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La chimera del digitale terrestre

Una innovazione importante, che rappresenta il futuro della televisione. Ma rispettare l’obiettivo del 2006 per il passaggio al digitale sembra difficile e in ogni caso gli effetti sulla concorrenza nel settore meno dirompenti di quanto ipotizzato. Perché i consumatori acquisteranno i nuovi apparecchi solo se l’offerta di programmi sarà adeguata, mentre per gli operatori si prospetta un lungo periodo di transizione dai rischi elevati e i ricavi incerti.

La legge Gasparri, in approvazione al Senato, affida un ruolo importante alla diffusione della televisione digitale, con l’idea di allargare il numero di operatori televisivi e ridurre quindi il grado di concentrazione di questo mercato.

Per realizzare in tempi brevi questo obiettivo, prevede un passaggio obbligatorio alla tv digitale nel 2006 (switch over) e ipotizza di sovvenzionare in parte i consumatori per l’acquisto dei set top box (i decodificatori necessari per ricevere il segnale digitale e i servizi interattivi). In questo modo, si vorrebbe favorire l’accesso ai servizi interattivi di quella quota di popolazione che non utilizza Internet.

Un traguardo difficile da raggiungere

Si tratta purtroppo di idee sbagliate e di un traguardo difficilmente realizzabile. Infatti, non è la scarsità delle frequenze la ragione di concentrazione del settore televisivo, che è invece dovuta essenzialmente alle economie di scala nelle spese per i programmi. Né sembrano esserci le condizioni economiche per creare molti nuovi canali televisivi, mentre i servizi interattivi possono appoggiarsi solo ai palinsesti già esistenti e quindi rafforzare ulteriormente la posizione degli operatori già esistenti.

Con pochi servizi aggiuntivi, la domanda dei consumatori per i set top box o i televisori digitali non sarà spumeggiante.

La televisione digitale terrestre costituisce un’innovazione di sistema importante per la filiera televisiva: con la codifica digitale è possibile infatti trasmettere più canali nelle stesse frequenze attribuite al servizio televisivo, aumentando il numero di canali rispetto al segnale analogico oggi utilizzato. Inoltre è possibile attivare nuovi servizi anche interattivi se il televisore è collegato a un canale telefonico di ritorno.

Per fare questo, tuttavia, è necessario utilizzare televisori digitali e decodificatori, con un investimento rilevante da parte del telespettatore. Gli operatori televisivi, a loro volta, devono rinnovare le tecnologie di trasmissione.

Consumatori da conquistare

Pur in presenza di vantaggi e di una qualità migliore del segnale, non è quindi scontato che i telespettatori scelgano di sostituire le proprie apparecchiature di ricezione entro pochi anni. Molto dipenderà dai nuovi programmi che verranno offerti nei canali digitali, la cui disponibilità è legata alle condizioni di concorrenza del settore televisivo. Ad esempio, un ampio bouquet di canali e servizi interattivi sono generalmente disponibili nei sistemi via cavo e via satellite. Per raggiungere una massa critica difficile da ottenere con le sole scelte dei consumatori, in molti Paesi è stato perciò imposto alle stazioni televisive un passaggio obbligatorio al nuovo standard. Ma dopo i vistosi insuccessi del digitale terrestre in Gran Bretagna e in Spagna, i tempi dello switch over sono stati opportunamente spostati in avanti, al 2010-2012, ipotizzando un periodo lungo di transizione.

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In Italia vi sono 38 milioni di televisori, cui vanno aggiunti 20 milioni di videoregistratori. Ogni anno si vendono circa tre milioni di televisori, con un rinnovo naturale del parco che avviene in 12-13 anni. Ad oggi manca ancora un accordo definitivo sulle caratteristiche del set top box che, comunque, non sarà compatibile con quello della televisione digitale satellitare e quindi non fruirà di quelle esternalità. L’ipotesi di vendere in due anni almeno un set top box per famiglia partendo da zero, appare francamente ottimistica. Tanto per fare un confronto, il lettore dvd, uno dei prodotti di maggior successo degli ultimi tempi, ha impiegato sei anni per arrivare nel 2003 a vendite annue di 1,5 milioni di pezzi e a un tasso di penetrazione sulle famiglie del 15 per cento. Per raggiungere almeno una penetrazione totale sulle famiglie (ma non sui televisori) occorreranno 8-9 anni, nell’ipotesi più ottimista.

