Nonostante gli errori riscontrati nel lavoro dei due economisti, resta il fatto che la relazione tra crescita e rapporto debito/Pil diventa negativa superata una certa soglia. Che non sia possibile determinarne con esattezza il valore non significa che non esista, benché differenziata tra paesi.
UN RAGIONAMENTO SBAGLIATO
Nella narrazione mediatica con la quale si è raccontato all’opinione pubblica dell’errore tecnico commesso da Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, l’aspetto inaccettabile è la conclusione che se ne vorrebbe trarre: se quell’articolo era il padre delle politiche di austerità adottate dalle istituzioni internazionali e subite dai cittadini (degli Stati proni a quelle istituzioni), scoperto tale padre perverso è urgente ribaltare la direzione di marcia. In sintesi, più debito non sfavorisce la crescita (con apertura a programmi di cospicua spesa pubblica). (1)
Ci sono diversi passaggi sbagliati in questo (s)ragionare. Soprattutto, si dà dell’economia, delle istituzioni e delle politiche economiche degli Stati una rappresentazione grottesca. Nessuno ha mai deciso sulla base di un articolo, seppure influente. La stessa austerità è un concetto ambiguo: sono sì cresciute le imposte, ma in parecchie nazioni è cresciuta la stessa spesa corrente nonché il rapporto deficit/Pil; pertanto si dovrebbe parlare, più correttamente, di goffo tentativo di austerità. Infine, è scorretto attribuire a un lavoro descrittivo volto all’individuazione di pure correlazioni, un’interpretazione causale e, ancora peggio, desumerne orientamenti di politica economica.
Resta confermato, però, che effetti di soglia debito/Pil sulla crescita esistono e sono anche piuttosto robusti. Considerando sedici paesi Ocse dal 1991 al 2012, abbiamo stimato alcune regressioni tra il tasso di variazione del prodotto lordo reale e il rapporto debito/Pil, determinando all’interno della stessa regressione la soglia della variabile debito/Pil che implica un cambiamento di regime, cioè un mutamento radicale della relazione intercorrente tra crescita e debito. (2)
Il nostro approccio è del tutto simile a quello adottato da Baum, Checherita e Rother. (3) Le differenze rispetto al paper di Reinhart e Rogoff sono profonde. La più importante è la tecnica di stima, che riduce il grado di arbitrarietà nello stabilire dove c’è un cambio di regime. Tale tecnica è robusta a specificazioni alternative dell’equazione e produce risultati efficienti. (4) La seconda differenza è la scelta di un periodo di ampiezza temporale relativamente ridotta (22 anni rispetto ai 60 di Reinhart e Rogoff). Siamo abbastanza convinti che la questione che stiamo trattando sia già di per sé sufficientemente complicata per affrontare contestualmente anche il problema di break strutturali nella relazione obiettivo.
IL DEBITO COSTA
Nella figura 1 sono presentate le medie aritmetiche dei tassi di variazione del Pil e dei rapporti debito/Pil su due periodi di undici anni ciascuno per tutti e sedici i paesi considerati. (5)
Da un lato, emerge una tendenza della crescita verso la riduzione al crescere del rapporto debito/Pil. Dall’altro, la stessa relazione che sembra potersi immaginare appare troppo variabile. Ovviamente, se i dati vengono raggruppati in classi, magari a partire dalle osservazioni annuali (come fanno Reinhart e Rogoff), e se vengono calcolate medie e mediane, facilmente emerge una relazione negativa tra le due variabili. Ma è frutto più del processo di aggregazione che di un genuino legame causale, il quale, peraltro, né Reinhart e Rogoff né Baum, Checherita e Rother, né noi intendiamo identificare.
La tabella riassume i risultati cui perveniamo attraverso un modello che tiene conto di diverse soglie endogene, posti a confronto con altre evidenze sullo stesso argomento. Emerge in modo piuttosto chiaro, e a dispetto delle differenze nei dati e nelle tecniche, che il superamento del 90-100 per cento nel rapporto debito/Pil implica effetti negativi sulla crescita economica. Nell’analisi da noi effettuata, superata la soglia (103 per cento) un incremento di un punto nel rapporto genera una riduzione di 7 decimi nella variazione annuale del prodotto lordo.
