Giavazzi e Tabellini propongono un taglio alle tasse di 80 miliardi, finanziato dalla Bce e accompagnato da una riduzione della spesa futura. Ma nessun paese ha mai prodotto un piano credibile di riduzione di spesa così enorme. L’unica alternativa realistica: ridurre le tasse insieme alla spesa.
È sempre più comune l’opinione secondo cui “l’austerità non ha funzionato”: l’Europa è sul baratro della deflazione, e soffre di un deficit di domanda. Una recente proposta su lavoce.info di Francesco Giavazzi e Guido Tabellini offre una soluzione che è ampiamente condivisa: i paesi dell’Eurozona dovrebbero tagliare le tasse simultaneamente del 5 percento del Pil, e la Bce dovrebbe comprare il debito pubblico risultante. Allo stesso tempo, questi paesi dovrebbero presentare dei piani credibili per la riduzione della spesa pubblica futura.
Come notano Giavazzi e Tabellini, la Germania quasi certamente si opporrebbe. Ma anche non lo facesse, il piano non funzionerebbe. Il motivo non è che le politiche restrittive di bilancio (l’opposto del tax cut) siano espansive: come ho mostrato in una mia recente ricerca (1) (e contrariamente alle implicazioni di mie ricerche meno recenti), l’evidenza empirica in supporto dell’ “austerità espansiva” è debole.
UN PIANO CREDIBILE DI RIDUZIONE DELLA SPESA FUTURA È NECESSARIO …….
Dove è il problema quindi? Molti commentatori sono d’accordo che parecchie economie europee, come l’Italia o la Francia, hanno bisogno di ridurre permanentemente le tasse. Il vincolo di bilancio intertemporale dello stato ci dice che questo può essere ottenuto solo riducendo la spesa pubblica permanentemente. Un taglio delle tasse del 5 percento può essere interpretato come un modo di anticipare i benefici del taglio permanente delle tasse, mentre si attende che i tagli di spesa si materializzino. Perché questo funzioni, è necessario appunto un piano credibile di riduzione della spesa in futuro.
Perché? Nel mondo reale, il debito pubblico è rischioso, e ai mercati non piace che esso cresca, soprattutto in paesi con un alto livello di spesa e debito pubblici. Senza un piano credibile di riduzione della spesa in futuro, di fronte a un taglio delle tasse gigantesco come quello proposto da Giavazzi e Tabellini i mercati finanziari sarebbero presi dal panico, perché vedrebbero un ritorno alle politiche di bilancio irresponsabili del passato; questo avrebbe effetti devastanti sul settore bancario, ancora molto esposto al debito sovrano, come nel 2011. Il tentativo di espandere la domanda aggregata attraverso un taglio delle tasse si trasformerebbe in un boomerang.
…… MA NON FATTIBILE
Il problema di fondo è che è praticamente impossibile produrre un piano credibile di riduzione della spesa futura, tantomeno per l’importo enorme che un taglio delle tasse del 5 percento comporterebbe. L’esempio più chiaro è offerto dai due piani di consolidamento fiscali più celebri, la Finlandia e la Svezia negli anni novanta. Tra il 1992 e il 1996, secondo gli annunci ufficiali la Finlandia avrebbe dovuto ridurre il disavanzo dell’11,4 percento del Pil, di cui 12,1 percento del Pil in tagli alla spesa; gli stessi numeri per la Svezia erano del 10,6 e del 6,8 percento del Pil, rispettivamente. Tuttavia, questi erano gli annunci; la realtà fu molto differente. Alla fine di quel quinquennio, la Finlandia ridusse la spesa pubblica di solo lo 0,4 percento del Pil (contro previsioni di un taglio del 12,1 percento!), la Svezia del 3,6 percento.
Ma non è necessario andare indietro così tanto. Un taglio delle tasse del 5 percento del Pil in Italia significa 80 miliardi di euro. I tagli di spesa individuati in un anno di duro lavoro dal commissario Cottarelli sono al più di 12-15 miliardi, e presumibilmente non tutti verranno approvati dal governo.
Il problema è ancora più complicato perché la promessa di monetizzazione del taglio alle tasse della proposta di Giavazzi e Tabellini crea un insormontabile problema di azzardo morale. Per coloro che pensano che questo sia solo un problema di interesse teorico, è utile ricordare che la crisi del debito pubblico in Italia iniziò nell’estate del 2011, quando il governo italiano, dopo aver annunciato un taglio di spesa di circa 3 miliardi di euro (lo 0,2 percento del Pil) ritrattò immediatamente dopo che la Bce iniziò a comprare titoli di stato italiani.
