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Una previsione europea difficile da accettare

La Commissione Europea alza ulteriormente l’asticella della disoccupazione di equilibrio per l’Italia: una stima basata su criteri arbitrari, che si ripercuote anche sulle previsioni del deficit. Rischiando così di vanificare i nostri sforzi per rispettare il Fiscal Compact.

IL RISPETTO DEL FISCAL COMPACT…

L’Europa ci richiama al rispetto degli obiettivi di indebitamento strutturale. Negli incontri della scorsa settimana, le autorità europee hanno richiamato l’Italia al puntuale rispetto degli impegni previsti dal Fiscal compact, che impone al nostro paese, come obiettivo di medio termine, l’azzeramento del disavanzo strutturale delle Pubbliche Amministrazioni. I richiami confermano la posizione già espressa dalla Commissione lo scorso settembre quando, in sede di parere sul Documento programmatico di bilancio dell’Italia, si indicava come il paese dovesse “continuare a compiere progressi sufficienti verso l’obiettivo di medio termine anche nel 2014, garantendo un aggiustamento strutturale di almeno 0,5 punti percentuali del Pil”. Infatti, secondo le Winter forecasts della stessa Commissione, nel 2014-2015 il disavanzo strutturale italiano non solo non diminuirebbe ma addirittura aumenterebbe, passando dallo 0,6 allo 0,9 per cento del Pil; ciò nonostante, nel frattempo, si preveda una riduzione del deficit nominale, dal 3 al 2,2 per cento del prodotto.
Ma siamo davvero sicuri che l’Italia non abbia, in realtà, già raggiunto il suo obiettivo di medio termine e che l’indebitamento strutturale non sia già stato annullato? In altre parole, siamo sicuri che la Commissione non stia sottostimando l’impatto del ciclo economico avverso sul deficit pubblico, anche per effetto dell’austerity, e che quindi segnali la necessità di una manovra correttiva laddove occorrerebbe invece agire in senso opposto?
I dubbi sorgono se si considerano le ipotesi utilizzate dalla Commissione per misurare l’output gap, variabile base per il calcolo dell’indebitamento strutturale.

…CON LA DISOCCUPAZIONE DI EQUILIBRIO IN AUMENTO

In particolare, secondo la Commissione, il tasso di disoccupazione di equilibrio (Nawru) dell’Italia, quello compatibile con l’obiettivo di stabilità dei prezzi, sarebbe risultato pari al 10,4 per cento nel 2013 e sarebbe destinato ad aumentare ulteriormente, fino all’11 per cento nel 2015. In altri termini, secondo questi calcoli il policy maker italiano potrebbe ritenersi soddisfatto se a partire dal prossimo anno riuscirà a lasciare a casa “solo” 2,8 milioni di lavoratori, in quanto è questo il livello di equilibrio dei disoccupati stimato dalla Commissione. Appare chiaro anche ai meno esperti che questa è un’indicazione difficilmente accettabile. Ma cosa comporterebbe rimuovere queste ipotesi di dubbio significato economico dal calcolo dell’indebitamente strutturale?
La tavola 1 riporta, a parità di indebitamento nominale, i valori del saldo strutturale italiano che risulterebbero a fronte di livelli del tasso di disoccupazione di equilibrio inferiori a quelli utilizzati dalla Commissione.

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Tavola 1
 Cattura
(*) Nawru 2013=10.4 per cento; 2014=10.8 per cento; 2015=11 per cento.
Fonte: nostre elaborazioni su dati, stime e metodologia Commissione Europea.

Come si osserva, già con un tasso di disoccupazione di equilibrio del 10% la manovra necessaria per rispettare l’obiettivo di azzeramento del disavanzo strutturale si dimezzerebbe; il saldo strutturale sarebbe poi in avanzo se ponessimo il livello di disoccupazione di equilibrio fra valori compresi fra l’8 e l’8,6 per cento.
E’ utile ricordare che nelle previsioni dell’autunno 2011 la Commissione stimava per l’Italia un tasso di disoccupazione di equilibrio pari al 7,5 per cento e che nelle successive previsioni della primavera 2012 tale valore era ancora collocato intorno all’8,5 per cento (grafico 1).

