Canale 5 diventa il primo canale televisivo nel prime time, mentre la Rai è penalizzata da una strategia di programmazione più preoccupata dei costi che della qualità dei programmi. E avvantaggia le reti private “regalando” spettatori, e contratti pubblicitari più vantaggiosi, ma anche la possibilità di contenere le spese. I ravvicinati cambi e la litigiosità dei vertici aziendali hanno paralizzato decisioni importanti e portato a casi di concorrenza interna al limite dell’autolesionismo.

Il “biennium horribilis della Rai si conclude con il definitivo sorpasso nei dati di ascolto delle reti Mediaset su quelle pubbliche, e con la consacrazione di Canale 5 quale primo canale televisivo nel prime time. Il dato sancisce con la nettezza dei numeri un periodo caratterizzato dal susseguirsi di due consigli di amministrazione e due direttori generali, da una programmazione poco brillante e da polemiche roventi sull’emarginazione o l’allontanamento di alcuni dei volti più noti dell’informazione giornalistica e politica.

Conflitto d’interessi, palinsesti e pubblicità

Da dove nasce questa evoluzione e che ragioni la possono spiegare? Essendo la materia uno dei campi principali nei quali si manifesta il conflitto di interessi di cui il presidente del Consiglio è portatore, le spiegazioni hanno dato spesso luogo a dietrologie: la strategia di autoaffondamento della Rai, si sostiene, è del tutto funzionale agli interessi privati del Cavaliere, proprietario delle reti concorrenti. Questa tesi, per quanto suggestiva, manca tuttavia di precisi riferimenti e di evidenze specifiche attraverso cui la conduzione delle reti pubbliche avrebbe promosso e realizzato l’obiettivo ipotizzato.

E tuttavia, se comprendiamo le dinamiche concorrenziali del settore televisivo, molto era preannunciato sin dall’inizio della gestione del direttore generale Agostino Saccà, nel programma di un riequilibrio del bilancio Rai e di un contenimento dei costi. Intento apparentemente ragionevole, approccio modestamente ragionieristico. Che tuttavia ha un preciso significato e implicazioni forti se teniamo conto della competizione nel segmento, oggi ancora del tutto prevalente in Italia e in Europa, delle grandi reti generaliste finanziate con la pubblicità.

Come si è già argomentato su questo sito, costi e ricavi per le reti generaliste dipendono da un medesimo fattore, la predisposizione di palinsesti attraenti per il pubblico. I ricavi crescono per il maggior valore degli spot pubblicitari che pagano gli inserzionisti di una rete popolare. I costi a loro volta lievitano poiché programmi più attraenti sono solitamente più costosi, vuoi per la loro maggiore complessità tecnica, vuoi soprattutto perché i diritti di trasmissione e i cachet dei personaggi più richiesti aumentano quando lo spettacolo ha successo.

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Questa dinamica si riscontra in tutti i mercati televisivi, e ha caratterizzato anche la crescita dell’assetto duopolistico italiano. Da questa rincorsa tra ricavi e costi deriva infine la tendenza alla concentrazione del settore, pronunciata per la audience e ancor più per la raccolta pubblicitaria, al centro di una indagine conoscitiva che in queste settimane è stata avviata dall’Autorità antitrust.

Quali costi contenere

Cosa significa in questo contesto seguire una strategia di contenimento dei costi? Può richiedere di affrontare due diverse questioni, i costi di gestione e quelli di programmazione.

Dal primo punto di vista non dobbiamo dimenticare le inefficienze che caratterizzano le reti pubbliche, che assorbono un numero di dipendenti doppio rispetto a quelle Mediaset.

Inefficienze tanto più pesanti se guardiamo alla composizione delle professionalità in Rai, dove, con la deverticalizzazione del settore televisivo in atto negli ultimi anni, le uscite hanno riguardato soprattutto i portatori di talenti e competenze spendibili sul mercato privato dei media. Ma non sembra che il problema di sovraoccupazione, la pesante struttura delle sedi regionali, siano stati il principale terreno dove la volontà calmieratrice della direzione generale ha in questi due anni agito. Né il progetto dello spostamento di Rai2 a Milano appare in linea con una razionalizzazione della struttura organizzativa.

Più che una compressione delle sacche di inefficienza sembra essere invece prevalsa una strategia di programmazione preoccupata prima dei costi che della qualità e attrattiva dei programmi. Dalle anticipazioni circolate, i due programmi di maggior successo della programmazione pubblica di quest’anno, la serie del Commissario Montalbano e quella del Medico in Famiglia, non avranno un seguito nella prossima stagione, perché, parrebbe, il loro successo ne ha fatto lievitare i costi.

Una debole strategia

Ma tagliare i costi di programmazione, piuttosto che affrontare una ristrutturazione organizzativa interna certo difficile ma necessaria, significa scegliere una strategia concorrenziale debole e che premia, nei fatti se non nelle intenzioni, le reti private sotto due fronti. La debole programmazione dei canali pubblici, il vero e proprio collasso della Rete 2, hanno consentito il sorpasso delle reti Mediaset, con il significativo premio che il primo canale nel prime time (Canale 5) può lucrare nei nuovi contratti pubblicitari. La strategia prudente nella scelta dei palinsesti e l’attenzione al contenimento dei loro costi, paralizzando un soggetto fondamentale come la Rai nella contesa per i programmi più richiesti, ha consentito anche al concorrente privato di contenere i suoi costi, di imporre agli autori e ai produttori privati che vendono ai canali televisivi un brusco taglio nei costi.

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Troppo instabile e litigiosa la dirigenza

Certo non vogliamo eccedere in dietrologia, tanto più quando parliamo di un mondo complesso come quello della televisione pubblica. E non possiamo non aggiungere un secondo ingrediente fondamentale che ha trasformato le reti Rai in giganti d’argilla, vale a dire l’instabilità negli assetti dirigenziali. Due consigli di amministrazione e due direttori generali, spesso in lite al loro interno e tra loro, non hanno favorito la capacità di programmazione e hanno paralizzato le decisioni importanti ogni volta che un cambio della guardia iniziava a prospettarsi.

È difficile, ad esempio, comprendere se le bizzarre scelte di programmazione di Rai2, che dalla cura del direttore Antonio Marano esce fortemente ridimensionata negli ascolti e senza una chiara identità, siano dettate da imperizia, confusione o sospetto autolesionismo. La Rete 2 è titolare dei diritti di due dei maggiori successi della programmazione dei network americani, le serie Friends e ER, che negli scorsi anni hanno conosciuto un buon successo anche tra i telespettatori italiani. Nell’ultima stagione la serie dei ragazzi newyorkesi passava in seconda serata una volta alla settimana. E quella dei coraggiosi medici del pronto soccorso, inizialmente programmata in prima serata al martedì, è stata a metà stagione anticipata alla serata del lunedì, quando sulla prima rete Rai veniva trasmessa la fortunata serie del Commissario Montalbano.

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