Un eccesso di regolazione impedisce in Italia l’accesso a dati essenziali per svolgere attività di ricerca. A esserne penalizzato è anche il dibattito sulle principali questioni economiche e sociali. Gli ostacoli maggiori arrivano dalle norme che salvaguardano la riservatezza delle persone, partendo dal presupposto sbagliato che il ricercatore abbia interesse a violarle. Ora, una nuova proposta di legge intende garantire una maggiore libertà d’azione.

Nel campo della ricerca scientifica permane un gap fra l’Italia e gli altri paesi industrializzati, in questo caso come in altri, riconducibile a un eccesso di regolazione.

Le regole degli altri

Per rendersene conto, basta la semplice visita del sito www.ipums.umn.edu.. Consente a ogni ricercatore, qualunque sia la sua nazionalità, di avere accesso a dati individuali dettagliati, ma assolutamente anonimi, sulla popolazione negli Stati Uniti così come rilevati dai censimenti effettuati tra il 1850 e il 1990 (il 2000 sarà disponibile tra breve). E al posto delle complesse restrizioni volte a tutelare la privacy e dei relativi complicati formulari cartacei che tipicamente caratterizzano la distribuzione dei pochissimi dati disponibili nel nostro paese, nel sito americano troviamo un semplice invito all’utente a usare le informazioni “for good, never for evil”.

In Svezia, il progetto Linda (Longitudinal Individual Data for Sweden), nato da una collaborazione tra l’Università di Uppsala, il ministero delle Finanze, l’Agenzia per le pensioni e la sicurezza sociale e Statistics Sweden (il corrispondente svedese del nostro Istat), mette a disposizione dei ricercatori dati individuali per una serie rilevante di anni estratti da un campione di dimensioni pari al 3 per cento circa della popolazione svedese e al 20 per cento circa della popolazione immigrata.
I ricercatori hanno così accesso a un insieme particolarmente ricco di informazioni che integra tra loro archivi informativi diversi e in gran parte pubblici: dichiarazioni dei redditi a fini fiscali, rilevazioni dei censimenti della popolazione e delle abitazioni, dichiarazione dei redditi pensionabili, rilevazioni dei trattamenti pensionistici, indagini sulle forze di lavoro, rilevazione dei trattamenti di disoccupazione e non occupazione, indagini sulle carriere scolastiche, sulle assenze dal lavoro per malattia e per motivi familiari, rilevazioni dei redditi da lavoro.
Le domande di accesso ai dati sono valutate in relazione alla validità scientifica delle ricerche proposte, senza limitazioni relative alla tutela della privacy che vadano oltre l’impegno a non diffondere i dati personali senza autorizzazione, a utilizzarli solo per l’attività scientifica e a comunicare i risultati ottenuti.

Perché servono i dati

La ricerca scientifica utilizza in modo crescente insiemi di dati individuali.
Sul piano analitico fenomeni come l’eterogeneità degli agenti, la molteplicità delle interrelazioni fra gli agenti stessi, la natura delle dinamiche che caratterizzano i loro comportamenti sono fra i campi di attività più rilevanti per l’odierna ricerca tanto teorica quanto applicata.
Sul fronte della policy, invece, crescente importanza assumono le politiche mirate a gruppi relativamente ristretti di soggetti. La loro valutazione richiede la comparazione di situazioni individuali affette o meno dalle misure stesse.
Se in Italia fossero disponibili, per qualità e quantità, microdati simili, il dibattito sulle riforme economiche e sociali (dalla scuola, al mercato del lavoro, all’assistenza sanitaria, alle pensioni, all’immigrazione etc.) avrebbe un contenuto assai meno ideologico. Potrebbe invece basarsi su informazioni statistiche affidabili sulla natura dei problemi e sulla dimensione degli effetti delle proposte di riforma in discussione.
Infine, ogni risultato scientifico dovrebbe essere, in linea di principio, replicabile e ciò è possibile solo se l’accesso alle basi di microdati è ragionevolmente libero.

