Dopo una serie di aumenti iniziata in primavera, la fiducia delle famiglie e delle imprese italiane è di nuovo in calo. È un campanello d’allarme da considerare con attenzione perché potrebbe minare una ripresa ancora fragile. Fibrillazioni politiche e la necessità di un Governo in grado di agire.
IL CALO DELLA FIDUCIA IPOTECA LA RIPRESA
La fiducia delle famiglie e delle imprese italiane è di nuovo in calo. Lo mostrano i dati Istat di ottobre che in modo significativo hanno cambiato segno dopo una sequenza di aumenti iniziati nei mesi primaverili. Come mostrano i grafici, il calo della fiducia del mese di ottobre non è tanto rilevante da rimangiarsi i progressi precedenti. Le famiglie e le imprese continuano a mostrarsi ben più ottimiste che nel primo semestre del 2013 sia relativamente alle prospettive dell’economia nel suo complesso che relativamente alle loro prospettive individuali. Ma i dati di ottobre sono un campanello d’allarme da considerare con attenzione perché un calo duraturo degli indici di fiducia potrebbe minare la fragile ripresa.
Grafico 1 – Fiducia delle famiglie
Fonte: Istat
La fine della recessione e la ripresa di fine anno di cui si parla da mesi sono infatti per ora appese a due fili facili da spezzare. Uno è la ripresa degli ordini industriali, precondizione per il recupero dei fatturati industriali, che a loro volta tradizionalmente si portano dietro la ripresa del resto dell’economia. Per ora, purtroppo, il recupero degli ordini è evidente solo per quelli esteri e rischia quindi di lasciare a bocca asciutta le imprese che hanno il mercato nazionale come sbocco principale dei loro prodotti. Gli ordini nazionali invece continuano a dare solo deboli segni di ripresa. I dati sugli ordini nazionali di gennaio-luglio 2013 valgono -8,5 per cento rispetto allo stesso periodo del 2012. Un dato dunque ancora negativo, anche se il segno meno – a conferma della tendenza in atto verso la fine della recessione – è diventato meno grande di quello che si osservava nella prima metà del 2013. È qui che entra in campo la fiducia delle famiglie e delle imprese: se i sintomi oggettivi di ripresa sono ancora fragili, diventa di cruciale importanza l’aiuto della psicologia. A parità di reddito disponibile e ricchezza, infatti, consumatori più ottimisti si riempiono più generosamente il carrello della spesa e magari ricominciano a considerare di cambiare il televisore, l’automobile o la lavatrice, e di comprarsi un nuovo smartphone o l’iPad. Lo stesso vale per le imprese: una catena di supermercati che intravede la ripresa più probabilmente deciderà di aprire un nuovo negozio o di rinnovare la flotta aziendale di furgoncini per il trasporto dei prodotti. In passato, il ritorno dei consumatori e delle imprese alla fiducia si è associato in modo sistematico al ritorno dei consumatori alle spese per consumi e delle imprese all’investimento. Con ordini nazionali stagnanti, il mercato interno ha bisogno della fiducia di famiglie e imprese per farli ripartire.
Grafico 2 – Fiducia delle imprese
Fonte: Istat
FINORA GLI ITALIANI ERANO STATI FIDUCIOSI
Tra la primavera e l’estate 2013, la psicologia ha dato una mano. Con una chiara inversione di tendenza, infatti, l’indice della fiducia dei consumatori è risalito nettamente dal minimo toccato in marzo. La percezione del miglioramento è più pronunciata per il clima economico futuro che per il clima personale del momento. Come dire che le famiglie italiane sono perfettamente consapevoli della difficile situazione di oggi che le induce a contrarre, o almeno a essere prudenti nel consumo, ma nello stesso tempo sembrano in questi mesi aver ritrovato un po’ di fiducia per il domani. Per le imprese, il recupero di fiducia è più contenuto. Il punto di minimo è stato raggiunto nel giugno 2013 e così il calo di fiducia di ottobre arriva dopo tre soli mesi di progressi. Ma come per le famiglie, nonostante il calo di ottobre, l’indice di fiducia assume oggi valori più elevati che nello scorso giugno. Per le imprese manifatturiere, il calo di fiducia non c’è nemmeno. Per quelle di servizi e di commercio al dettaglio, le imprese che avevano fatto registrare il recupero di fiducia più consistente nei mesi precedenti, il calo invece c’è ed è molto marcato.
