L’invasione degli extra-comunitari
Immersa nei debiti, la Federcalcio decide di chiudere le frontiere agli extra-comunitari “anticipando le norme della legge Bossi-Fini”. Se ne potrà tesserare ancora uno per squadra fino al 31 agosto, poi basta. A detta di Franco Carraro, presidente della Federcalcio, è un modo per impedire un’invasione di extra-comunitari (ne sarebbero arrivati altri 500!) e di risanare i conti delle società. Il Sindacato calciatori ha naturalmente accolto con soddisfazione questa misura. Da tempo il suo Presidente, Sergio Campana, la caldeggiava sostenendone la necessità per impedire che le nostre squadre perdano la loro identità nazionale. Argomenti pretestuosi. Il vero motivo per cui i nostri clubs acquistano calciatori extra-comunitari è che spesso costano meno dei nazionali e il sindacato calciatori teme un “dumping salariale”. Sono proprio gli attuali pressanti problemi di bilancio a spingere molte società ad ingaggiare calciatori meno cari. L’arrivo di molti extra-comunitari sarebbe un primo passo verso l’imposizione di quei tetti ai salari dei calciatori che sono da molti invocati come strada per risanare i conti delle società. Chiudere le frontiere, invece, serve solo a far salire il monte salari.
I nostri talenti
Si dice, anche, che l’arrivo di calciatori extra-comunitari non farebbe crescere i nostri talenti naturali, presenti ma poco utilizzati nei clubs. Equivale a sostenere che ridurre la competizione aumenta l’efficienza: una contraddizione in termini. Inoltre non è affatto chiaro che la presenza di talenti stranieri limiti la crescita dei nostri giovani. Gianfranco Zola ha dichiarato espressamente che allenarsi all’ombra di Maradona è stato uno degli elementi chiave per lo sviluppo del suo talento. Inoltre è proprio grazie all’arrivo di extra-comunitari che i nostri clubs sono riusciti spesso a ben figurare in competizioni a livello internazionale, acquisendo esperienza in incontri di alto livello. Infatti, con la partecipazione alle Coppe europee aumenta il numero degli impegni e si offre a tutti poi la possibilità di giocare. Non si ha dunque spiazzamento di nazionali da parte di extra-comunitari. E se anche così fosse, nulla vieta ai nostri giovani di andare a giocare all’estero. Alcuni dei nostri migliori giocatori lo hanno fatto (si pensi a Gattuso) e di questo sembra averne beneficiato anche la Nazionale.
La Nazionale e i vivai
Da ultimo non è nemmeno ovvio che limitare l’accesso agli extra-comunitari favorisca le esigenze di lungo termine della Nazionale di calcio. La possibilità di “importare” extra-comunitari a detta di alcuni, avrebbe ridotto gli incentivi per i nostri grandi clubs a investire sui giovani, rinunciando a coltivare i vivai. Questo potrebbe, nel tempo, indebolire la Nazionale, renderla meno competitiva. Ma di questi effetti non si hanno sin qui le avvisaglie. I molti successi della nostra Under 21, del resto, dimostrano esattamente il contrario.
Inoltre, non c’è bisogno necessariamente di impedire l’arrivo degli extra-comunitari per coltivare le nostre giovani speranze. Basterebbe tassare i clubs più ricchi (con contributi crescenti nel monte-salari delle squadre) per finanziare un vivaio della nazionale o per sussidiare quei clubs che investono nel “made in Italy”. Oppure si dovrebbe impedire che i trasferimenti dei “ragazzini” avvengano a costo zero, il vero motivo per il diminuito interesse nei vivai. Gli investimenti fatti dai clubs nel formare i giovani talenti devono essere adeguatamente remunerati. Meglio che imporre restrizioni all’utilizzo di extra-comunitari. Queste restrizioni non sono, peraltro, facilmente applicabili, come provano le vicende dei passaporti contraffatti. Facile prevedere che assisteremo a giri di giocatori extra-comunitari, acquistati e poi piazzati presso società di B o di C. Saranno proprio i clubs più ricchi a beneficiare di queste restrizioni perché i) hanno minori problemi di bilancio, ii) è più facile per loro aggirare le norme, piazzando i giovani talenti extra-comunitari presso società satellite. A rimetterci saranno soprattutto i clubs più piccoli.
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Marco Rossi
Cari Carlo e Tito, ho apprezzato il vostro articolo, ma divergo sulla vostra sentenza finale: “saranno i clubs più piccoli a rimetterci”. Vi ricordo il lavoro di Gaucci senior, che pur tra varie boutade con gli extracomunitari non ci ha certo rimesso.
Per inciso vi segnalo un caso visto in prima persona. Alcuni anni orsono gran parte dei giocatori della nazionale etiope in tourneè in Italia fuggirono dal ritiro chiedendo asilo politico. Il buon Gaucci li raccattò alcuni, tra cui quattro ragazzi che colloco presso la Virtus Chianciano allora nella categoria dilettanti. Essi presero casa di fronte a mia madre, e ci dilettavamo a verderli sgambettare negli allenamenti estivi. A settembre, tuttavia, la federazione negò loro il permesso di giocare in un club dilettantistico. Gaucci (un signore) pensò quindi ad utilizzarli ragazzi di fatica nelle sue scuderie: che io sappia, da allora i loro piedi sopraffini non calciano palloni di cuoio ma, casomai oggetti sferici di ben altro spessore ed odore.
Viva la mano invisibile del nazionalismo italico!
La redazione
Aneddoto interessante in attesa della pubblicazione di una Guaucciade, speriamo a sua cura. Comunque quello che lei dice avvalora la nostra tesi: sono i club più piccoli a rimetterci dalla chiusura delle frontiere. Cordiali saluti