Leggi anche:  La Zes unica parte dal presupposto sbagliato

Purtroppo tutto ciò in Italia oggi non è possibile anche perché i dati raccolti dalle amministrazioni pubbliche e archiviati presso l’Istat, così come presso altri istituti, non sono generalmente disponibili per la ricerca, nemmeno separatamente archivio per archivio.
Non sono disponibili soprattutto per le disposizioni della Legge 31 dicembre 1996, n. 675 sulla “Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali”. Una legge di cui a suo tempo si disse che eccede “sul piano dello zelo e anche del buon senso”.

La logica della Legge 675

La logica della Legge 675/1996 sarà interamente recepita dal 1 gennaio 2004 dal Testo unicoCodice in materia di protezione dati” pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 123 del 29 luglio 2003.Contiene qualche timido passo in avanti, in particolare nella stesura dei Codici deontologici.
È positivo che il Testo unico circoscriva la nozione di dati personali: sono tali solo i dati che consentono l’identificazione attraverso l’utilizzo di “mezzi ragionevoli”. Ma permangono troppe bardature regolatorie che in larga misura finiscono per vanificare i deboli segnali di apertura.

In totale contrasto con la filosofia prevalente in altri paesi, la Legge n. 675/1996 è essenzialmente fondata sul presupposto, tipicamente italiano, secondo cui i ricercatori sono naturalmente portati a usare i dati individuali (anche se anonimi o resi tali) in un modo che contrasta con la tutela della riservatezza delle persone. Così i dati individuali raccolti da qualunque ente pubblico o privato sono resi preventivamente indisponibili per l’attività di ricerca a meno che il ricercatore non accetti di passare attraverso le forche caudine di un insieme di vincoli burocratici tali da rendere i dati stessi di difficilissimo accesso e spesso inutilizzabili a fini statistici. Non è raro, ad esempio, che in omaggio alla Legge 675/1996 si rendano non casuali i campioni, che diventano così inutilizzabili per indagini statistiche che ambiscano a risultati rappresentativi. Né è raro che vengano oscurate informazioni essenziali e particolarmente rilevanti per la discussione di tematiche di grande importanza: valga per tutti il riferimento alle analisi sulle disparità regionali.

Leggi anche:  I rischi della salute brevettata

Il tema della ricerca non chiede di essere affrontato solo in termini di risorse.
Altrettanto importante è che muti l’ambiente nel quale operano i nostri ricercatori per garantire una libertà di azione senza la quale la ricerca non è più tale.
Come avviene nei più avanzati paesi europei e negli Stati Uniti, è necessario consentire un accesso ampio e facile ai dati per la ricerca scientifica, anche in forma integrata tra archivi diversi, punendo però duramente un loro eventuale uso che danneggi i diritti della persona.

Il progetto di legge

A questa trasparente filosofia si ispira il progetto di legge presentato alla Camera.
Parte da una semplice considerazione. Il rispetto della privacy è un valore per il ricercatore e non solo per norma deontologica. Non ha motivo alcuno per metterla a rischio nello svolgimento della propria attività. Sa che la salvaguardia della riservatezza dei dati personali è condizione primaria per continuare a utilizzarli e per acquisirne di nuovi e quindi per operare nel proprio campo. In sintesi, è ragionevole presumere che per chi svolge attività di ricerca scientifica l’identificazione degli individui da cui originano i dati elementari oltre a essere del tutto inutile comporti, per definizione e salvo controprova ex post, mezzi irragionevoli.

L’approvazione di questo progetto di legge consentirebbe un’attività di ricerca scientifica di enorme utilità per il dibattito politico e sociale, oltre a mettere i ricercatori italiani su un piano di parità con i loro colleghi statunitensi ed europei. Costituirebbe inoltre un passo significativo, anche se piccolo, verso una riscrittura dei rapporti fra cittadini e pubblica amministrazione, fino ad ora troppo abituata a presumere che tutti i cittadini mirino a violare la legge. Salvo, poi, condonarne i reati.

Infine, tutelare il diritto di accesso dei nostri ricercatori alle informazioni statistiche riporterebbe il nostro ordinamento in linea con l’indirizzo costituzionale, che favorisce la libera circolazione delle idee e delle informazioni.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  L'andamento lento dei fondi nazionali per la coesione*