OTTOBRE: LA DOCCIA FREDDA
Il calo della fiducia delle famiglie delle imprese di ottobre è dunque una doccia fredda sulle fragili prospettive di ripresa di cui non si sentiva certo il bisogno. Non è però una doccia fredda inattesa, per ragioni politiche ed economiche. Il calo della fiducia è associato al venir meno della coesione politica all’interno della maggioranza di larghe intese, che non è stata certo un fulmine nel sereno cielo di ottobre. Tutto comincia il primo di agosto con la sentenza di condanna di Silvio Berlusconi per frode fiscale da parte della Corte di Cassazione a cui fanno seguito le motivazioni della sentenza il 29 di agosto. Il nervosismo indotto nel quadro politico (soprattutto nel centrodestra) dalla condanna e dal susseguirsi di eventi che potrebbero portare alla marginalizzazione del leader del centrodestra dalla vita politica rende la vita del Governo molto più instabile e legata al giorno per giorno. Con l’inizio di settembre, quello che doveva essere un operoso autunno di lavoro di un Governo che fino a quel momento aveva soprattutto rinviato la risoluzione dei nodi politici presenti fin dalla sua nascita (la restituzione e cancellazione dell’Imu, la sospensione dell’aumento dell’Iva, il rifinanziamento della Cig) si trasforma in una via crucis di ricatti e precarie ricuciture nella maggioranza fino all’incontro del 30 settembre tra Berlusconi e il segretario del Pdl Angelino Alfano. Da lì, diventa chiaro che la sorte dell’esecutivo si è fatta ancora più precaria, che la crisi di Governo è una questione di giorni. Si parla di elezioni prima di Natale, almeno fino al voto in Senato del 3 ottobre quando Berlusconi a sorpresa (si potrebbe dire con una Veronica dell’ultimo minuto) conferma la sua fiducia al Governo di cui aveva attivamente minato le fondamenta negli ultimi due mesi. Sarebbe sorprendente se la sequenza di questi avvenimenti non avesse lasciato una traccia negativa nella fiducia dei consumatori e delle imprese, soprattutto nella loro percezione che il paese sia retto da un Governo – per una ragione o per l’altra – incapace o impossibilitato a prendere le decisioni che servono per accompagnare l’economia fuori dalla recessione.
C’è poi da aggiungere che – anche a causa della gabbia di indecisione in cui è rinchiuso il governo – con il primo ottobre è aumentata l’Iva di un punto (dal 21 al 22 per cento) sul 40 per cento circa dei prodotti consumati dalle famiglie italiane, con un aggravio di un centinaio di euro per le tasche delle famiglie già fiaccate da due anni di recessione e di aumenti di tasse. La prospettiva di un riaccendersi dell’inflazione indotto dall’aumento dell’Iva certo non ha influenzato positivamente le aspettative dei consumatori per il futuro. Si può ricordare che l’analogo incremento di un punto dell’Iva del settembre 2011 non aveva lasciato una traccia duratura negli indici di fiducia. Il netto calo degli indici osservato proprio nel settembre 2011 – probabilmente causato dal timore per le conseguenze della crisi dei debiti sovrani (allora in pieno svolgimento, con epicentro proprio in Italia) – venne rapidamente riassorbito dall’ottimismo indotto dall’arrivo del Governo tecnico di Mario Monti nei mesi successivi. È la sensazione che non ci sia nessuno al timone ciò che agita e deprime famiglie e imprese italiane, non l’aumento di un punto di Iva.
