Perseguire impegni ambientali stringenti, come fa l’Europa, può creare problemi di consenso. Un aiuto per mitigare le conseguenze su cittadini e imprese più colpiti può arrivare da trasferimenti e incentivi mirati e dai mercati degli obiettivi ambientali.

L’impegno europeo per l’ambiente

Nelle ultime settimane si è letto del rischio che le politiche ambientali europee possano indebolire le istituzioni comunitarie, ponendo le premesse per il riemergere di posizioni nazionaliste e radicali. L’attuale legislatura europea si è certamente connotata per la forte enfasi sulle politiche di decarbonizzazione, con impegni che alcuni giudicano eccessivi paventando un conto salato destinato a presentarsi, prima o poi, per cittadini e imprese. Uno scenario che mette in discussione l’appoggio dell’opinione pubblica, che pure aveva appunto indicato chiaramente il desiderio di una svolta ambientalista in occasione delle ultime elezioni europee.

È un tema che vale sia per l’Europa sia, e forse ancora di più, per ciascuno dei paesi membri.

Le politiche ambientali hanno un comune denominatore: richiedono un ingente mole di investimenti e soprattutto chiedono a tutti noi di cambiare abitudini. Sia quando cercano di mitigare il cambiamento climatico sia quando intendono favorire l’adattamento, sono rivolte a prevenire o correggere i comportamenti, a cambiare i modelli di produzione e consumo. Un percorso che implica la rinuncia a stili di consumo improntati al paradigma acquisto-consumo-scarto e che chiede di riprogettare i beni all’insegna di una maggiore durabilità, di produrre beni che possano essere riparati e smontati a fine vita, i cui materiali possano essere recuperati e destinati a nuove produzioni. Ma anche molto altro.

Sono scelte che possono risultare in elevati costi economici e di consenso.

I mercati degli obiettivi ambientali

Dobbiamo allora rinunciare a un ambiente migliore? E come possiamo costruire politiche resilienti?

Gli economisti hanno da tempo indicato come la mancata “interiorizzazione” del consumo di risorse ambientali – presente, ma anche passato e futuro – negli attuali modelli di produzione è all’origine dello sfruttamento eccessivo dell’ambiente.

Tra i possibili rimedi al problema di esternalità negative vi è l’istituzione di mercati degli obiettivi ambientali. In questi mercati, una volta stabilito l’obiettivo da raggiungere e quali sono i settori obbligati, lo scambio di titoli che certificano l’adempimento dell’impegno nei confronti dell’ambiente guida il sistema produttivo verso l’obiettivo e fa anche in modo che sia raggiunto al costo minore, riducendo al minimo le perdite di prodotto e occupazione.

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È il caso, ad esempio, degli obiettivi di efficientamento energetico o di riduzione delle emissioni di CO2 dove il percorso è guidato rispettivamente dai cosiddetti “certificati bianchi” e dai permessi di emissione (Ets). Ci sono anche strumenti di mercato di più recente introduzione, come i certificati di immissione al consumo, che in Italia sostengono la produzione di biometano nel mix di fonti rinnovabili per la decarbonizzazione dei trasporti. Altri strumenti sono in agenda, come i certificati del riciclo agganciati agli obiettivi di riciclaggio dei rifiuti e indicati nella Strategia nazionale per l’economia circolare. Altri, infine, come i certificati blu, andrebbero introdotti per sostenere un uso più efficiente dell’acqua nei processi produttivi o in agricoltura.

Gli effetti dei mercati degli obiettivi ambientali risultano in primo luogo nella tutela dell’ambiente, ma non si può negare che abbiano un effetto anche sul costo dei prodotti sottoposti a regolamentazione. E questo costo non può non avere un impatto sui cittadini, i quali rappresentano, in ultima istanza, anche i soggetti dante causa di tali politiche in quanto elettori.

Politiche sociali ed economiche efficaci

La transizione ecologica chiama in causa anche un rinforzo delle politiche sociali ed economiche in grado di mitigare gli impatti sui più deboli: le famiglie, soprattutto se a basso reddito, e i settori produttivi più esposti alle conseguenze del cambiamento climatico, in modo da coniugare aspetti ambientali, economici e sociali.

L’Austria ha di recente varato una politica economica “Ecosociale” di aumento della tassazione sui combustibili fossili, il cui gettito sarà redistribuito integralmente a cittadini e imprese caratterizzati da una ”impronta ambientale” intrinsecamente più elevata, promuovendo comportamenti più sostenibili tramite politiche redistributive. Un esempio? Riconoscendo che l’aumento del costo dei carburanti causato dall’incremento delle tasse avrebbe avuto conseguenze soprattutto sulle fasce della popolazione più disagiate che si trovano in territori dove non esiste una reale alternativa al trasporto privato, è stato varato un programma di trasferimenti alle famiglie, calibrati in modo da bilanciare gli effetti dell’ecotassazione sul prezzo dei carburanti. In questo modo, i redditi dei cittadini economicamente svantaggiati o dei residenti in territori penalizzati dalla mancanza del trasporto pubblico vengono sostenuti tramite i Klimabonus e al contempo a tutti gli altri arriva un segnale di prezzo che spinge a ridurre l’uso del mezzo privato. Il gettito della nuova tassazione viene utilizzato anche per ridurre le aliquote di quella sui redditi più bassi e sulle famiglie con figli, unitamente alla riduzione della tassazione sull’energia elettrica autoprodotta o prodotta da fonti rinnovabili. Benefici fiscali sono poi previsti per i settori industriali nei quali la sostituzione dei combustibili fossili con energie rinnovabili è tecnologicamente più difficile (settori hard to abate) o ha costi così elevati da metterne a rischio la continuità.

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La politica austriaca coniuga in modo indissolubile la tutela dell’ambiente con il tema sociale tramite una attenta redistribuzione dei costi e dei benefici della manovra, al fine di ridurre le diseguaglianze. L’attenzione agli aspetti distributivi può essere letta come intervento necessario per garantire il consenso sociale nei confronti delle politiche, che altrimenti verrebbero travolte dal ciclo elettorale.

La transizione necessita di un ripensamento di interi settori produttivi, di sforzi economici ingenti e di coesione nei confronti delle politiche. Le rinunce non però possono tradursi in impoverimento delle fasce sociali che già oggi si trovano in disagio economico o a rischio di emarginazione; ed è necessario uno sforzo affinché tali fasce siano tutelate e sostenute verso un comportamento maggiormente sostenibile. Non è più ammissibile, oggi, cadere nella trappola della curva di Kuznets, e cioè che l’ambiente sia “affare per ricchi”, occorre far sì che la trasformazione della produzione e del consumo sia motore di una crescita economica “inclusiva” unitamente alla tutela dell’ambiente.

Per fare questo occorre una leadership culturale forte, sostenuta dalla fiducia dei cittadini, in un cammino credibile e al contempo sostenibile. Politiche di trasferimenti e incentivi mirati, unitamente a nuovi mercati degli obiettivi ambientali possono essere un valido ausilio per mitigare le conseguenze sui più deboli e sui settori produttivi più colpiti.

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