Grafico 1
Stime della Commissione Europea sul tasso di disoccupazione di equilibrio dell’Italia
Cattura
Fonte: Commissione Europea.

Nella scelta dei parametri e delle variabili da considerare per la stima del tasso di disoccupazione di equilibrio è però insito un elevato grado di arbitrarietà. In particolare, le scelte adottate dalla Commissione inducono a rivedere in modo consistente il Nawru in base all’andamento più recente del tasso di disoccupazione osservato. Dal grafico 1 si osserva, infatti, come l’approfondimento della recessione abbia spinto la Commissione, a partire dall’autunno 2012, a peggiorare drasticamente le proprie stime sul Nawru. Questo impianto metodologico determina quindi un circolo vizioso: le politiche di austerity, per il loro effetto recessivo, comportano un peggioramento del mercato del lavoro, che si riflette sul livello di equilibrio del tasso di disoccupazione, che a sua volta implica un allargamento dei disavanzi strutturali e l’esigenza di attuare ulteriori politiche fiscali restrittive.
Vi sono, quindi, evidenti limiti nelle metodologie utilizzate per il calcolo del tasso di disoccupazione di equilibrio dalla Commissione. Gli obiettivi di stabilità del bilancio pubblico sono imprescindibili per restituire prospettive di sviluppo alla nostra economia, ma alle autorità europee che ci richiamano al rispetto degli impegni sul disavanzo strutturale potrebbe essere possibile rispondere usando la nostra lingua madre: pacta servata sunt (i patti sono stati rispettati).

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11 commenti

  1. Francesco

    Ringraziando gli autori per l’analisi interessante e per gli spunti di riflessione, mi preme fare due considerazioni sulle stime NAWRU della Commissione Europea.
    La prima è che la metodologia attuale non risulta da una scelta arbitraria dei burocrati di Bruxelles, ma è stata concordata dagli Stati Membri (e si sta proprio ora lavorando ad un suo aggiornamento), quindi bisognerebbe sottolineare che la Commissione ha al momento le mani legati dagli accordi intergovernativi, quindi purtroppo non ci sono molti margini per pretendere revisioni delle stime di indebitamento strutturale (e lo stesso vale per Spagna, per esempio, il cui NAWRU attuale è oggettivamente poco credibile).
    La seconda considerazione è di carattere più generale e riguarda l’interpretazione del NAWRU. Capisco la necessità di rendere il testo più godibile per il lettore, ma penso che sia concettualmente sbagliato asserire che il NAWRU è il livello di disoccupazione al quale “il policy maker italiano potrebbe ritenersi soddisfatto”. La giusta interpretazione (assumendo che la metodologia sia condivisa) è che, date le condizioni strutturali del Paese (per esempio, la regolamentazione del mercato del lavoro, la capacità produttiva e il livello di formazione dei disoccupati), il NAWRU è il livello “di equilibrio”, nel senso che né deprime i salari né li fa crescere in maniera non sostenibile. Certamente il policy maker non può ritenersi soddisfatto di un qualunque valore superiore allo 0 (in linea di principio) e l’obiettivo delle riforme deve essere proprio di abbattere questo valore. Così come è inaccettabile lasciare 2,8 milioni di persone fuori dal mercato del lavoro, lo è anche lasciarne 1 milione oppure 200.000, l’argomento morale contro il NAWRU può sempre essere utilizzato per qualunque valore positivo dell’indicatore. Quindi avrei gradito più una critica sugli specifici difetti della metodologia che non sul valore considerato troppo alto, perché questo è sempre vero, per ogni valore. Tuttavia è pienamente condivisibile la critica che il NAWRU non dovrebbe cambiare così repentinamente in poco tempo: avete ragione nel sostenere che questo è un buon indicatore di un possibile difetto nella definizione della metodologia.