Nella parte bassa della tabella la soglia più elevata arriva al 128 per cento del Pil, quando tra i paesi considerati c’è il Giappone, che per diverse osservazioni presenta valori superiori al 200 per cento. Questo suggerisce che le tecniche, per quanto sofisticate e robuste, applicate a dati differenti forniscono risultati differenti. Stupirebbe il contrario, del resto. È una conferma del fatto che attaccare una questione complessa con finalità puramente descrittive e senza ricorrere a modelli teorici impone di limitare la portata delle conclusioni: caricare di valori interpretativi un’analisi descrittiva, sebbene sviluppata con una modellistica econometrica raffinata, sarebbe un grave errore.
Tuttavia, i nostri risultati sono molto vicini a quelli di Baum, Checherita e Rother e a quelli degli stessi Reinhart e Rogoff, nel loro paper “sbagliato”. E questo qualcosa vuole dire.
È una cosa che tutti sanno già: il debito costa e il troppo debito può fare sorgere il sospetto che i costi saranno presto insostenibili, inducendo gli investitori a chiedere interessi più elevati che aggravano il problema. D’altra parte, maggiori imposte tolgono risorse alle imprese e ai cittadini e, in assenza di una pubblica amministrazione lungimirante ed efficiente questo riduce il prodotto potenziale. Anche i tagli di spesa possono avere effetti recessivi nel breve termine. Queste suggestioni sono presenti in Reinhart e Rogoff. Non guasta ribadirle, se non altro per sottolineare che politiche antirecessive vanno sempre fatte tenendo d’occhio l’evoluzione del debito pubblico.
In conclusione, a noi pare che del paper di Reinhart e Rogoff resti più di quanto sia andato perso a causa della scoperta di qualche errore: un debito eccessivo comporta danni profondi e persistenti ai sistemi economici.
Tabella 1 – Soglie (%) oltre le quali un aumento del rapporto debito/Pil ha un impatto negativo sulla crescita
*Sono state stimate due soglie; il valore 100 è stato ottenuto escludendo il Giappone dalla stima mentre il valore 128 è stato ottenuto includendolo.
** Sono stati utilizzati diversi modelli statistici che hanno portato alla stima di diverse soglie critiche incluse nell’intervallo 90-100.
Figura 1
(1) Reinhart C. M., K. S. Rogoff, 2010, “Growth in a Time of Debt”, NBER, WP 15639.
(2) I paesi considerati sono Belgio, Danimarca, Germania, Irlanda, Grecia, Spagna, Francia, Italia, Olanda, Austria, Portogallo, Finlandia, UK, Usa, Giappone, Canada.
(3) Baum A., C. Checherita, P. Rother, 2012, “Debt and Growth: New Evidence for the Euro Area”, ECB, WP 1450.
(4) È stato stimato un modello panel a soglia dinamico non lineare. Nella regressione, come variabile dipendente è stato utilizzato il tasso di crescita dell’economia mentre come variabili indipendenti sono state utilizzate il rapporto debito su Pil (la variabile condizionante che determina uno o più cambi di regime al raggiungimento delle soglie), il tasso di inflazione ed il tasso di disoccupazione. Tra i regressori è presente la variabile strumentale del tasso di crescita del Pil ritardato di un periodo, ottenuta attraverso la regressione del tasso di crescita ritardato di un periodo sui suoi stessi ritardi a due e tre periodi. Per maggiori dettagli sulla metodologia si veda Hansen, B.E., 1999, “Threshold effects in non-dynamic panels: Estimation, testing and inference”, Journal of Econometrics, 93, 345-368. Le stime sono state effettuate utilizzando il software GAUSS 6.0 e i codici sono quelli utilizzati in Alonso A. e S. Di Sanzo, 2011, “Unemployment and hysteresis: A nonlinear unobserved components approach”, Studies in Nonlinear Dynamics & Econometrics, 15 (1), Article 2, disponibili a questo indirizzo.
