Investimenti diretti esteri e rapporto tra multinazionali e Paesi ospiti sono fra i temi in discussione a Cancun. Un accordo efficace dovrebbe prevedere un aumento della trasparenza delle regole come tetti per gli incentivi. E per le grandi imprese una maggiore tutela, ma anche codici di comportamento. La proposta europea lascia invece ampi margini di discrezionalità. Perché forse il vero obiettivo dei Paesi ricchi è distogliere lattenzione da problemi per loro più spinosi. Uno dei principali fronti di scontro al vertice di Cancun è il negoziato per un accordo multilaterale sugli investimenti diretti esteri (Ide). L’accordo dovrebbe definire un quadro che regoli nell’ambito della Wto il rapporto tra imprese multinazionali e paesi ospiti. Le premesse non sono delle migliori. L’Unione europea spinge molto per avviare un negoziato e il Giappone ne fa il principale obiettivo della sua piattaforma negoziale a Cancun. L’India, come molti altri paesi in via di sviluppo, ha riaffermato, invece, la sua determinazione a non volere un simile negoziato nell’ambito del trade round. Posizioni difficili da conciliare I flussi di Ide sono del tutto asimmetrici, contrariamente al commercio, dove prevale una relativa reciprocità. La maggioranza degli Ide provengono e vanno nei paesi industrializzati (92 e 75 per cento rispettivamente nel 2000). I paesi in via di sviluppo non investono, sono aree di destinazione meno importanti delle nazioni ricche, ma nelle loro economie le multinazionali hanno un ruolo estremamente importante. Anche nei paesi più marginali, gli Ide rappresentano una quota elevata degli investimenti complessivi: un dollaro ogni quattro in Malawi, in Togo, in Uganda. Quattro obiettivi per un buon accordo Un accordo multilaterale, che tenesse conto delle posizioni di entrambe le parti, dovrebbe soddisfare quattro obiettivi. Primo, aumentare la trasparenza sulle regole che governano gli Ide nei paesi di destinazione: Attualmente, esistono più di duemila accordi bilaterali con elementi specifici che rendono complessa e incerta l’acquisizione di informazioni da parte di imprese che devono decidere dove investire. Secondo, garantire le imprese multinazionali da pratiche discriminatorie messe in atto dai governi ospiti a favore di imprese di altri paesi o di imprese nazionali. Terzo, stabilire regole sul comportamento delle imprese multinazionali nei paesi ospiti. Un accordo che includesse questi quattro punti darebbe sia ai paesi in via di sviluppo sia alle multinazionali un quadro istituzionale più certo e maggiori tutele delle migliaia di accordi bilaterali in vigore. Ai paesi in via di sviluppo sono lasciati ampi margini discrezionali nella definizione dei settori da aprire agli Ide e nella possibilità di introdurre regole che favoriscano il loro impatto sullo sviluppo locale. Dunque, viene meno il vantaggio della trasparenza. Inoltre, le multinazionali non sarebbero necessariamente protette da pratiche discriminatorie, certamente non più che dagli accordi bilaterali già in vigore. Insomma, molto rumore per nulla? Forse no, se l’obiettivo vero dei paesi ricchi è sollevare una cortina di fumo: allargare il tavolo negoziale e dunque distogliere l’attenzione da dossier ben più spinosi, come l’agricoltura. Per saperne di più Le proposte europee sono sintetizzate nei siti: http://europa.eu.int/comm/trade/issues/sectoral/investment/1806ti.htm e http://europa.eu.int/comm/trade/issues/sectoral/investment/conswtoag_inv.htm
Da questa asimmetria derivano posizioni negoziali difficili da conciliare. I paesi del Nord chiedono libertà di manovra per le proprie imprese e garanzie che queste vengano tutelate dai soprusi dei governi ospiti. I paesi in via di sviluppo, invece, chiedono gradi di libertà per orientare gli investimenti ai loro obiettivi di sviluppo e la possibilità di definire regole di comportamento che vincolino imprese che, a volte, hanno un fatturato più grande del loro prodotto interno lordo.
Quarto, fissare un tetto alle incentivazioni concesse dai potenziali paesi di destinazione per attrarre Ide e dunque limitare le corse al rialzo degli incentivi, dove i paesi in via di sviluppo si troverebbero particolarmente svantaggiati.
Ma le proposte avanzate dai paesi del Nord a Cancun non contemplano meccanismi di regolamentazione delle imprese, né regole sugli incentivi, ossia i due obiettivi che interessano ai paesi in via di sviluppo. Così, per evitare che questi paesi si sentano imbrigliati in un accordo che va a loro svantaggio, la proposta europea, che riflette anche la posizione degli altri paesi industrializzati, è annacquata e senza mordente.
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