Si potrebbe pensare che, se le cose non dovessero andare come ci si aspetta, si possono sempre ritirare i tagli alle tasse. Ma un paese come l’Italia non ha mai sperimentato un taglio discrezionale alle tasse di più del 0,5 percento del Pil. Un taglio e poi un aumento di tasse di una cifra come 80 miliardi di euro, creerebbero un disastro politico, ed enorme incertezza economica.
NON TUTTI I DISAVANZI SONO UGUALI
Non tutti i disavanzi di bilancio sono uguali. Una cosa è un disavanzo temporaneo per ricapitalizzare il sistema bancario in un paese con basso debito e con una storia di politiche fiscali responsabili, come in Gran Bretagna dopo la crisi finanziaria. Un’altra cosa è un disavanzo di bilancio senza un piano credibile per ridurre le spese future, in un paese ad alto debito pubblico, con una storia di politiche di bilancio irresponsabili e con governi tradizionalmente deboli.
Per un tale paese, l’unica alternativa possibile per raggiungere lo scopo più importante – ridurre le tasse – è di tagliare le tasse insieme alla spesa. Questo processo richiede tempo, e funzionerà incrementalmente, miliardo di risparmi di spesa dopo miliardo. Ma è l’unico approccio realistico. L’alternativa non raggiungerebbe il proposito di aumentare la domanda.
(1) Si veda R. Perotti, (2012): The “Austerity Myth”: Gain without Pain?, in A. Alesina and F. Giavazzi, eds.: Fiscal Policy after the Financial Crisis, pp. 307-354, National Bureau of Economic Research, scaricabile anche qui
* Una versione più lunga e in inglese di questo articolo è disponibile su www.voxeu.org
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Enrico
Nell’analisi sarebbe interessante includere il fattore tempo relativo all’Italia, perchè altrimenti si ricade
nella’approccio italiano dell’eterno rimandare. Molti sono d’accordo sul cosa fare, ma mai sul quando.
Da comune cittadino mi chiedo: quanto resta al nostro Paese prima di un default?
Enea Melandri
Abbiamo 6.000.000.000 (sei miliardi) di euro che potremo recuperare – anzi, risparmiare – senza perdere NULLA di quello che è lo Stato. Avvicinandoci anche ad un modello di società evoluta.
Alfonso
E l’aumento dell’iVA con contemporanea riduzione delle imposte dirette?
Piero
La riduzione delle spese del 10% sul capitolo della pubblica amministrazione e’ possibile, sono circa 70 mld, si deve operare con il piano Cottarelli, con l’adozione delle spese standard, anche sulla sanità e per la differenza tagli lineari.
Contestualmente al piano dei tagli rimodulare il contratto della pubblica amministrazione con incentivi legati alla produttività. Il principio che deve prevalere nella p.a. deve essere la meritocrazia, principio già presente nel settore privato.
Con tale risparmio, immediatamente eliminare l’Irap sulle imprese ( 39 mld) e per la restante somma ( 31 mld) ridurre in modo permanente la tassazione sul lavoro.
Contemporaneamente si dovrà ridurre l’imposizione sugli immobili, la copertura dovrà avvenire con l’aumento dell’Iva.
In tale modo ripartirà il settore immobiliare e i consumi delle famiglie, si avrà da parte delle imprese un ritorno agli investimenti in Italia, naturale che dovrà essere contemporaneamente risolto il problema del credit crunch per le imprese private.
Claudio
Cattivi maestri! Finché non si darà ristoro a 10.000.000 milioni di poveri e fiducia agli altri 50 sicuri che mai saranno lasciati soli questo paese non avrà futuro…
Aldo M ariconda
Concordo e aggiungo 2 spunti (non sono economista):
1) Perché si fatica a introdurre i costi standard nella sanità e ad intervenire sulle Regioni? La Sicilia pur a Statuto spec spende 10 volte l’Emilia/R.
2)Svezia, in crisi nel ’90 e -4% del PIL nel ’92. Ha fatto una politica coerente anticrisi. Cablaggio broadband di Stoccolma e anticipata deregulation TLC al ’94; privatizzazioni a 360* dal ’95; riforma della sanità, minore tassazione delle imprese. Risultato + 3% PIL/anno con punte del 4% fino alla crisi del 2008, durata meno che altrove
alex
Una sola parola: corruzione.