(5) I dati sono di fonte Ameco, aggiornamento del 3 maggio 2013.
(6) Checherita C. e P. Rother, 2010, “The impact of high and growing government debt on economic growth – An empirical investigation for the euro area”, ECB WP 1237.
(7) Kumar M. S. e J. Woo, 2010, “Public Debt and Growth”, IMF, WP/10/174.
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Alberto
Aggiungerei che in Italia gli alfieri dell’anti austerità sono proprio quelli che hanno permesso che il debito pubblico raggiungesse le cifre attuali e quindi, perchè mai gli investitori dovrebbero credere che questi si sono ravveduti e non usino il debito per foraggiare le spese improduttive, come fatto in passato?
Simone
La domanda però vale anche all’inverso, chi ha voluto l’austerità, e perchè? Ci troviamo in questa condizione per ragioni ben precise, la quantità di denaro che ha portato diversi paesi dell’Europa a superare la soglia di debito/PIL è servita principalmente al salvataggio di un sistema finanziario al collasso. Dunque l’austerità è diventata necessaria nel momento in cui si rischiava l’instabilità dell’intera unione, ma tale stabilità non si sarebbe mai rischiata se non ci fosse stato un sistema finanziario tale e se la BCE avesse avuto i poteri di qualsiasi altra banca centrale.
CI troviamo in questa condizione che che ne siano le cause, l’unico modo che conosciamo che non comporta il rischio della trappola della liquidità (v. caso giapponese) sono quelle di creare ancora debito, avendo un piano di crescita comune e preciso. Ma questo si stacca molto dal tema dell’articolo.
koralloxxx
Il sistema finanziario in collasso è un discorso che fila benissimo per irlanda e spagna, ma in italia non c’entra nulla.
e se l’unico modo che conosciamo per uscire da questa situazione è altro debito (per fortuna non è così), allora possiamo metterci definitivamente una pietra sopra. siamo morti.
Luigi
In Italia gli alfieri dell’antiausterità sono coloro che a suo tempo si opposero al divorzio tra Tesoro e Bankitalia, ed oggi, lo abrogherebbero, onde evitare di trattare lo Stato, che non è una azienda ma la Comunità politica, alla stregue di una impresa che deve finanziarisi esosamente sui mercati finanziari. L’esplosione del debito pubblico in Italia parte proprio dal 1981 causa gli interessi reali che da quel momento lo Stato ha dovuto pagare ai mercati, laddove prima si finanziava a tasso basso da Bankitalia tenutavi legislativamente. Quando creditore e debitore coincidono il debito o è fittizio o si annulla, cme appunto quando lo Stato si indebitava con la propria Banca centrale (a natura pubblica).
Keynes blog
Consiglierei un confronto con questo, mi pare molto robusto, studio fatto sullo stesso dataset di R&R https://dl.dropboxusercontent.com/u/15038936/RR%20Timepath/Dube_Growth_Debt_Causation.pdf
Riccardo Fabiani
C’e’ qualcosa di intellettualmente patetico nei tentativi di difesa dell’austerita’ e del neo-liberismo dopo il 2008-09. Penso che anche Milton Friedman o qualsiasi altro individuo accecato dall’ideologia si accorgerebbe che queste misure sono insostenibili – a meno che l’eleganza concettuale dei modelli neo-classici sia piu’ importante dell’ascesa di movimenti populisti in tutta Europa e dei rischi politici e sociali connessi
simone
Circa l’affermazione che il debito costi e che quindi troppo debito appesantisca l’economia saremmo d’accordo in molti. Sarebbe però forse opportuno far notare che quella stima è viziata anche da un problema di causalità inversa. Se un paese cresce poco o non cresce affatto (magari per altre cause, comprese politiche sbagliate) e gli interessi sul debito sono invece positivi (r>g), il suo rapporto debito/PIL è destinato inesorabilmente a crescere !
