proporzionale a molti livelli (regionale, comunale) e i regolamenti parlamentari permettono la formazione di piccoli gruppi non presenti sulla scheda elettorale, le occasioni di visibilità politica esisterebbero comunque. Solo il doppio turno ridurrebbe il potere di ricatto dei partiti minori, ma proprio per questo la probabilità che si faccia strada è quasi nulla.

D’altro canto, è vero che il Mattarellum ha consentito una competizione bipolare e la scelta della maggioranza di governo da parte degli elettori. Mentre esiste il rischio paventato da Boeri e Galasso che la proposta Vassallo aumenti il potere d’interdizione dei partitini di centro, riducendo, però, il potere di ricatto dei partitini alle estreme. Quella proposta, tuttavia, è perfettamente compatibile con una competizione bipolare incentrata su due grandi partiti a vocazione maggioritaria, che collaborino con le formazioni minori senza snaturare il proprio programma di governo. Ma, affinché ciò si realizzi, dovrebbero verificarsi condizioni non così scontate nel contesto italiano, come un accordo esplicito tra le forze maggiori. In Spagna, ad esempio, il partito socialista ha già dichiarato ufficialmente che, se dovesse prendere anche un solo voto in meno del suo diretto antagonista , lo lascerebbe governare, anche qualora il partito popolare non raggiungesse il 50 per cento e fosse realizzabile una coalizione alternativa formata dal Psoe e dai partiti minori (comunisti, nazionalisti).
Un’altra peculiarità italiana che, sposandosi con la riforma Vassallo, rischia di aumentare a dismisura il potere dei partitini di centro è l’invadenza della politica in molti settori economici e sociali. L’Italia è ancora piena di "partiti degli assessori" che si auto-riproducono grazie al potere discrezionale del ceto politico in molti campi. È chiaro che molti esponenti di questo ceto periferico verrebbero attratti, come gli orsi dal miele, dal nuovo potere d’interdizione delle piccole formazioni di centro.
Diciamola così: in un’ottica macro, il maggioritario a turno unico può garantire il bipolarismo, ma non la governabilità. Il doppio turno favorirebbe tutte e due le cose, ma non ha nessuna chance di essere adottato. La proposta Vassallo si muove sul terreno delle scelte possibili: riduce la frammentazione, ma non troppo (per schivare il fuoco dei veti incrociati); favorisce la credibilità delle opzioni di governo, ma può creare scricchiolii nel bipolarismo (soprattutto se non si sposerà con un accordo tra i partiti maggiori e una riduzione dell’invadenza della politica nella società).

Gli effetti sulla qualità del personale politico

Quali sono invece gli effetti che possiamo attenderci dalla riforma Vassallo (o da un ritorno al maggioritario) in termini di selezione della classe politica? Un recente studio econometrico sui deputati eletti con il Mattarellum (1) mostra che gli eletti nella parte maggioritaria danno prova di un maggiore impegno parlamentare rispetto ai loro colleghi eletti con il proporzionale, secondo le misure disponibili di produttività parlamentare: assenteismo alle votazioni elettroniche, produzione legislativa. In termini di caratteristiche osservabili, inoltre, il maggioritario favorisce chi ha avuto esperienze amministrative a livello locale (56 per cento contro il 43 per cento nel proporzionale), mentre sfavorisce le donne (9 contro il 24 per cento) e chi ha avuto incarichi nazionali di partito (21 contro il 27 per cento). Il ritorno al maggioritario, quindi, favorirebbe l’accountability politica e il controllo degli elettori sugli eletti, ma potrebbe avere effetti collaterali sull’eguaglianza di genere.
La proposta Vassallo, dal canto suo, sarebbe associata a una minore accountability rispetto al maggioritario, pur rappresentando un miglioramento rispetto all’attuale legge elettorale con (lunghe) liste bloccate. Anche se il ruolo delle liste bloccate nella proposta Vassallo restasse esiguo (al momento, sarebbero rilevanti solo per quei partiti che ottengono più del 50 per cento dei voti in una circoscrizione), gli incentivi individuali verrebbero ridotti dal fatto che gli sconfitti nei collegi uninominali che vengono ripescati perdono comunque il contatto con l’elettorato e, in prima battuta, hanno pochi stimoli a impegnarsi sapendo di essere eletti in ogni caso. Per esempio, i dati sul Senato eletto con il Mattarellum ci dicono che i "ripescati" mostravano un tasso di assenteismo parlamentare del 49 per cento contro il 35 per cento dei vincitori nei collegi uninominali.