Da una seria lotta alla corruzione quanto si recupererebbe, redistribuendolo allo Stato sotto forma di taglio fiscale?
Non ho cifre, ma lavoro in una PA e ne sento di tutti i colori. Moltiplicatelo per tutte le PA ed il quadro, se non completo, sarà quanto meno verosimile.
E per corruzione intendo:
– consulenze da centinaia di migliaia di euro agli amici o ai parenti;
– appalti truccati per far vincere i soliti;
– progetti finti dentro cui ficcare parenti e amici e anche qualche consulenza che non guasta mai;
– e poi le solite cose: tangenti, mazzette e regalie varie fatte magari all'”insaputa” del beneficiario.
Tuttavia viene difficile chiedere ad un ladro di fare la guardia alla cassaforte e così allo stesso tempo non ha molto senso chiedere a questa classe politica di spararsi sui piedi.
Antonio Conati Barbaro
Tutto vero ma senza una riforma fiscale chiara e moderna in cui si definiscano responsabilità di imposizione, ripartizione centrale – regionale – comunale, associazioni dirette a singole poste di spesa, e si riducano il più possibile i trasferimenti a meno di quelli ‘di solidarietà’ non penso si possa risolvere alcunchè, rimarremo nella confusione e nei pseudo-tagli lineari.
Maurizio Cocucci
La proposta completa di Giavazzi e Tabellini (“Il debito supplementare dovrebbe essere acquistato integralmente dalla Bce, senza alcuna sterilizzazione corrispondente, e gli interessi sul debito dovrebbero essere restituiti agli azionisti della Banca centrale come signoraggio…”) è inattuabile in quanto ogni intervento diretto da parte della Bce è espressamente vietato dall’art.123 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Per modificare tale articolo occorre un voto unanime da parte del Consiglio Europeo (Capi di Stato o di Governo) con una procedura che richiede tempo dato che occorre consultare la Commissione Europea, il Parlamento Europeo e dato che riguarda materia di politica monetaria anche la Bce. Qui servono misure a breve termine, non che si possano attuare tra alcuni anni.
Il semplice intervento di Quantitative Easing presumibilmente non sarà mai attuato, intanto perchè non avrebbe l’efficacia tanto proclamata e poi perchè non c’è solo la Germania ad opporsi sebbene la semplificazione giornalistica tende a disegnare un simile scenario. Alla conferenza del 04/09/2014 Draghi ha così risposto: “QE was discussed. Some of our Governing Council members were in favour of doing more than I have just presented, and some were in favour of doing less. So our proposal strikes the middle of the road, but to answer your question, yes it was discussed. A broad asset purchase programme was discussed, and some Governors made clear that they would like to do more.”
Giulio
OLTRE AL TAGLIO CONTEMPORANEO DI SPESE E TASSE SI POTREBBERO OTTENERE MIGLIORAMENTI DEL RAPPORTO “DEBITO/PIL” ANCHE COL FAVORIRE INVESTIMENTI “A DEBITO”.
-In presenza di un rapporto dove il numeratore è più grande del denominatore, aumentando della stessa grandezza sia il numeratore che il denominatore, il valore del rapporto diminuisce.
-Con modalità legate alla funzione del moltiplicatore, certi investimenti, in tempi più o meno differiti, migliorano il rapporto debito/Pil.
-Nella realtà italiana, dove approssimativamente il debito è di 2000 miliardi ed il PIL di 1500 miliardi, il rapporto debito/pil è pari a circa 1,33. Aumentando della stessa quantità numeratore e denominatore si abbassa il valore del rapporto. Ossia anche con investimenti a debito il rapporto debito/pil può migliorare.
-Concludendo, anche in presenza di un alto indebitamento, con investimenti a solo debito, purchè caratterizzati da una leva non inferiore all’unità, anche se in tempi differiti, si possono raggiungere miglioramenti della situazione debitoria relativa.
Possibile che in Italia non si riescano a trovare, ed ad investire, in settori che presentano moltiplicatori adeguati?
marcello
Osservo che con buon ritardo nell’articolo si afferma che il sostgno empirico all’austerità espansiva è debole, viceversa vorrei ricordare che in una coppia di paper pubblicati per la BSI il prof. Aghion mostra che le politiche anticicliche hanno viceversa un evidente sostegno empirico. Peccato che, come nel caso del prolungamento dell’età pensionabile e della crescita dell’occupazione giovanile, le evidenze siano ricordate ex-post, o meglio quando i disastri sono stati compiuti. Vorrei sommessamente ricordare che negli anni dal 1995-2007 il debito pubblico Italiano è sceso di oltre 20 punti, mentre dal 2008 è cresciuto di 30, di cui 7-8 punti per il fondo salva stati.