Simone
Si è vero, ma se pratichi austerità verso i conti pubblici, e quindi aumenti la pressione fiscale e/o diminuisci la spesa pubblica, non fai altro che diminuire la domanda aggregata in quanto il reddito disponibile si riduce o per via delle maggiore imposte o per via di minor credito immesso dallo stato, questo comporta una inevitabile contrazione recessiva del PIL, che porta ad aumentare tale rapporto e se la diminuzione del tasso d’interesse è minore della contrazione percentuale del PIL, tale rapporto sarà ancora destinato a crescere. Una fase di crescita porta sempre squilibri economici, e l’austerità è quanto mai necessaria per trasformare un boom in crescita sostenibile. Ma in fasi recessive (precedenti all’austerità) e con mercati finanziari deboli, l’austerità porta solamente all’inasprimento delle fase recessiva della domanda aggregata, rischiando una diminuzione strutturale di essa, senza alcuna crescita economica. L’unico vantaggio che si è ottenuto da queste manovre sono state le stabilizzazioni dei tassi d’interesse dei bond dei diversi stati, posseduti nel sistema finanziario.
simone
Sono d’accordo con te (anche se in questo momento, per la crescita, ci sarebbe bisogno di investimenti mirati più che di un generico deficit spending).
Rispetto alle stime presentate, dicevo appunto che, nonostante l’utilizzo di qualche strumento interno nelle stime (IV), ho il sospetto che ci sia in quei risultati ancora un bel pò di bias da reverse causality. E quindi che ciò che loro misurano sia una mera correlazione.
Simone
il problema sostanziale con le politiche di austerità, non è dimostrare che permettano o non permettano una crescita del rapporto debito/PIL, perchè come è stato ribadito più e più volte, il costo del debito in cui è inclusa necessariamente la credibilità stessa della sua sostenibilità è fondamentale per permettere una crescita sostenibile di medio termine. Mentre invece il principale focus è capire se una politica di austerità in un momento di contrazione dell’economia reale, e in un momento di fragilità dei mercati finanziari può avere gli stessi effetti che in condizioni “normali”, cosa che in entrambe le vostre analisi, sia del paper, sia nell’articolo è completamente mancata. Non ha senso guardare un periodo di 60 anni, o di 20 anni, se si sta analizzando un caso specifico di cui abbiamo memoria forse di un solo precedente storico altrettanto grande e di 2 di minore entità. Una analisi così diluita nel tempo rende entrambe le analisi del tutto inapplicabili al momento economico attuale. Senza dilungarmi in conclusioni teoriche cito soltanto un vecchio economista, a mio avviso sempre attuale, “il momento giusto per l’austerità è il boom, non la recessione“.
Giulio
Il problema che non si vuole affrontare è che non basta un incremento del debito per fare ripartire un’ economia che ristagna da tanto tempo e che è stata tenuta a galla da continui incrementi di debito pubblico. Occorrono riforme coraggiose e interventi sulla spesa pubblica improduttiva. Qui in Sicilia si continuano a stabilizzare impiegati regionali e comunali senza la benchè minima formazione con il risultato che, nonostante lo spaventoso numero di impiegati pubblici, molti uffici rimangono in assenza di personale qualificato. Si salvi chi può
Ugo Panizza
Non abbiamo trovato un link al vostro paper per cui non siamo in grado di valuatare i risultati che riportate.
Per quanto riguarda gli altri lavori citati, Kumar e Woo non trovano alcun effetto soglia statisticamente significativo. Se guardate la quarta colonna (la loro specificazione preferita) della tabella 4 del loro paper vedrete che la point estimate al di sotto del 90% e’ identica a quella sopra il 90% (cambia e’ la t-statistic, ma le due stime sono identiche; percio’ la sola differenza è che una stima è meno precisa dell’atra).