COSA FARE PER RIDARE FIDUCIA A FAMIGLIE E IMPRESE
La perdita di fiducia delle famiglie e delle imprese di ottobre dimostra che gli italiani continuano a seguire la politica, anche se lo fanno più con preoccupazione che con passione. Malgrado la disaffezione confermata dagli studiosi dei flussi elettorali, la seguono quel tanto che basta da arrivare a preoccuparsi per le fibrillazioni a cui Silvio Berlusconi, per le sue vicende giudiziarie, ha costretto la maggioranza di larghe intese. La fine della guerriglia mediatica contro il Governo in carica è dunque una condizione necessaria per il recupero della fiducia degli italiani. Ma non basta. Occorre anche che il Governo – se gode di una maggioranza – riesca a far approvare misure incisive che aiutino e accompagnino l’economia fuori dalla recessione, impostando un piano credibile di riduzione della spesa pubblica e di riduzione delle imposte su un orizzonte di tempo più vicino delle calende greche. Altrimenti, addio ripresa.
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Francesco Keynesiano
La fata fiducia! E’ incredibile come ancora si riescano a dare delle ricette del tipo che la fiducia tornerà e con essa la ripresa “impostando un piano credibile di riduzione della spesa pubblica e di riduzione delle imposte su un orizzonte di tempo più vicino delle calende greche”: ancora non avete capito che il moltiplicatore delle imposte, in tempi di recessione, è più basso, molto più basso, di quello della spesa pubblica? (per info http://www.gustavopiga.it/2013/lo-spread-tra-alesina-giavazzi-e-stiglitz-piga-e-a-181-punti-base/) Ma come si può continuare a scrivere certe cose? La spesa pubblica in Italia si sta già riducendo in termini addirittura nominali dal 2010; il blocco del turnover fa sì che ci siano dal 2006 ad oggi 300.000 dipendenti pubblici in meno; la spesa pubblica su PIL escluse pensioni e interessi è la più bassa di tutta l’UE (lo dicono persino su Noisefromamerika http://noisefromamerika.org/articolo/fassineide-trilogia-parte-seconda); quanto alla spesa per pensioni in Italia è già avviata sul sentiero di riduzione con le severissime riforme culminanti con quella della Fornero http://www.gustavopiga.it/2013/la-doppia-arma-negoziale-in-europa-per-un-deficit-del-4/ facendo quindi di più che in QUALSIASI altro paese dell’OCSE; la spesa per interessi non dipende da noi, ma dalla politica della BCE, questo ormai è pacificamente accettato ovunque. Ancora un pò di queste proposte e la ripresa ce la sogneremo di sicuro!
Enrico
Concordo con l’ultima frase:
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Personalmente ritengo che la sfiducia sia maggiormente correlata alla valutazione della capacità della classe politica che ci governa (e come ci governa) più che alla “sensazione” di satbilità che viene riportata dai media (chi più e chi meno)
serlio
tassazione massacrante (che non lascia soldi nelle tasche degli italiani)
sprechi intoccabili
spesa pubblica a livelli astronomici e servizi sempre peggiori
politica inaffidabile (nella migliore delle ipotesi)
con queste premesse come si può pensare di spendere?
se poi lo fai arriva l’inquisizione fiscale….
Maurizio Cocucci
C’è un Paese che ha una pressione fiscale pari a circa il 49% del Pil (stima FMI per il 2013), un tasso di crescita del 0,4% del PIL a prezzi costanti stimato per il 2013, un debito pubblico del 74% e un tasso di disoccupazione del 4,8%.
Forse, dico forse, il problema non è il livello della pressione fiscale, ma come questa è distribuita, rispettata (cioè priva di elevati livelli di evasione/elusione) e come viene impiegata la spesa pubblica.
