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Quelle stazioni lastricate d’oro

In un viaggio da Nord a Sud Italia si incontrano diverse nuove stazioni ferroviarie. Sono spesso progettate da archistar, ma la loro funzionalità e utilità suscitano più di un dubbio. Mentre mancano del tutto controlli e sanzioni per eventuali costi impropri. Cosa farà l’Autorità dei trasporti?

IL FENOMENO DEL GOLD PLATING

Il fenomeno noto in linguaggio regolatorio come gold plating ha origini nella prima esperienza americana di regolazione economica dei monopoli naturali negli anni Trenta: quel regolatore aveva posto limiti al saggio di interesse sul capitale investito tramite il controllo delle tariffe (Rate of Return Regulation), si era generato così un ovvio incentivo a investimenti inutili, o inutilmente costosi, visto che il dispositivo ne garantiva la remunerazione. Da qui il nome.
Ma ovviamente l’incentivo a un uso inefficiente delle risorse si genera anche nel caso di finanziamenti pubblici per investimenti fatti sostanzialmente “in solido”, situazione che si verifica in Italia per le Ferrovie dello Stato. Non sembra infatti che sia in atto alcun controllo “terzo” ex-ante, né alcuna sanzione ex-post per costi impropri delle opere, se non forse per un’unica audizione parlamentare sui costi straordinariamente elevati delle infrastrutture per l’alta velocità, conclusa con la molto generica costatazione della “eccezionalità del caso italiano” rispetto agli altri paesi europei.
Ora, che il problema abbia dimensioni potenzialmente estese risulta anche da una semplice osservazione sulle stazioni Fs più recenti, fatta in termini intuitivi, mancando ogni contabilità accessibile sui costi e i ricavi aggiuntivi che quelle opere generano (una contabilità che qualsiasi privato terrebbe con estrema cura). Che poi motivazioni artistiche o “mecenatistiche” possano giustificare spesa pubblica a fondo perduto non sembra un argomento molto convincente, data l’autoreferenzialità della situazione e la totale assenza di verifiche contabili: per esempio, quanta spesa in più di quella necessaria viene giustificata con motivazioni artistiche? E d’altra parte anche l’esperienza diretta in valutazioni di questo tipo fatte all’estero da chi scrive conferma la fattibilità e l’opportunità dell’analisi per gli investimenti pubblici. (1)
Anche perché le società “Grandistazioni” e “Centostazioni” hanno obiettivi unicamente legati alla massimizzazione dei ricavi, non alla remunerazione delle risorse pubbliche impiegate.