Il paper di Cecherita e Rother, invece, ha dei risultati paradossali. Visto che loro usano una specificazione quadratica e dato che l’effetto del debito e’ positivo fina a circa al 90%, le loro stime suggeriscono che aumentare il debito da, diciamo, il 10% del PIL al 150% del PIL farebbe aumentare la crescita. Voi a questo ci credete?
Il nostro pezzo su La Voce sullo stesso argomento:
http://www.lavoce.info/quel-nesso-da-dimostrare-tra-debito-e-crescita/
Abbiamo anche questo su Il Sole 24 Ore
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-05-11/lalto-debito-esclude-crescita-081445.shtml?uuid=AbBepxuH&fromSearch
Ugo Panizza, Andrea Presbitero
Wassily Kandinsky
Nessula relazione causale viene dimostrata, semmai risulta l’opposto di cio’ che si sostiene
titolo della figura … si afferma “impatto” quindi da causa ad effetto, ma l’evidenza manca
“Soglie (%) oltre le quali un aumento del rapporto debito/Pil ha un impatto negativo sulla crescita”
Lucio Sepede
Il problema più drammatico che dobbiamo affrontare è la mancanza di lavoro. Con le politiche di austerità stiamo spostando la ricchezza dalla base della piramide sociale verso una piccola fetta (non più del 10%) situata in cima. Chi non ha lavoro o chi teme di poterlo perdere non acquista e chi sta guadagnando (al vertice della piramide sociale) non riesce a spendere più del 60/70% e il resto lo impiega in movimenti finanziari che non hanno alcun impatto nella politica industriale. Per uscire dallo stallo mortale è necessario un robusto intervento da parte dello Stato per avviare progetti nei beni culturali, nella formazione, nel turismo con l’obiettivo di creare lavoro per migliaia di giovani che stiamo rischiando di perdere definitivamente e con essi il nostro futuro. Con l’allargamento della base lavorativa si riattivano i consumi interni, cresce il PIL e si ripaga il debito. Con la sola politica dei tagli si rischia di creare un mostro senza alcuna equità in cui ci saranno persone che non sapranno letteralmente cosa mangiare e pochi super ricchi sempre più ricchi.
Mariano Bella e Silvio DiSanzo
Egregi
Professori,
la
nostra tabella era e rimane puramente descrittiva di risultati
proposti in modo non equivoco da diversi studiosi.
Per
quanto riguarda Kumar e Woo, essi si esprimono con chiarezza
guardando alla signficatività della soglia oltre il 90% del
rapporto debito-Pil di diverse specificazioni riscontrando che,
sulle medesime specificazioni, il rapporto debito-Pil al di
sotto del 90% non avrebbe, secondo le loro stime, alcun impatto
sulla crescita. Questo è quanto riportavamo (sez. D pagg.17-18 e
tab. 5) e cioè quanto
affermano questi autori. Alla nostra stessa interpretazione giungono
anche Baum e altri (2012, pag. 3).
Rispetto
al
paper di Checherita e Rother, le loro conclusioni indicano la
presenza della soglia (che, se capiamo, dovrebbe coincidere con
il massimo di una parabola, con termine quadratico negativo, in
corrispondenza circa del 90% del rapporto debito-Pil). Il
nostro
esercizio è piuttosto volto a superare le stime che
individuano
in modo deterministico la presunta soglia della
relazione
tra crescita e rapporto debito-Pil. In generale non crediamo a
niente. Proviamo solo a capire.
fabrizio
Se si tratta di “goffo tentativo di austerità” figuriamoci se il tentativo fosse andato in pieno centro… lo stato sociale in Italia e in Europa sta venendo smantellato, niente lavoro, niente pensioni, niente sanità pubblica, incremento delle tasse universitarie per gli studenti.. è una vergogna e non c’è paper scientifico che possa salvarvi.
Piero
L’aumento delle imposte crea recessione, il taglio della pesa pure, l’aumento del debito provoca effetti insostenibili in materia di costo, allora cosa fare?
