Tutte le regioni sono in fermento per l’annunciata controriforma delle province. I disegni di legge presentati mirano a reintrodurre l’elezione diretta degli organi di governo di questi enti intermedi. Ma non sarà così dappertutto.
Si avvicina la controriforma sulle province
L’ente intermedio così come riformato nel 2014 con la legge Delrio non ha funzionato e tra le cause individuate vi è anche quella dell’introdotta elezione indiretta dei suoi organi di governo. A distanza di nove anni, quasi tutte le forze politiche concordano sull’esigenza di una contro-riforma delle province e sul ritorno dell’elezione a suffragio universale diretto. Concluso l’esame del “Milleproroghe”, la Commissione Affari costituzionali avvierà un ciclo di audizioni e nominerà un gruppo ristretto per sintetizzare le tante proposte formalizzate.
In attesa che il legislatore statale ritorni sui propri passi, costretto dal fallito tentativo referendario Renzi-Boschi di espungere, nel dicembre 2016, le province dalla Carta costituzionale e dal mutato “clima politico”, è nella Regione Sicilia che i nodi verranno al pettine.
Lo Statuto siciliano
L’art. 15 dello Statuto della Regione siciliana (approvato con Rdl 15/5/1946, n. 455 e conv. con l. cost. 26/2/1948, n. 2), avente rango di legge costituzionale, così recita: “Le circoscrizioni provinciali e gli organi ed enti pubblici che ne derivano sono soppressi nell’ambito della Regione siciliana. L’ordinamento degli enti locali si basa nella Regione stessa sui comuni e sui liberi consorzi comunali, dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria. Nel quadro di tali principi generali spetta alla Regione la legislazione esclusiva e l’esecuzione diretta in materia di circoscrizione, ordinamento e controllo degli enti locali”.
A differenza di quanto previsto dall’art. 114 della Costituzione per le regioni a statuto ordinario, inSicilia l’ente intermedio esiste solo nella formula consortile utilizzata dai comuni. Il modello, risolvendosi in una forma istituzionale di consorzio tra comuni per l’esercizio congiunto di funzioni o servizi riconducibili all’area vasta, non costituisce un ente territoriale ulteriore e diverso rispetto all’ente comune. Non a caso, ai liberi consorzi comunali, che lo stesso legislatore regionale non ha poi esitato a denominare “enti non territoriali di governo”, viene riconosciuta un’ampia autonomia amministrativa e finanziaria, ma non la terza autonomia, invece prevista per gli “enti territoriali di governo” a fini generali: quella politica.
Ora, mentre per gli enti locali territoriali di governo è un dato definitivamente acquisito come la loro autonomia vada in primo luogo intesa quale potere di indirizzo politico-amministrativo, per quelli non territoriali, quali sono i liberi consorzi comunali, sono previste modalità di attuazione delle scelte di indirizzo politico di ciascun comune tramite la mediazione della specifica formula consortile. Ciò, perché l’ente pubblico consortile risulta pur sempre una proiezione degli enti stessi.
In tale contesto ordinamentale, il meccanismo della rappresentanza mediata dai comuni appare compatibile con il principio democratico e con quello autonomistico, escludendo che il carattere rappresentativo ed elettivo degli organi di governo del territorio venga meno in caso di elezioni di secondo grado che, peraltro, sono previste dalla Costituzione proprio per la più alta carica dello stato.
Le recenti proposte di legge bipartisan, fin qui presentate all’assemblea regionale siciliana e finalizzate a reintrodurre l’elezione diretta degli organi di governo dell’ente intermedio siciliano, hanno dimenticato che tale modalità, già introdotta nell’ordinamento regionale negli anni Novanta, è stata una “forzatura istituzionale” tollerata per 20 anni al solo fine di uniformare il modello di ente intermedio a quello presente nel resto d’Italia. Sintomatica di ciò è la previsione dell’art. 3 della legge regionale n. 9/86, a tenore del quale “L’amministrazione locale territoriale nella Regione siciliana è articolata, ai sensi dell’art. 15 dello Statuto regionale, in comuni ed in liberi consorzi di comuni denominati «province regionali»”. In sostanza, mentre l’ente intermedio è sempre stato il libero consorzio comunale, la “provincia regionale” è sempre stata soltanto un’etichetta terminologica.
La giurisprudenza
Della “forzatura istituzionale”, di cui poco si parla in dottrina, si sono occupate nel tempo ben tre giurisdizioni.
Nel 1955 l’Alta corte per la Regione siciliana (poi abrogata dalla Corte costituzionale con sent. n. 38/1957) dichiarò l’illegittimità del decreto legislativo di approvazione delle “norme sul nuovo ordinamento amministrativo degli enti locali nella Regione siciliana” nella parte dedicata a ricostituire le province statali sotto il titolo di province regionali. In quella sede fu affermato che “(…) il disposto dell’art. 15 dello Statuto sostituisce alle circoscrizioni provinciali e relativi organi ed enti, i liberi consorzi dei comuni. Tali consorzi non possono non avere origine dalla volontà dei rappresentanti comunali, ai quali spetterebbe precisare le finalità, i mezzi, gli organi pur nel quadro di una legge regionale”.
Nel 2014 il Tar di Palermo affermò che l’art. 15 dello Statuto siciliano attribuisce una diversa configurazione all’assetto istituzionale sovra comunale rispetto a quello scaturito dalla Lr n. 9/1986 che ha attuato la norma costituzionale solo apparentemente secundum legem nel momento in cui ha determinato l’organizzazione delle province nella Regione siciliana, come nel resto dell’Italia, quali enti locali territoriali dotati di autonomia politica e non solo amministrativa e finanziaria.
Ma il colpo di grazia è arrivato con la sentenza n. 168/2018, attraverso la quale la Corte costituzionale, dichiarando incostituzionale la previsione dell’elezione diretta del presidente dei liberi consorzi comunali per violazione dei principi di grande riforma economica e sociale contenuti nella legge statale Delrio, così concluse: “E ciò a prescindere dall’ulteriore profilo di contrasto – diretto – delle nuove disposizioni regionali sulla elezione a suffragio universale del presidente e del Consiglio del libero consorzio comunale con l’art. 15 dello statuto di autonomia della Regione siciliana, che ha riconfigurato le «soppress[e]» circoscrizioni provinciali su base, appunto, di «consorzi» tra comuni”.
Pertanto, se appare costituzionalmente illegittimo il ritorno all’elezione diretta nell’attuale formulazione siciliana degli enti intermedi, resta inteso che rientra nella facoltà del legislatore regionale richiedere la modifica – costituzionale – dell’art. 15 dello Statuto regionale nel caso in cui si ritenesse più adeguata la formula istituzionale della “provincia” come contemplata nella Carta costituzionale.
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davide isidoro pitasi
penso proprio che non se ne sentiva la mancanza…