    • Stefano Fantacone

      Osservazioni corrette. Il contributo ha per ora un intento prevalentemente divulgativo, ma stiamo lavorando per illustrare analiticamente l’inadeguatezza del Nawru come indicatore guida della politica fiscale. Anticipando in breve, il problema sta nella pretesa di voler fa derivare dal Nawru una regola automatica per misurare la correzione da apportare al bilancio. Il Nawru è da molto tempo tempo usato dalle autorità di politica monetaria, che però non ne derivano regole automatiche e infatti non ne nascono problemi come quelli da noi rilevati. La metodologia è stata concordata dagli stati membri? Mah, formalmente senz’altro, non mi sembra però che ci sia stato un dibattito sull’argomento né che la politica sia consapevole del fatto che possono esistere n diversi valori del deficit strutturale. Il nostro modesto contributo vuole appunto estendere il dibattito al di fuori della ristretta cerchia degli addetti ai lavori.
      Grazie per il commento

      • Francesco

        Concordo su tutto, e soprattutto sulla possibilità di migliorare la misurazione del Nawru. Però spezzerei una lancia in favore della sua “istituzionalizzazione”, nel senso del suo utilizzo come regola automatica (una volta che si trova un accordo sulla metodologia). Il deficit strutturale è già un “aiutino” (per usare un termine televisivo) che viene dato ai paesi in difficoltà economica per “migliorare” il loro deficit nominale. È stato quindi un punto di compromesso tra chi voleva regole rigide e stringenti sui valori nominali e chi non voleva alcun tipo di regola. Il risultato di questo accordo mi pare abbastanza ragionevole perché permette di avere regole chiare, ma allo stesso tempo definisce con altrettanta chiarezza (metodologica) come si definiscono i margini di flessibilità nello sforamento dei valori nominali. Del resto (mi permetto un piccola provocazione) quale sarebbe l’alternativa? Gli stati membri addurrebbero ragioni diverse per ogni sforamento delle regole e, per carità, il 99% delle volte queste ragioni saranno validissime, ma si perderebbe il senso di avere delle regole comuni. I primi anni del trattato di Maastricht sono stati esattamente questo, un gentlemen agreement tra i diversi paesi (solo per poi scoprire, con le ultime revisioni Eurostat, che l’anno prima della crisi, in pieno boom, il deficit di bilancio della Grecia era intorno al 10% del Pil). Quindi, in una parola, sono d’accordo sul formulare regole migliori, ma una volta formulate penso che non si debbano scordare anche le ragioni della “rigidità” (visto che quelle della flessibilità hanno già molti avvocati ultimamente e aumenteranno con le imminenti elezioni).

    • Marco

      Qualcuno mi sa spiegare quale sarebbe il meccanismo per cui con una disoccupazione “troppo bassa” i salari dovrebbero “crescere in maniera non sostenibile”?

  2. rob

    Il futuro dell’ Europa non dipende più (solo) dai numeri ma soprattutto da eventi storici passati e futuri davanti a cui nessuno (tedeschi in primis) potrà fare finta di niente. Chi ha avuto nel passato non può pretendere adesso di avere ancora da coloro che hanno contribuito alla propria ricchezza. A buon intenditor poche parole

  3. gmn

    Da lettore mediamente informato l’intento divulgativo è evidente ma il risultato divulgativo non mi soddisfa: in pratica non ho capito bene. Aggiungo che stamane a Radio Capital non so quale giornalista famoso che si occupa di economia diceva che il tasso di disoccupazione del 10 o 12 per cento è voluto, La faccenda mi pareva strana e da quello che leggo mi sembra non sia così. Ma, come ho detto, non ho capito tutto e non l’ho capito bene. Quindi chiederei di rivedere l’articolo in modo che si capisca cosa sia la disoccupazione di equilibrio, cosa c’entri il disavanzo con la disoccupazione e se ci sono gnomi malefici che deprimono il popolo consapevolmente per risanare le finanze degli Stati.