Transizione lunga, rischi elevati

Nonostante nei convegni pubblici si continui a considerare la data del 2006 come riferimento, gli operatori si stanno preparando a un lungo periodo di transizione. In queste condizioni, i nuovi operatori che volessero produrre palinsesti per la tv digitale affronterebbero rischi elevati e ricavi incerti.

L’ipotesi di vendere canali ai consumatori sul modello pay tv si scontra con l’ampia offerta della televisione via satellite e con l’impossibilità tecnica di offrire bouquet di 30-40 canali. Per contro, vendere canali tematici (con palinsesti cioè da 10-20 milioni di euro) in piccoli bundle (3-4 canali) appare molto difficile e sconta le forti diseconomie di scala nella fase commerciale di gestione delle relazioni con la clientela.

Se un operatore puntasse invece a fare una tv generalista sul digitale terrestre con un palinsesto attrattivo, si sconterebbe col fatto che, per anni, i suoi costi devono essere funzione del mercato complessivo, perché compete con le grandi televisioni generaliste analogiche, mentre i suoi ricavi sono relativi a quella porzione di mercato in grado di ricevere i suoi programmi in digitale. Ad esempio, ipotizzando che un palinsesto da 150 milioni di euro consenta di raggiungere una share di ascolto media del 6 per cento e che questo ascolto si traduca in una quota del 6 per cento degli investimenti pubblicitari in televisione (tutte ipotesi ottimistiche), il nuovo entrante arriverebbe al break even nel 2012, ma in quell’anno avrebbe accumulato perdite per 1,3 miliardi di euro.

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Anche l’ipotesi di coprire con la pubblicità i costi di un piccolo canale tematico appare improbabile. A oggi i quaranta maggiori canali tematici disponibili in Italia raccolgono mediamente 650 mila euro di pubblicità annua ciascuno e, a causa dei bassi ascolti, anche le tariffe unitarie (costi contatto) sono più basse di quelle della tv generalista. Anche presupponendo una capacità di raccolta ampiamente superiore, un operatore che puntasse su questo modello sarebbe in perdita per molti anni.

I servizi interattivi semplici – partecipazione a programmi o televoto tra diversi concorrenti – sono probabilmente l’area di cui è possibile intravedere uno sviluppo significativo, ma devono necessariamente appoggiarsi a palinsesti già finanziati dalla televisione analogica poiché altrimenti hanno attrattività irrilevante o costi insostenibili. Dunque sono realizzabili sostanzialmente dagli operatori già esistenti che cercano in questo modo di appropriarsi di un mercato attualmente in mano ai gestori della telefonia cellulare.

In conclusione, nel lungo periodo la televisione terrestre diventerà digitale, ma il percorso appare poco lineare e gli effetti sulla concorrenza nel mercato televisivo meno dirompenti di quanto sia dato per scontato in molti interventi politici, non solo del Governo.

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  1. federicorocchi

    Che dire… in questo pezzo c’è molta confusione. Si confonde il fatto tecnico, il passaggio alla tecnica di trasmissione digitale, con il fatto commerciale della vendita di pubblicità e più in generale con l’imprenditorialità nella produzione di “televisione”. Il tutto dimenticando uno degli aspetti più innovativi e dirompenti della legge: la separazione fra il gestore della rete (per esempio elettronica industriale) e il gestore dei contenuti (per esempio mediaset). Mi rendo conto che leggere la legge è molto noioso, ma è necessario per capire bene cosa dice.

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