Basta applicare i manuali di macroeconomia, si decida cosa fare, in questo momento l’Italia si è privata della politica monetaria e di quella di bilancio ( avendo il debito superato la soglia europea) non immane che uscire dalla zona euro se l’Europa non cambia la politica monetaria o se non cambia la regola del rapporto debito/Pil del 60%, regola che oggi è fuori tempo, si potrebbe raddoppiare tale rapporto al fine di permettere agli stati europei una politica di bilancio anticiclica, ma ciò è solo utopia.
Piero
Ragionamento errato, si devono pesare i Pil dei rispettivi paesi, che valore ha una crescita di un paese con il 10% di abitanti dell’Italia, si debbono ponderare i pesi, i sevizi dati dal paese, se nel paese vi è una copertura sociale superiore se ne deve tenere conto.
Il ragionamento del rapporto debito Pil per la crescita se non viene fatto su paesi simili non serve a niente, e’ normale che la Cina cresce di più dell’Italia, ma ciò tutti lo sanno non è perché ha meno debito.
stefanokoki
a mio avviso rimane non risolto il rapporto causa-effetto: per quanto si tenti di “far tornare i conti”, mi sembra che rimanga indimostrato che un alto rapporto debito/pil causi scarsa crescita o recessione, l’evidenza tenderebbe a suggerire esattamente un rapporto causale inverso: serve più spesa pubblica quando il ciclo si indebolisce. Parliamo di dati significativi al netto di episodi di cattivo governo (addirittura truffaldino come nel caso del governo greco di Karamanlis).
Ma l’elemento più importante è un altro: la crisi attuale ha una durata e dimensione che richiederebbe un’onesta analisi sulle cause, ed una causa non può certo essere l’eccessivo debito pubblico, o no ? la crescita di attivi finanziari attraverso strumenti derivati (quali quelli che avevano sottostanti i sub-prime) era arrivata ad un livello (bolla) che ha fatto crollare la fiducia sulla effettiva possibilità di liquidare tali titoli. Gli attivi finanziari sono passati da 208 a 197 trilioni di dollari tra la fine 2007 e la fine del 2008. Questa “distruzione” di ricchezza si è poi ricostruita per arrivare a fine 2011 a 220 trilioni, con una “piccola” differenza: la quota di titoli dei debiti sovrani è aumentata al punto da costitutire buona parte dell’aumento tra il 2008 ed il 2011. Commissioni sulle transazioni dei titoli del debito pubblico e accresciuti interessi sul medesimo nei paesi periferici hanno riportato ai volumi pre-crisi le attività finanziarie. Quindi l’aumento del debito pubblico negli ultimi 5 anni non è andato a rilanciare la domanda ed alleviare il disagio sociale (se non in piccola misura), il grosso è andato a finanziare il sistema bancario (ma non per finanziare investimenti e consumi ma per consolidare il patrimonio finanziario). Quindi la causa della crisi è nel sistema finanziario che ormai non finanzia più l’economia reale ma succhia risorse dall’economia reale per finanziare se stesso ed il debito pubblico è un mezzo con il quale si è rifinanziato, quindi il problema del debito pubblico non è tanto il suo volume (assoluto e relativo al pil) ma la sua qualità. La prova del 9 di quanro sostengo è nel fatto che i tentativi di ridurre il debito pubblico finora hanno acuito la crisi e addirittura accresciuto il debito pubblico, ma i rating salgono nella misura in cui si trovano (dalle tasse sul lavoro) i soldi per pagare interessi crescenti !
