L’Enac pubblica un poderoso studio in vista dell’elaborazione di un Piano nazionale aeroporti. Il primo problema è che si prende come base per le previsioni di traffico il 2008, quando ancora le ripercussioni della crisi non si erano fatte sentire. Così come lascia dubbi la classificazione dei diversi aeroporti italiani, dove ritorna l’idea di fare di Malpensa un “hub multivettore”. Ma l’interrogativo principale è sulla scelta di redigere un Piano nazionale. Non sarebbe meglio lasciare che ciascuna Regione decida su quali scali puntare, considerate le risorse a disposizione?

Periodicamente il governo italiano prova a varare un qualche piano aeroporti. Generalmente non ci riesce. Per fortuna, verrebbe da dire. Negli anni scorsi Enac (l’Ente nazionale dell’aviazione civile) ha commissionato uno studio a Nomisma, Kpmg e One Works per arrivare a tracciare un piano aeroporti solidamente basato sulla conoscenza. Lo studio è da poco disponibile sul sito web di Enac.

VECCHI DATI

La prima cosa a sorprendere, leggendo il ponderoso studio, è che i suoi stessi estensori dichiarano come, per “l’attuazione delle strategie indicate dallo studio, si ritiene inadeguato il ricorso a uno strumento di ‘Piano aeroportuale’ a livello nazionale (peraltro non contemplato dal quadro normativo italiano se non come parte integrante di un più generale Piano nazionale dei trasporti)” (p. 418). Il Piano dei trasporti, però, risale al 2001 e avrebbe urgente bisogno di essere aggiornato. Perché non dedicare risorse al suo aggiornamento – che serve – invece che a uno strumento “inadeguato”?
La seconda sorpresa è la debolezza del quadro informativo di base, a dispetto di numerose cartine multi-colorate, grafici e tabelle. In particolare, le previsioni di traffico prendono come base il 2008, anno in cui la grande recessione economica non aveva ancora inciso pesantemente. Per esempio, il traffico di Malpensa era di 19,2 milioni di passeggeri nel 2008 e lo studio ne prevede un aumento fino a 42,4 milioni nel 2030: un tasso di crescita del 5,5 per cento l’anno. In realtà il traffico di Malpensa è cresciuto dello 0,14 per cento l’anno tra 2008 e 2011 e nel periodo gennaio-luglio 2012 è diminuito del 3,6 per cento rispetto alle stesso periodo del 2011. Per arrivare a 42,4 milioni nel 2030 dovrebbe crescere a un tasso del 5,8 per cento annuo. Una prospettiva credibile? Altrettanto ottimistica la previsione per Fiumicino che dovrebbe raggiungere 80 milioni di passeggeri nel 2030, con un tasso di crescita medio annuo del 5,75 per cento. Ma anche lo scalo romano, tra 2008 e 2011, è cresciuto a un tasso del 2,25 per cento in media all’anno e nei primi sette mesi del 2012 ha visto ridotti i passeggeri dell’1,1 per cento. Si tenga conto che lo studio prevede un tasso di crescita medio annuo (2008-2030) del 3,2 per cento per l’insieme di tutti gli aeroporti italiani. Quindi Malpensa e Fiumicino dovrebbero crescere molto di più della media, contrariamente a quanto accaduto negli ultimi anni pre-crisi (salvo che per Malpensa nel 2005 e 2006). Non sarebbe il caso di rivedere le previsioni, prima di costruirci sopra un piano (ammesso che vada costruito)? (1)