La metà della spesa pubblica italiana rguarda debito in scadenza e interessi, il resto sono INPS, Sanità e stipendi dei dipendenti. I grandi tagli sono stati fatti e a più limando qua e la si può raccogliere una decina di miliardi, sempre sperando che gli Enti Lcali non compensino il tutto aumentando le tasse e le tariffe dei servizi. Credo che la situazione richieda ben altro e che questo altro possa solo venire da una spesa in deficit, non sarebbe la prima volta e nemmeno l’ultima. Quanto al Regno Unito, credo che non valga nemmeno la pena di parlarne. Un paese deindustrializzato che teme la vendita di astra zeneca perchè comporterebbe la distruzione di una delle ultime industrie rimaste, che vive sulla city, che fa free rider con l’eurzona e che ha un indice di disuguagluianza sociale vergognoso.
Piero
Non si esce dall’attuale situazione se non viene ripristinato il rapporto di fiducia tra banche e imprese
La soluzione del credit crunch, oltre che dalla Bce può avvenire anche con la crescita della circolazione della “moneta bancaria”. La “moneta bancaria” non dipende dall’offerta di moneta sotto il controllo della Bce, ma dalla domanda di moneta da parte dell’economia e della “propensione al prestito” o meglio al “rischio” delle banche. Naturale che oggi abbiamo le banche con i bilanci “gonfi” di titoli di stato, si ritiene quindi che solo la Bce possa con una “poderosa” campagna di acquisti sul mercato secondario sollevare le banche da tale peso che impedisce loro di fare il proprio mestiere, ossia prestare il denaro. Oltre tale problema abbiamo una situazione ancora più grave, la crisi economica interna ha diminuito l’affidabilità delle nostre Pmi, di conseguenza abbiamo una riduzione della “propensione al prestito” o al “rischio” da parte delle banche italiane, qui la soluzione non viene trovata dal mercato ma deve essere data dal Governo, dovrà scendere in campo con il “fondo centrale di garanzia statale” al fine di supportare il credito bancario e quindi agevolare il ricorso allo stesso da parte delle Pmi, in tale modo si ripristina la fiducia tra banche e imprese che oggi purtroppo è venuta meno.
L’intervento statale deve essere significativo, almeno 100 mld, naturale che le imprese che usufruiranno della garanzia si dovranno impegnare al mantenimento dell’occupazione.
Solo questa può essere la misura che fa decollare il Pil nei prossimi mesi, sicuramente interrompe la chiusura delle imprese, con tutti i benefici in termini di fondi utilizzati per gli ammortizzatori sociali.
L’aumento della circolazione della “moneta bancaria”, ha un effetto diretto nell’economia reale, naturale che il Governo dovrà restare concentrato sulle riforme già annunciate.
Henrico
Bravo Perotti! Prima la riduzione della spesa poi quella delle tasse; non serve uno sfasamento cronologico, ma bisogna insistere sull’ordine logico, decisionale. Aggiungo un’ipotesi fuori dal “politically correct”: anche se governo e parlamento seguissero interamente Cottarelli, i tempi di rientro in parametri sostenibili sarebbero troppo lunghi. Una soluzione più radicale sarebbe uno shock”rivoluzionario” (rompendo con il diritto vigente difeso dalla Corte Costituzionale) per i dipendenti pubblici: riconoscere il loro status diverso, la protezione contro i rischi di un licenziamento per ragioni economiche (salvo fallimento dell’intero Stato) dovrebbe consentire allo Stato di modificare le condizioni unilateralmente, ignorare i diritti acquisiti e imporre a tutti i contratti in essere nuove condizioni, eliminando”abusi e eccessi”. Per definire e giustificare una riforma unilaterale dei contratti “abusivi” servirebbe una decisione del più alto livello, cioè del popolo sovrano, che dovrebbe ratificare a condizioni di maggioranza molto severe la proposta del governo o di un gruppo di promotori “trasversale”. Nel 800 la differenza fra impiego pubblico e privato e il conflitto d’interessi con l’interesse pubblico di tutti erano talmente sentiti che in certi paesi funzionari e/o soldati erano esclusi dal diritto di voto. L’alternativa è rinviare tutto ai nostri nipoti con il rischio che nel frattempo succeda il peggio, qualcosa fra Grecia e Argentina.