UN VIAGGIO IN ITALIA

Il primo caso che prendiamo in considerazione è la stazione centrale di Milano, rifatta integralmente con materiali pregiati e un sistema di rampe molto impegnativo e complesso. Ora accedere ai binari dalla metropolitana è molto meno diretto di prima, e questo grave disagio (si pensi a persone in ritardo e con bagagli) è chiaramente pensato in modo da “costringere” i viaggiatori a percorrere vaste aree commerciali. Potremmo classificare questo caso come “ discutibile induzione alla spesa”. È un modo sensato e accettabile di spendere i denari pubblici, anche nell’ipotetico ma improbabile caso che i ricavi aggiuntivi ripagassero l’investimento pubblico con un ritorno accettabile?
Proseguendo verso Sud, incontriamo la stazione di Reggio Emilia, progettata dall’archistar Santiago Calatrava e da alcuni maligni denominata lo “scheletro di dinosauro”. Al di là di soggettive valutazioni estetiche, era necessario convocare una celebrità (con i del tutto probabili costi relativi) per una stazione che in realtà è una semplice fermata in un’area in aperta campagna, dove sostano pochi treni al giorno? Qualche dubbio è legittimo. Potremmo classificare questa categoria come “discutibile pregio architettonico”.
La vicenda delle stazioni alta velocità che incontriamo più a Sud, quelle di Bologna e di Firenze, ha una storia peculiare. Tutto parte dalle preoccupazioni per il possibile inquinamento acustico che i treni veloci diretti avrebbero potuto generare transitando a piena velocità attraverso Bologna. L’amministrazione, invece di valutare la possibilità di schermature antiacustiche integrali alla linea, pretese una stazione sotterranea, decuplicando i costi. L’amministrazione di Firenze ritenne di non poter essere da meno di quella bolognese e richiese anch’essa una stazione sotterranea, per motivi analoghi.
Ora, la nuova stazione di Bologna ha senza dubbio un ruolo importante, ma si dispiega su una profondità di circa cinque piani interrati, con un volume interno straordinario (ricorda una cattedrale). I tempi e le complessità logistiche da superare per risalire dal livello dell’alta velocità alla superficie e ai treni locali sono altrettanto straordinari, e suscitano forti perplessità sulla razionalità dei costi di una soluzione così scarsamente funzionale per le coincidenze, una delle massime esigenze delle stazioni di interscambio.
Ma il caso più eclatante è quello della costruenda nuova stazione sotterranea di Firenze, progettata da un’altra archistar, l’inglese Norman Foster. Sul piano funzionale, si suppone che una stazione sotterranea si costruisca per accelerare i treni in transito e per ottimizzare l’interscambio con i treni locali. Ma non è così: la linea sotterranea percorre un tracciato tutt’altro che rettilineo e la risalita verso i treni locali è complessa, con una lunga rampa obliqua e una tratta ulteriore in orizzontale. Per quanto concerne i costi, poi, si possono stimare quadrupli di quelli di una soluzione a raso, ma in questo caso sarebbero stati ancora più alti: per raccordarsi con la soluzione sotterranea è stato modificato, sembra, lo sbocco in pianura della tratta alta velocità Bologna-Firenze, con una decina di chilometri supplementari in galleria e con costi aggiuntivi (parametrizzando sui costi dell’intera tratta) dell’ordine di molte centinaia di milioni. Potremmo classificare il caso di queste due stazioni come “gigantismo progettuale”.
Proseguendo verso Sud, nulla si può dire invece della funzionalità della nuova stazione “a ponte” di Roma Tiburtina, anche questa firmata da un’archistar (Zaha Hadid). La sensazione qui è di semplice gold plating, per i materiali e le dimensioni complessive, mentre gli sconfinati spazi commerciali la fanno rientrare nella tipologia della “discutibile induzione alla spesa”.
Rimanendo a Roma, possiamo ricordare un altro episodio celebre di gold plating, seppure accaduto più lontano nel tempo: la stazione Ostiense. Doveva essere il terminale urbano per i treni diretti all’aeroporto di Fiumicino. Già l’idea appariva insensata: perché non far proseguire semplicemente la metropolitana urbana per Fiumicino, visto che non esistevano problemi di scartamento né di alimentazione, che oltretutto avrebbe evitato ai viaggiatori uno scomodissimo interscambio? Sembra per semplici ragioni di gestione di risorse pubbliche afferenti a due amministrazioni diverse (nella più benevola della ipotesi). Comunque la scomodità della soluzione era tale che il (monumentale e, si suppone, costosissimo) terminal fu presto abbandonato e divenne per dieci anni rifugio per senzatetto. Nessuno ovviamente ha mai risposto dello straordinario spreco di risorse pubbliche che l’operazione ha comportato. Il livello di disfunzionalità di questo caso lo rende difficilmente classificabile.
Certo, questo è un “processo indiziario”, in cui prevalgono considerazioni qualitative, che per definizione risultano fragili e opinabili. Ma proprio questo è il problema: dati gli incentivi a massimizzare la spesa, incentivi condizionati politicamente sia dai costruttori che dalle amministrazioni locali (il residual claimant pubblico si è sempre dimostrato molto disponibile), è urgente una rendicontazione regolatoria e dettagliata, che sgombri il campo da ogni sospetto di gold plating. E questo vale ovviamente per tutte le infrastrutture regolate: la casistica infatti potrebbe ampliarsi molto. Finora, a questo tipo di fenomeni nel panorama italiano non è stata data alcuna attenzione, ma la recente costituzione dell’autorità regolatoria indipendente per il settore trasporti fa sperare (obbliga a sperare) in un radicale cambio di scenario.