Dimenticavo, il Paese in questione è l’Austria! Paese che rientra nell’Eurozona, ha sottoscritto il Fiscal Compact, non possiede più la sovranità monetaria, ma soprattutto è meta di molte imprese italiane che decidono di lasciare l’Italia.
Enrico
100% d’accordo: il problema non è nel quantità di soldi che si pagano in tasse, ma come questi vengono spesi.
Oltre a migliorare i servizi, rendendoli efficienti, dovrebbero cominciare seriamente a considerare la riduzione dei centri di costo (notai, avvocati etc etc), queste si che sarebbero riforme ed anche a costo contenuto
Alberto
La pressione fiscale in valore percentuale non significa granché. Se il reddito medio in Austria è di 28.996 € annui contro una media italiana di 21.374 €; a parità di percentuale di pressione fiscale comporta comunque maggior reddito netto per gli austriaci che poi pagano meno la corrente elettrica, il riscaldamento, gli affitti, le autostrade, la benzina, il gasolio… La burocrazia non è schizofrenica, – in media dieci volte meno adempimenti – e lo Stato non “uccide” le aziende, non esiste neppure la paranoia da terrorismo fiscale come l’invocato “sano timore”; sempre più imprenditori sono determinati a far sopravvivere le loro aziende : chiudono nel nostro paese per riaprire, ad esempio, da loro.
Maurizio Cocucci
L’Italia ha una spesa pubblica in rapporto al PIL maggiore della Germania, però rispetto ai tedeschi spendiamo meno (sempre in rapporto al PIL) in: sanità, istruzione, cultura, ricerca, sistema pensionistico, welfare e politiche sociali in genere. Mi chiedo quindi dove spendiamo invece di più. Non rimangono poi tante altre voci di spesa.
giancarlo
L’Austria fa parte della vecchia area valutaria del Marco. E’ una economia ben allineata alla Germania e per questo l’accesso all’euro non poteva che dare un buon viatico. Noi fino agli anni ottanta avevamo un tasso di crescita PIL che l’Austria si sognava e si sogna. Non comprendo perchè citare i dati economici dell’Austria. L’Italia nonostante il suo miracolo non aveva mai avuto e non ha un’economia simile alla Germania e alla sua area valutaria. Lo sappiamo tutti il perché. Sappiamo quali sono le inefficienze di casa nostra (cricca casta corruzione infrastrutture giustizia istruzione) che si scaricano sul sistema delle nostre imprese rendendole meno competitive, il che significa che il lavoro che esse impiegano non può essere più produttivo della Germania. La moneta unica non consente al sistema Italia di scaricare queste inefficienze con aggiustamenti sulla valuta per mezzo della legge domanda – offerta sulla valuta nazionale. Ed ecco che, come previsto da tutti gli economisti ben prima della nascita dell’euro, le tensioni date dal differenziale inflattivo cumulato in questi anni di euro, si scaricheranno sui salari, riducendoli e dunque abbattendo ancora il PIL. E’ un avvitamento di una stagnazione, che poi grazie a monti-letta è divenuta recessione e poi diverrà un crollo sempre più incontrollabile. E c’è ancora chi propone la soluzione ‘più europa’. Per carità, meglio niente Europa. Abbandoniamo questa nave europea e riacquistiamo la nostra libertà.
stefano monni
Ancora una volta mi trovo a dover contestare l’ennesima ricetta per l’uscita dalla recessione consistente in una riduzione delle imposte che passa necessariamente per una riduzione della spesa pubblica. Al di là del fatto che tale ricetta nulla dice in merito alla tipologia di spesa pubblica che si vorrebbe ridurre, ritengo che la soluzione ai nostri problemi economici debba passare attraverso una riduzione delle imposte che passi attraverso una aumento della produzione nazionale (Pil), ovvero una riduzione delle imposte in costanza di gettito. Per far questo, però, io credo che la soluzione, soprattutto in una fase recessiva, consista in un aumento della spesa pubblica produttiva (in conto capitale), forse ripensando magari i vincoli e parametri di Maastricht. Pertanto, in breve, la soluzione è: aumento spesa pubblica per investimenti, aumento occupazione, aumento fiducia dei consumatori.