Enrico
O magari qualcosa di peggio sia della Grecia che dell’Argentina
marcello
Percentuale degi dipendenti pubblici sul totale degli occupati: Italia 14,8%, UK 18,8%, Francia 20% in numeri che forse rende meglio le dimensioni relative: Italia 3.344.000, UK 5.703.000, Francia 5.509.800. Sugli stipendi della PA è meglio stendere un velo pietoso, a meno di parlare della dirigenza come è stato ampiamente fatto anche dall’autore dell’articolo. 350 miliardi di spesa pubblica aggredibile, perchè di questo si sta paralndo, che copre sanità, istruzione, asistenza, ricerca ecc. ! Cosa altro si vuole tagliare i trasferimenti agli enti locali che poi aumentano tasse e tariffe, oppure? Gradirei degli esempi coerenti che spostino veramente i numeri, grazie.
Maurizio Cocucci
Condivido in linea generale il contenuto del suo commento, rimane però il fatto che ci sono settori, e mi riferisco anche agli enti pubblici locali, in cui vi è eccedenza di personale e in altri in cui c’è carenza. Occorrerebbe una redistribuzione dell’organico nonché un efficientamento attraverso la riduzione della burocrazia e un maggiore affidamento alla tecnologia. In questo articolo dell’Eurispes la conferma che complessivamente non abbiamo troppi dipendenti pubblici: http://www.eurispes.eu/content/eurispes-uil-pa-italia-falso-mito-su-numero-eccessivo-dipendenti-pubblici
canio trione
L’approccio contabilista è sbagliato da chiunque seguito e comunque articolato. Tagliare qui per aggiungere là (pur necessario) non rilancia l’economia. quindi serve dire alto e forte che va aumentato il Pil da subito rendendo conveniente fare impresa cominciando da quella piccola e micro cui serve poco capitale per addetto.. Capisco che questo sembra blasfemo se proferito a coloro che insegnano e studiano solo le grandi imprese e banche ma si deve capire che serve un cambio radicale di indirizzo teorico e pratico. Il rilancio della piccola e microimpresa è l’unica strada sufficientemente grande da restituire vitalità alla domanda e all’occupazione. Per rilanciare il settore a parità di gettito si deve: azzerare la burocazia per le start up e le imprese sotto i 10 addetti (con me Marchionne oggi 16.9.14); dare facoltà all’imprenditore di forfetizzare l’imposta diretta in modo da lasciare invariato il gettito; e chiudere le pendenze con l’erario dei recenti folli anni di guerra agli idraulici & co. dichiarata da Monti. Un periodo di collaborazione tra pubblica amministrazione e cittadino e la fine della loro contrapposizione sul piano erariale e previdenziale è la ricetta risolutiva; ovvia e rivoluzionaria, semplice ma complessa da comprendere (specie per la politica e la dottrina dominante), Darebbe da subito affetti vistosi di condivisione a tutti i livelli e quindi di fiducia nel futuro proprio di ogni cittadino e collettivo dell’intera economia. Tutto a costo zero
marcello
Se nel 2007 il rapporto Debito Pubblico/PIL in Italia era al 103,6 % oogi dopo la ricetta dell’austerità espansiva è al 136% e l’Italia ha perso il 25% di capacità produttiva, cioè sono state distrutte imprese per il 25% del totale, non so se è chiaro il numero. Si parla di sostenibilità del debito, ma in economia il concetto di sotenibilità ha una chiara e inequivoca definizione, tanto che si definisce in un contesto definito regola aurea o regola aurea modificata. L’Italia è un paese che si è fondato sulla cambiale, ricordate questo strumento della nostra infazia che vedevamo nei cassetti dei nostri genitori? Cosa c’era alla base della cambiale, senza scomodare il codice civile e il diritto commerciale, l’onorare le scadenze. I primis pagare gli interessi e quindi rimborsare il capitale. Ci sono paesi in cui i cittadini, sono sempre in deficit per veder poter ridurre il prelievo fiscale. Quello che conta è la solvibilità, in ultima analisi il patrimonio. Il Regno Unito ha conosciuto periodi in cui il rapporto debito pubblico/PIl raggiungeva il 250% e ancora negli anni 50 era ben sopra il 150%. E’ fallito UK? Non mi sembra.Le srl con 1 euro, e in caso di bancarotta o danni a terzi chi paga se il socio è nulla tenente? Forse siamo nel mezzo di una follia, in cui le basi per il disastro sono solo nella testa di qualcuno che si ostina a perseverare in scelte senza alcun fondamento e razionalità