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(1) È il caso della verifica costi-benefici di una stazione di autobus a Montevideo, opera candidata al finanziamento da parte della Banca Mondiale.

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11 commenti

  1. Fernando Venturini

    Vorrei precisare che la nuova Stazione Tiburtina non è firmata da archistar straniere e tanto meno da Zaha Hadi che invece ha firmato il museo MAXXI, bensì da architetti italiani e precisamente dallo studio ABDR di Roma.

    • Orwelliberal

      Infatti, tutti italianissimi. Il progetto è quanto di più sobrio e funzionale si possa concepire. Si sono salvati gran parte dei lavori fatti per il giubileo, la struttura ha una funzione bioclimatica che ne riduce, insieme alle scelte tecnologiche, drasticamente i costi di manutenzione. Il transito per l’area commerciale, di cui fra l’altro la zona necessitava, è facoltativo. A testimonianza della “filosofia” che contraddistingue il prof. Desideri e i suoi collaboratori, basta pensare che gli edifici contenenti le centrali tecnologiche della rete ferroviaria, sono stati resi compatibili con lo stile hight tech del corpo della stazione con un espediente da “saggio contadino”, ossia utilizzando putrelle zincate, di quelle usate per i ponteggi (costo irrisorio e resistenza elevata), piuttosto che costosissime facciate high-tech che in edifici per lo più disabitati e già intonacati sarebbero state inutili. I materiali che foderano l’interno sono orientati all’ecologia ed al riciclo, pensando alla possibilità di sostituirli e riciclarli piuttosto che pulirli con solventi come i travertini e marmi della stazione Termini. Poi se vogliamo precisare che un progetto del genere in alcuni paesi costerebbe il 30-40% in meno, quello è un’altro discorso, da approfondire su come gli appalti pubblici vengono gestiti e controllati! s qualcuno vuole indagare ed approfondire, fatelo soprattutto sui costi di scavo e sbancamento che la mafia della spesa pubblica (che va dal nord al sud indistintamente) adora, perché difficilmente quantificabili e su cui si può tirare alle lunghe inventando qualsiasi cosa, dal tubo al resto archeologico, passando per maltempo e problemi di sicurezza.
      Firmato, un ex studente che ha seguito il progetto e sa di cosa parla.

      • Molto interessante che ci sia qui qualcuno che ha seguito il progetto. Colgo quindi l’occasione per fare qualche domanda:

        – lo spazio centrale all’aperto sotto il livello strada (quello, per capirci, dove c’è il tabellone gigante degli orari): la pavimentazione sembra fatta apposta per cadere alla prima goccia d’acqua; inoltre uno spazio così grande senza nessuna panchina, qualche ornamento….un enorme lastricato di niente… a che pro? anche nei momenti di grande traffico rimane sostanzialmente vuoto (ma questo è un discorso facilmente allargabile a tutti gli spazi della stazione).

        – i passaggi per andare alla metro e ai treni (da basso, non dall’alto) sono bassi, volutamente scuri e con luci soft. L’impressione che si ha non è certo delle migliori; visto che si tratta di un ambiente molto basso (più basso di quanto non lo fosse pre-lavori) non sarebbe stato meglio scegliere un altro arredamento meno opprimente?

        – Il passaggio ai binari è davvero contorto; dall’ingresso sul ponte della tiburtina si sale di un piano per poi riscendere di uno (e di nuovo ancora di uno per i binari), attraversando una zona di nulla senza segnaletica in mezzo a blocchi recintati.

        – La stazione in se trasmette un senso quasi opprimente, come a voler cancellare quegli enormi spazi… scuro scuro scuro, come se si cercasse di arrivare ad uno stile molto “pro” ma si fosse ottenuto – paradossalmente -soltanto qualcosa di angusto (inoltre a me pare che molti spazi, ad esempio per le scale ai treni, non siano per nulla curati…si vede praticamente tutto “il backend” – mi si passi l’orrenda analogia – di fili, cemento ferro che è lo scheletro della stazione (tra l’altro anche con dei pezzi arruginiti).