È probabile, tuttavia, che il vero effetto della legge elettorale sulla qualità e l’impegno della classe politica dipenda dal grado di concorrenza che si crea in contesti diversi. Anche con il maggioritario, se la distribuzione ideologica dei votanti tra aree del paese rendesse tutti i collegi "sicuri" in favore di una parte politica o dell’altra, gli incentivi a selezionare i candidati migliori o agire nell’interesse degli elettori sarebbero comunque tenui. Certo, con le liste bloccate decise dalle segreterie dei partiti gli incentivi sono pressoché nulli. Ma se la proposta Vassallo si conciliasse con le primarie per ogni singola candidatura, alcuni elementi di apertura potrebbero essere recuperati. L’importante è trovare modi efficaci per aumentare la contestabilità di tutte le cariche elettive. Solo così si potranno rimuovere i due effetti perversi della scarsa concorrenza politica: la "solitocrazia" (il basso tasso di ricambio della classe dirigente) e la "gerontocrazia" (la difficoltà delle giovani generazioni nel raggiungere posizioni di responsabilità).

(1) Si veda Gagliarducci S., Nannicini T. e Naticchioni P. (2007), "Electoral Rules and Politicians’ Behavior: A Micro Test", Cemfi Working Paper n.0716.

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E LA PERIFERIA DIVENTA ZONA FRANCA *

  1. darmix

    Non è vero che “i regolamenti parlamentari permettono la formazione di piccoli gruppi non presenti sulla scheda elettorale”. Il regolamento della Camera fissa in 20 il numero minimo di deputati necessario per formare un gruppo parlamentare e usufruire dei finanziamenti per il suo funzionamento. C’è una motivazione politica che giustifica quel numero: in un’assemblea di 630 membri, se si vuole uno svolgimento serio dei lavori occorre che un gruppo esprima una realtà anche se minima (20) con una certa consistenza. E’ poi l’ufficio di presidenza della Camera che ha accordato «deroghe» per cui si sono costituiti (in questa legislatura) i gruppi parlamentari di Verdi, Udeur, Pdci, Rosa nel pugno, Dc, con pochi o pochissimi parlamentari, e lo stesso è stato fatto in passato.

    • La redazione

      È vero (grazie per la precisazione). Non mi ero dilungato sui dettagli per non appesantire il testo, anche perché il nocciolo del problema resta immutato: 1) nonostante i regolamenti fissino un minimo (comunque basso, pari al 3% dell’assemblea) di 20 deputati e 10 senatori per formare un gruppo, sono gli stessi regolamenti a fornire la scappatoia, prevedendo la possibilità di deroghe o
      sotto-articolazioni del gruppo misto dotate di prerogative e visibilità politica; 2) i regolamenti non stabiliscono nessun legame
      tra la presenza sulla scheda elettorale e la costituzione di un gruppo (cosa di cui si discute in questi giorni).

  2. giorgio cavallari

    Ho letto la proposta Vassallo e sembra, a me profano, piuttosto ingarbugliata. Ho vissuto parecchi anni in Francia ed ho avuto modo di vedere il doppio turno in azione. Mi pare poter riassumere così: al primo turno tutti i partiti si presentano separati e gli elettori votano col cuore; al secondo turno sono ammessi solo i candidati con più del 12.5%, in pratica si ritirano tutti tranne due, rappresentanti le principali coalizioni e con maggiore visibiltà; gli elettori allora votano con la testa e sanno chi votano. Così i partiti minori conoscono il loro peso, possono far valere il loro contributo ed ugualmente approffittare di situazioni di particolare inserzione nel territorio. Semplice e chiaro.

    • La redazione

      La sua descrizione del doppio turno è perfetta. Anch’io credo che sarebbe il sistema più semplice e con gli effetti migliori. Resta il problema su cosa fare se l’unica alternativa (politicamente) praticabile dovesse essere quella tra uninominale a turno unico e
      qualche variante del proporzionale. Il mio pezzo sostiene che, rispetto agli effetti sulla selezione della classe politica, il
      maggioritario è preferibile per l’accountability (ma forse non per l’eguaglianza di genere). Mentre il proporzionale potrebbe essere
      preferibile in termini di governabilità a patto che (e queste sono condizioni irrinunciabili): 1) ci sia una rilevante soglia di
      sbarramento (esplicita o implicita); 2) non ci sia premio di maggioranza (altrimenti si reintroducono le coalizioni modello circo
      Barnum e il potere di ricatto dei piccoli).

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