Maurizio Cocucci
A mio avviso uno dei maggiori difetti del nostro modello economico è proprio quello della dimensione delle imprese: troppo piccola. Questo infatti è più un limite che un vantaggio, perché è più difficile ed oneroso l’accesso al credito, più limitate le possibilità commerciali intese come l’orizzonte geo economico in grado di presenziare oltre che costi fissi (in proporzione) più elevati. Tutti ostacoli che spesso non sono controbilanciati da produzioni ad alto valore aggiunto ed ecco che per compensare i costi più elevati si ricorre a salari più bassi, a volte anche perché la concorrenza produce in luoghi con costi del lavoro alquanto inferiori. Ci aggiunga poi pressione fiscale più alta e maggiore burocrazia ed ecco che da noi l’imprenditore deve compiere sforzi notevoli per rimanere competitivo. Occorre invece che il nostro modello d’impresa compia un passo in avanti, che si passi dalla micro alla piccola azienda (ma pur sempre sopra i 100 collaboratori) se non alla media. Questa dimensione permette di poter prevedere una rete commerciale in grado di essere presente in ogni luogo e soprattutto in quei Paesi emergenti come: Cina, India, Sudafrica. E’ li che si deve puntare più che sui soliti paesi europei in cui il mercato è oramai saturo e gli sforzi per conquistare fette di mercato non giustificano quanto speso per ottenerlo. Le aziende devono crescere e diventare manageriali, superando quella cultura familiare che viene messa in difficoltà ad ogni cambio generazionale.
Pif
Questa volta non concordo almeno in parte con l’autore. Per prima cosa ormai tutti concordano che siamo una crisi da domanda , va bene ridurre le tasse ma il moltiplicatore della diminuzione delle tasse è inferiore a quello della spesa pubblica. Oltre ad aumentare i consumi bisogna aumentare gli investimenti e quelli privati stentano. Quindi la questione è complessa, più che ridurre la spesa qui si tratta profondamente di rivederla spostando da costi correnti che sono spesso sprechi a investimenti e a incentivare gli investimenti , che i vanno attentamente valutati per evitare i soliti Mose o Expo o contributi a pioggia o ad amici. Insomma io direi, semplificando anche troppo, più che meno spesa pubblica miglior spesa pubblica.
luciano
Sono 7 anni che alcuni economisti seri ci indicano come unica salvezza la reintroduzione della moneta sovrana. Se vuoi creare lavoro, vuoi creare finanziamenti, devi farlo col pubblico per il 70%, e col privato per il 30%. Solo il privato sopratutto adesso non investirà mai nessuna cifra. Questo paese è cresciuto grazie alla svalutazione della “liretta”, questo paese ha dato il massimo con il “made in Italy” con i piccoli imprenditori e con la manodopera qualificata. Questo è stato il paese dell’ industria, è stato il paese della pizza e della pasta. Oggi è solo un lontano ricordo, e il nostro problema si chiama ” EUROPA”. Prima ne usciamo, prima stracciamo i patti che i politici corrotti ed i tecnici hanno firmato mentre noi dormivamo, e prima torneremo la locomotiva d’Europa. Per l’1% dei ricchi Europei, devono patire le pene dell’Inferno il 50% divenendo poveri? Ed il restante 49 % deve dare la metà di quello che guadagna a loro? E’ questa l’Europa voluta dai padri fondatori? Bene allora noi la ripudiamo. Per ripartire si devono fare investimenti pubblici ( finiamola con la balla del debito pubblico, i giapponesi hanno il doppio del nostro debito, ma non sono affatto alla fame o alla miseria ), successivamente via l’euro e reintroduzione della lira, immediatamente un taglio netto alle tasse, successivamente no tax zone per le aziende Asiatiche, ed Americane che verranno in Italia e creeranno posti di lavoro con paga minima da 1200 € su 8 ore di lavoro al giorno per 6 giorni.
Henrico
La parola è libera, è vero, ma esistono numerosi altri siti dove è possibile farsi applaudire per sostenere sciocchezze come queste. Ah, dimenticavo: i corrotti saranno i primi ad approfittare se l’Italietta si riprende le sue antiche libertà, valutaria e tante altre ….