LA CLASSIFICAZIONE DEGLI SCALI

Lo studio ha l’ambizione di classificare gli aeroporti italiani sulla base di una serie di criteri “oggettivi”, così da individuare quattordici aeroporti strategici (di cui 3 gates intercontinentali: Malpensa, Fiumicino e Venezia) su cui concentrare risorse (anche pubbliche) per ulteriori investimenti; 10 scali primari (sussidiari, nei rispettivi bacini di traffico, a quelli strategici) e 24 aeroporti complementari dei quali – per non dire che sarebbero da chiudere – si dice che andrebbero tenuti come “riserve di capacità di quote aggiuntive di traffico di uno o più scali strategici dell’area di riferimento” (p. 406).
È interessante che tra gli aeroporti strategici è incluso uno scalo inesistente (Napoli Grazzanise) e uno scalo notoriamente afflitto dal fatto di avere una sola pista, di trovarsi a ridosso degli Appennini (Firenze) e di essere collocato in un bacino di traffico in cui già esiste un aeroporto (con due piste) potenzialmente intercontinentale (Pisa, con oltre 4,5 milioni di passeggeri l’anno e in continua crescita). Tra gli scali primari è collocato Viterbo, che attualmente non esiste come scalo civile, mentre Roma-Ciampino (dove oggi arrivano oltre 4,5 milioni di passeggeri l’anno, prevalentemente con compagnie low cost) è collocato inopinatamente tra le riserve di capacità. È possibile che i criteri di classificazione non siano poi tanto oggettivi e rispondano piuttosto ai desideri di qualcuno o alle decisioni prese da qualcun altro (come traspare leggendo a pagina 299)? E anche qualora si fondino su ambizioni programmatiche siamo proprio sicuri che l’Enac o il ministero siano soggetti sul serio in grado di fare programmi in questo campo? Non è forse vero che la crescita di un aeroporto è determinato 1) dalle scelte di mercato (e quindi di rotte) delle compagnie aeree e 2) da quelle di promozione territoriale e turistica di una regione? Per le prime basti guardare a Milano-Orio al Serio: è cresciuto, dal 2007 al 2011, dell’11,7 per cento l’anno (nonostante la crisi) essendo stato prescelto da Ryanair e anche nei primi sette mesi del 2012 è cresciuto del 7,3 per cento. Per le seconde è sufficiente guardare alle scelte della Puglia, che ha sussidiato le compagnie che avessero scelto di aprire rotte sui principali aeroportiregionali. E come si giustifica la riduzione di Ciampino a riserva di capacità, mentre in altre sezioni dello studio si parla del medesimo storico scalo romano come destinazione dei pregiati voli business? E perché Roma deve perdere quel fenomenale asset costituito dall’avere un aeroporto vicino al centro disponibile per i voli low cost, cioè gli unici che “tirano” veramente? Oppure i passeggeri che viaggiano low cost devono essere per forza trattati come figli di un dio minore? È così che si vuole promuovere l’attrattività turistica del Paese?

Leggi anche:  C'è un rischio a finanziare le infrastrutture col modello Rab

LA QUESTIONE MALPENSA-LINATE

Sulla vexata quaestio dei destini del sistema aeroportuale milanese, lo studio fa sue le ambizioni sbagliate di fare di Malpensa un “hub multivettore”. Vien quasi la nausea a dover ripetere ancora una volta che la trasformazione di un aeroporto in hub è scelta che spetta a una compagnia aerea che intende (per convenienza, ovviamente) “dominarlo”; che il modello “hub and spokes” è in crisi un po’ in tutto il mondo; che il concetto di hub multivettore ha scarsa consistenza; (2) che Alitalia (ormai la seconda compagnia, dopo Ryanair, per numero di passeggeri trasportati in Italia) ha scelto da sempre Fiumicino come suo hub; che in Europa esistono già tre grandi hub (Londra Heathrow; i sistemi Parigi Charles De Gaulle – Amsterdam e Francoforte – Monaco, dominati rispettivamente da British Airways, Air France-Klm e Lufthansa), con due sotto-hub (Madrid, Roma) nel Sud del continente, in presenza di compagnie dotate di capacità di traffico sovrabbondante. Senza menzionare ancora una volta tutti i difetti di Malpensa come aeroporto e come localizzazione. Per fortuna, lo studio commissionato da Enac non tira nuovamente in ballo l’idea di limitare Linate ai soli voli per Roma. Un’idea, viceversa, ripresa da uno “studio” (commissionato dallo Studio Ambrosetti) che ha avuto qualche immeritata eco sulla stampa. (3) Lo studio suggerisce, al contrario, che Linate sia sollevato dalle limitazioni artificiali imposte dal decreto Bersani del 1999, emanato quando alcuni si aspettavano che Alitalia, con un aiutino, potesse avere ancora davanti a sé magnifiche sorti e progressive. Si è visto chi aveva ragione. Sempre lo studio propone che Linate torni a ricoprire il suo ruolo di aeroporto per la clientela business diretta verso qualsiasi città europea e, perché no, verso qualsiasi hub europeo (Fiumicino compreso, naturalmente). È la cosa più sensata che si possa fare.