Maurizio Cocucci
L’ostacolo non sono i parametri di Maastricht ma il mercato. Nel 2011 non abbiamo avuto un blocco da parte di Bruxelles, ma il rifiuto dei grossi investitori ad acquistare i nostri titoli. Se i tassi di interesse sono poi calati lo si deve in particolare all’iniezione di liquidità dalla BCE verso gli istituti bancari che hanno poi acquistato per l’appunto titoli italiani (e non solo).
Inoltre tali vincoli derivano dal fatto che ora non abbiamo un moneta tutta nostra, ma che coinvolge altri Paesi e quindi non si può utilizzare a discrezione. E’ come l’ufficio acquisti di una normale azienda che a fronte di spese oltre un determinato ammontare deve richiedere la firma della direzione. Questo perchè non sta acquistando con denaro proprio ma con quello della azienda.
Le ripercussioni di una cattiva spesa da parte di uno Stato si riflette di conseguenza sulle altre economie dell’eurozona.
Venendo alla qualità della nostra spesa pubblica, direi che gli esempi per ridurla e migliorarla ve ne sono a centinaia se non migliaia. Ma la soluzione che molti preferiscono è quella semplicistica: dateci il bancomat o un assegno in bianco della BCE! Non funziona così.
stefano m
Sono in parte d’accordo con l’osservazione, soprattutto in merito ai tanti esempi per ridurre e migliorare la nostra spesa pubblica. Mi trovo meno d’accordo sul fatto che il problema non sia rappresentato dai parametri di Maastricht o, di recente, dal cosiddetto fiscal compact che tali parametri ribadisce e rafforza. Il pericolo che stiamo correndo, soprattutto in questa fase di recessione, è quello di ridurre la spesa sociale a vantaggio di un obiettivo, quello del pareggio di bilancio che, sebbene auspicabile in fasi di crescita economica, appare discutibile in quelle di recessione. Ritengo che quello che stiamo in realtà vivendo è un attacco deliberato allo Stato sociale da parte di una ideologia fondata sul liberismo economico senza freni che, nonostante la attuale crisi mondiale, cerca di sopravvivere agli attaccchi di quanti vorrebbero porre un freno.
Piero
Corretto la fiducia e’ aumentata con il nuovi erano, ciò è’ naturale, un nuovo governo ispira sempre fiducia, ma dopo, la fiducia deve essere mantenuta con i fatti, non c’entra nulla la coesione, il problema sono i fatti, Letta ha partorito solo un provvedimento importante, per il resto solo chiacchiere, aveva promesso che se il parlamento non avrebbe eliminato il finanziamento dei partiti entro ottobre, sarebbe intervenuto con decreto legge, lo stesso per la legge elettorale, aveva promesso un impegno in Europa, per ottenere qualcosa per l’Italia, ricordo a tutti che abbiamo dato all’Europa oltre 60 mld per il fondo di stabilità e non abbiamo ottenuto nulla, invece al contrario dall’Europa otteniamo solo censure, Saccomanni manda a loro la legge di stabilità prima di portarla in parlamento, abbiamo perso del tutto la sovranità, con tali premesse come si può dire che la mancanza di fiducia dipende dalla mancanza di coesione delle forze politiche, ricordo che è’ il governo che guida l’Italia, oggi il parlamento gli approva sicuramente i provvedimenti che prima ho elencato, il problema e’ che il governo vuole bivaccare alla faccia degli italiani ma ore scopi interni, forse aspettano ma morte di Berlusconi perché in tale modo il centrosinistra possa governare da solo, ma qui muoiono prima gli italiani.