Luca
Scusate ma di quale “narrazione mediatica” si sta parlando ? Degli errori di Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff sui media italiani non se ne è parlato minimamente; negli USA la notizia è uscita sui quotidiani, ma da noi ne è venuto a sapere solo chi si interessa di queste cose tramite internet. In realtà nel nostro paese non esiste un dibattito serio sull’Euro e sull’austerità (che c’è eccome!), viene dato spazio solo a chi difende a spada tratta le decisioni della Commissione e della Germania, chi la pensa diversamente è bollato come poulista. In realtà esiste un’alternativa credibile, si chiama MMT http://memmt.info/site/
antonio gasperi
non sta a me ricordare che il rapporto di causazione è una delle tematiche più controverse dell’analisi economica. gli stessi proff. Panizza e Presbitero, nel rivelare le molteplici sfaccettature del rapporto debito/PIL, segnalano che tale problematica riguarda anche le due variabili in esame. come è stato reso evidente dalle recenti crisi del debito sovrano, l’analisi va allargata alle variabili monetarie. in particolare, i paesi che conservano il signoraggio sulla moneta possono allentare ulteriormente l’ipotetico rapporto di causazione; viceversa ai paesi dell’eurozona, con l’eccezione forse di uno, manca tale grado di libertà
Maurizio Cocucci
Vorrei illustrare un semplice confronto tra il peso della Spesa Pubblica in Italia e in Germania. Da dati dell’anno 2009 rilevati da una relazione del MEF – Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, in quell’anno la Spesa Pubblica primaria italiana è stata il 47,3% del PIL. In quell’anno il PIL è stato di circa 1.520mld di euro (fonte Eurostat) quindi la spesa primaria è stata in euro di circa 719mld. I dati della Germania vedono un PIL 2009 di circa 2.374mld di euro e una spesa primaria del 45,4%, pari a circa 1.078mld di euro. Se ora dividiamo l’ammontare di spesa ottenuta per la popolazione attiva e cioè quella che ufficialmente produce reddito, che rispettivamente nel 2009 era di circa 23 milioni in Italia e 40 milioni in Germania, risulta che il costo per spesa primaria nel 2009 per cittadino attivo italiano era di 31.261 euro mentre per un tedesco di 26.950 euro. Da qui si evidenzia come il peso dello Stato da noi sia ben superiore se riferito a chi produce reddito e non sul totale della popolazione, per cui se si vuole dare respiro alla nostra economia o si aumenta il numero di occupati attraverso una seria politica di sviluppo oppure (o contemporaneamente) si deve procedere ad una riduzione del costo dello Stato.
Jacopo Piletti
il problema sta nel taglio della spesa improduttiva (che in italia non è stata fatta ) e nella grande evasione fiscale .Con maggiori entrare e minori costi potrebbero destinare risorse per la ricerca e al taglio della pressione fiscale sul lavoro (io taglierei anche qualche punto iva e l’imu sui capannoni industriali ) . Ovviamente bisogna lavorare sulla burocrazia e sulla corruzione se no di capitali stranieri ne vedi quanti i capelli di zio fester
Tommaso Pellegrini
Evidenziare la correlazione senza fornire un impianto teorico che spieghi il nesso causale è un grave errore metodologico a prescindere dalla falsificazione dei dati. Non c’è bisogno di guardare al dopo guerra per capire che quando manca la crescita (e la spesa resta invariata) il debito aumenta! quindi la correlazione è da spiegare inversamente.
redazione
Si segnala un commento che riprende i dati di questa nota apparso su
http://slowtrading.com/modelli-economici.html
mac67
Correlazione non significa che ci sia un rapporto di causa ed effetto. E se anche questo rapporto ci fosse, chi dice che il rapporto debito/pil sia la causa della mancata crescita e non viceversa, come già notato da altri commenti? L’economia non è la fisica, sarebbe bene che gli economisti non lo dimenticassero mai.
Marco
Più guardo quel grafico, più mi sembra che la correlazione tra le due variabili sia molto molto lieve. Se consideriamo che anche il rapporto causale è tutto da dimostrare, forse sarebbe il caso di andare oltre il solito refrain del debito pubblico cattivo…
Massimiliano Aita
Leggetevi l’ultimo rapporto della Bank of International Settlement che richiama proprio il paper di Reihnart e Rogoff come capostipite delle teorie sulla vostra correlazione.
Massimiliano Aita
E comunque il debito costa se viene lasciato al mercato. Se, come accadeva fino al 1981, la Banca d’Italia dovesse riacquistare i titoli del debito pubblico rimasti invenduti non costerebbe nulla.