UN PIANO SERVE DAVVERO?

Detto tutto questo, rimane il quesito: perché fare un Piano (nazionale) aeroporti è tanto importante? Qualcuno direbbe che dalla proliferazione degli aeroporti deriva un grande spreco di risorse. Ma è vero? Quanto spende l’amministrazione centrale dello Stato per gli aeroporti e quanto spendono le Regioni, le province e i comuni? Quanto rispetto ad altre infrastrutture e servizi di trasporto? Quanto per passeggero trasportato? Quale è il rendimento per i territori di ogni passeggero aereo? E come si confronta questo rendimento con quello di altri servizi di trasporto? E se proprio lo Stato centrale non vuole spendere nulla per il trasporto aereo (opzione perfettamente legittima), perché non lasciare alle Regioni sia il compito di finanziare la costruzione e l’ampliamento degli aeroporti (in assenza di risorse sufficienti dei gestori) e la responsabilità politica e finanziaria di sussidiare i contratti di servizio degli aeroporti per il controllo del volo, per la sicurezza, e così via? Le regioni dovrebbero così fare una politica aeroportuale ancorata alle risorse e scegliere su quali scali puntare ai fini della promozione territoriale e quali dovrebbero essere invece chiusi o farcela da soli. In questo momento le regioni non sono esattamente popolari presso l’opinione pubblica per come i politici regionali hanno sperperato il denaro dei contribuenti. Ma siamo sicuri che la politica nazionale sia molto meglio?

Leggi anche:  Zone 30, un dibattito senza dati

(1) Si veda, in questo senso, anche l’articolo di Alfredo Roma su Repubblica del 22 agosto scorso.
(2) L’aeroporto di Londra Heathrow (il più trafficato d’Europa) è l’hub di British Airways, che pure ha solo il 35 per cento del traffico. Gli altri 90 vettori che arrivano a Heathrow hanno quote di traffico che non superano l’8 per cento. A Parigi Charles De Gaulle Air France-Klm ha il 55 per cento del traffico, il secondo vettore più forte ha meno del 3 per cento; i vettori totali sono 116.
(3) Per un commento pienamente condivisibile, rinvio al recente articolo di M. Ponti (www.arcipelagomilano.org), dove si trova scritto: “immaginiamo ora uno scenario estremo, con Linate chiuso. Gli utenti confronterebbero comunque i maggiori tempi di uno scalo a Parigi o Dubai con le tariffe, e le compagnie che offriranno un volo con uno scalo in più faranno certo tariffe competitive, tenendo conto dei maggiori tempi. Quindi comunque sarebbe ancora il mercato e l’offerta di servizi a decidere, non l’intervento pubblico vincolistico. Poi molte destinazioni intercontinentali minori richiederebbero comunque voli non diretti. E l’utenza business non milanese non si sognerebbe di andare a Malpensa … a meno che non si pensi di limitare ‘ope legis’ i voli da tutti gli aeroporti del Nord Italia”. Si veda anche l’articolo di Gianluca Clementi del 14 settembre scorso (http://noisefromamerika.org).

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Per la casa non c'è un euro