    • Manfredi

      In soldoni: nel nuovo fiscal compact europeo, più che alla mitica regola del 3% del deficit tanto menzionata, si fa riferimento principalmente ad una traiettoria di rientro del debito pubblico in direzione del 60% del Gdp nella misura di 1/20 all’anno ma anche ad un contenimento del “deficit strutturale” cioè quella parte del deficit che non è influenzata dal ciclo economico. Per esempio un “deficit strutturale” dell’1% può essere un deficit reale dello 0% in un momento di ciclo economico positivo (con economia che cresce veloce e ricche riscossioni di tasse) o 3% in periodo negativo (quando economia è negativa, le tasse sono meno e i sussidi di disoccupazione sono molti).
      Chiaramente si vede che il concetto è un po’ arbitrario: chi decide esattamente a che punto del ciclo economico ci troviamo? Chi decide quale parte del deficit è “strutturale” e quale è “congiunturale”? Si usano vari parametri per giudicare, uno fra questi è il tasso di disoccupazione “naturale” cioè quel tasso di disoccupazione che un’economia può aspettarsi in una situazione né di crisi né di boom economico.
      Se dico che il tasso “naturale” è del 10% significa che se il tasso reale è del 12% per esempio, considero un 2% di eccesso causato dalla congiuntura economica e per esempio i sussidi di disoccupazione pagati a quel 2% non vengono computati come “deficit strutturale” perché se l’economia migliora immagino che questi scompariranno. Maggiore è il tasso “naturale” che uso, minore è l’impatto della disoccupazione reale nel valutare il deficit congiunturale e quindi maggiore è la correzione di deficit che un paese deve fare.

      • gmn

        Grazie, ora mi è più chiaro. Quindi si dovrebbe spiegare all’autorevole giornalista di Radio Capital che se la commissione dice che il tasso “naturale” è più alto di quanto affermato prima, ci sta facendo uno sconto sul raggiungimento degli obiettivi di rientro del debito. E’ così? Perché se è così, l’informazione “la Ue vuole un alto tasso di disoccupazione come strumento di rientro del debito” è falsa.

        • Manfredi

          Dipende a cosa si riferisce. L’aggiustamento macro-economico per abbattere il debito (e aumentare la produttività del lavoro) può avvenire o con inflazione (che abbatte il valore reale del debito e il costo reale del lavoro) oppure con un abbassamento dei salari e senza inflazione.
          In teoria un alto tasso di disoccupazione dovrebbe incoraggiare una diminuzione dei salari (per la legge della domanda e offerta) ma in realtà i salari sono “sticky” cioè la struttura dei contratti di lavoro rende molto difficile abbassare i salari delle persone. Quindi il problema è proprio che la UE e soprattutto la Germania spingono per un aggiustamento doloroso via disoccupazione piuttosto che per uno molto meno violento grazie a inflazione moderata (non alta) a causa della ossessione teutonica anti-inflazione.

  4. Maurizio Cocucci

    Il Patto di Bilancio Europeo o Fiscal Compact è una corbelleria che a breve dovrà essere rivisto se non si vuole la dissoluzione della Ue. Esso si basa su pochi e anacronistici parametri che da una parte vincolano i bilanci europei ma dall’altra vincolano anche le possibilità di ripresa economica. I parametri macroeconomici da rispettare sono quelli di Maastricht, quindi decisi nel 1992 su dati storici degli anni ’70 e ’80 quando le economie si trovavano in ben altro contesto, con tassi di crescita medi ben diversi da quelli odierni e che saranno difficilmente ripetibili. Per mantenere un rapporto debito/Pil al 60% e un deficit/Pil al 3% occorre una crescita media del Pil nominale almeno del 4,5%, cioè ipotizzando anche una crescita dei prezzi del 2,5% l’economia reale dovrebbe crescere mediamente per del 2%. Nemmeno la Germania può reggere questa media nel lungo termine. Non capisco quindi perché arroccarsi su questi valori e non riferirli al contesto attuale (esempio rapporto debito/Pil 80%) e renderli flessibili sulla base di specifici cicli economici, in maniera da permettere interventi anticiclici. Se non si farà questo si assisterà allora al dilagare del sentimento antieuropeo oltre che antieuro con il rischio di cadere dalla padella alla brace. Hollande sembra averlo capito.

  5. Guest

    La “crescita” è un miraggio (ed è peraltro ancora , decisamente, debt driven/leveraged). La spesa pensionistica alle stelle (in Italia, l’Inps ha le casse rottissime: arrivarci al 2018…) e siamo evidentemente ad un picco tecnologico (droni, robotics,stampa 3D e poi?). Nel merito: condivido quanto scritto da altri prima di me. La crescita filosofale, dove sta?
    Mera numerologia, fondata su Excel sbagliati (Fmi) peraltro. Altro che compact! Gli Usa sono stati sommersi dalla liquidità pompata. Qui manca l’ossigeno.

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