        Per la stazione di bologna invece sono d’accordo con l’assoluta scomodità (acuita dalla mancanza di segnalazioni corrette ed evidenti) per arrivare dalla parte AV a quella regionale classica.

  2. Federico Solfaroli

    E’ un tema di assoluta importanza. Come giustamente si legge nell’articolo, l’analisi andrebbe estesa ad altre tipologie di strutture (penso ai ponti in città). Occorre avviare un processo di democratizzazione delle scelte, che comportano l’utilizzo di enormi risorse pubbliche; vale a dire, coinvolgere i cittadini nelle decisioni. Non è utopistico. A Roma, nel quartiere Flaminio, il Municipio ha incontratto i residenti per decidere come riqualificare alcune aree. Decidere se realizzare una struttura piuttosto che un’altra, e come realizzarla, ha effetti (duraturi) sulla vita quotidiana di milioni di persone. In attesa di una regolamentazione del problema, dovrebbe essere rimesso alla sensibilità dei poteri pubblici trovare forme adeguate per dare la aprola ai cittadini.

  3. piertoussaint

    mille grazie a Ponti, menomale che qualcuno ricorda le follie di questo Stato dilapidatore del denaro pubblico, vedi la stazione Tiburtina, scomodissima là dov’è, da chiunque sia firmata.

  4. rosario nicoletti

    Come è stato già detto, il tema è di straordinaria importanza, ed andrebbe considerato per ogni investimento fatto da enti pubblici o finanziati con denaro pubblico. Dovunque si posa lo sguardo – parliamo di locali, impianti, mezzi, finanziati con denaro pubblico – si vede un lusso o una ricchezza del tutto sproporzionata alle esigenze. Dalla ristrutturazione di ospedali, all’acquisto dei mezzi di trasporto ATAC, al lusso di uffici di enti costosissimi e quasi inutili come le così dette “authorities” c’è da rimanere allibiti. Le stazioni FS sono una piccola parte dell’immenso sperpero nazionale.

  5. Paolo Rossi

    Vorrei distinguere tra i casi di Reggio Emilia e Bologna/Firenze: è si vero che la stazione di Reggio Emilia si trova in aperta campagna, ma davanti ad essa passa l’autostrada A1 ed è quindi “vista” da una grandissima quantità di persone come se si trovasse in piena città.

    Come tutte le grandi opere di architettura, una valutazione anche solo economica deve comprendere il formidabile “effetto immagine” indotto su un pubblico comunque vasto, rafforzato dalla presenza nel luogo di altri tre ponti firmati dal medesimo Calatrava che costituiscono un “unicum” architettonico di indubbio impatto, un bel biglietto da visita per quel territorio in un’ottica di lungo termine credo gli effetti potrebbero essere benefici.

    Non dimentichiamoci che sono molti gli esempi nella storia di opere architettoniche costose che, fallimentari “a breve termine”, si sono poi rivelati formidabili motori economici e hanno contribuito, oltre a ripagarsi, allo sviluppo dei territori in cui sono inserite.

    I casi di Bologna e Firenze sono invece emblematici di quel gigantismo economico-politico conseguenza di scelte politiche del tutto sganciate da valutazioni economiche piuttosto tese verso il trasferimento di grandi quantità di denaro dalle casse pubbliche a quelle private di soggetti affini ed amici dei potenti del momento.

    In particolare il caso di Bologna non presenta alcun valore architettonico in sé ma, per la natura dei terreni (la stazione di Bologna fu costruita su terreni acquitrinosi e malsani per cui, onde stabilizzare la costruzione, è stato giocoforza necessario scavare fino a profondità tali da avere un ancoraggio stabile della struttura. Le notevoli infiltrazioni d’acqua si potevano vedere bene nei giorni successivi all’inaugurazione e solo dopo diverse settimane il puzzo di “cantina umida” si è attenuato.

    Tutta la storia della Bologna Firenze è improntata a sprechi e distrazioni di grandi quantità di denaro al tempo della progettazione un Professore di Geologia a Bologna aveva pubblicato un lavoro in cui emergeva che se avessero spostato la linea di qualche km a est i costi di scavo delle gallerie sarebbero stati molto inferiori per la migliore natura del sottosuolo, ma fu immediatamente messo a tacere.

    Credo si debbano ricordare i nomi ed i fatti che portarono a quelle scelte scellerate, si debba ricordare quali governi presero quelle decisioni, perché se così tanti soldi sono stati sprecati ci deve essere un nome ed un cognome, si deve aver il coraggio di ricordare per chi allora non c’era e per chi oggi non ricorda. E ricordare quindi le responsabilità personali di tutto coloro che allora difendevano (ed ancora oggi qualcuno lo fa) quei soggetti e quelle politiche.

  6. Carlo Simeone

    D’accordo su tutto, ma non sapete cosa stanno per combinare con la stazione Termini di Roma. Torniamo dapprima per un attimo alla stazione Tiburtina di Roma dell’alta velocità. Si tratta di una stazione completamente sbagliata. Grandi spazi inutili e senza senso, buoni solo per qualche gettata di cemento e l’allestimento di materiali che poi vanno in malora. Si sale per diversi piani e poi si scende per l’accesso ai binari: ma che significato ha?
    Guardatela ora a pochi mesi dalla sua inaugurazione! Intere parti abbandonate e recintate, interi blocchi di opere sono da rifare. Chi paga per tutto questo?
    Sulla stazione di Roma Termini costruiranno una piastra, completamente inutile se si pensa che sotto questa stazione ci sono diversi piani sotterranei completamente inutilizzati. Questi piani possono essere utilizzati soprattutto come posteggi. Perché allora spendere tanti soldi inutili? Inutile fare altri commenti, soprattutto per quanto riguarda le responsabilità in un Paese dove tutto scorre e passa. Bravo il Prof Conti che tiene desta l’attenzione e la dignità.

  7. Gabriella Duca

    Due osservazioni.
    1) Per completezza, val la pena ricordare la stazione AV di Afragola (Napoli), anch’essa di Zaha Hadid e che tutti ci auguriamo si inauguri il più tardi possibile. Visto che da pochi mesi la metropolitana cittadina collega i quartieri collinari a Napoli Centrale, proprio non vorremmo ricominciare il calvario appena terminato per la stazione e tuttora in corso per raggiungere l’aeroporto.
    2) Stazioni e aeroporti “immagine” fanno parte della cultura contemporanea e si trovano in ogni parte del mondo. In Italia la cosa ci colpisce perché siamo poco abituati a considerare l’architettura una forma di espressione culturale e perché nelle ristrettezze economiche in cui ci troviamo i costi di questo tipo di cultura sono effettivamente esorbitanti. C’è un’altra caratteristica culturale nostrana, però, che giustamente aumenta l’intolleranza verso queste opere: la totale assenza nei gruppi di progettazione esecutiva e allestimento finale dei professionisti di orientamento e wayfinding o buildings usability: è questa lacuna che rende scomodi, repulsivi, totalmente sbagliati questi edifici. Ordini professionali, facoltà di ingegneria/architettura, committenti pubblici: guardate il resto del mondo e battete un colpo!

  8. rob

    caro Professore tranquillo, basta ascoltare l’ angelico Lupi che l’altro giorno ha detto” In Italia non possono esistere più di 10 aeroporti” . Attenzione non è saggia , onesta lungimiranza, ma evidenza logica senza via di uscita. Allora tranquilli ci penserà l’economia del 2+2= 4 a cancellare tante stazioni e tantissimi folli aeroporti. A meno che non vorrano tassarci al 98% . Si vedrà

  9. yanez1971

    Molto interessante e puntuale. Tuttavia a me pare che la stazione di Roma Tiburtina (oltre al gigantismo coniugato alla poca funzionalità) pecchi esattamente nella qualità dei materiali utilizzati, in rapido deterioramento, peraltro. Specie nelle gallerie di accesso ai binari mi sono chiesto, vedendo altre stazioni in giro per l’Europa e prima di leggere questo articolo, “possibile che non si potevano utilizzare materiali meno squallidi?”

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