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La televisione degli altri

Molti paesi dell’Unione europea hanno costruito per le loro emittenti pubbliche statuti e organismi di garanzia che ne salvaguardano l’indipendenza e l’autonomia dal potere politico. In Italia invece i partiti hanno sin qui lasciato la Rai in condizioni di perdurante debolezza strutturale. Una dipendenza dalla politica che ora si accentua con la legge Gasparri. Per nomine e gestione prevede un meccanismo pesante che sacrifica ancor più la natura aziendale della Rai. Mentre un canone troppo basso non la garantisce dalla deriva commerciale.

Si parla molto in questi giorni di Rai, della sua troppo debole autonomia rispetto ai partiti politici e al Governo, e se ne parlerà ancora a lungo.
Si parla poco invece delle ragioni strutturali di tale deprecata dipendenza e di quanto si è fatto in altri paesi europei col preciso scopo di salvaguardare l’autonomia delle emittenti pubbliche radiotelevisive o soltanto televisive.

Le salvaguardie in Europa

Esistono in Italia le salvaguardie costruite nei paesi della Ue per le emittenti pubbliche (presenti in forze ovunque)? Decisamente no.
Per salvaguardie intendo statuti e/o organismi sovraordinati di garanzia, e canoni di abbonamento tali da contenere il condizionamento commerciale della pubblicità.
In Italia numerosi documenti “storici” hanno in passato definito più volte forme e contenuti del pubblico servizio radiotelevisivo. Fin troppi forse, ma nessuno ha la solennità, per esempio, della Royal Charter britannica.

Esiste da noi, fra Rai e ministero delle Comunicazioni, il contratto di servizio, simile al Cahier des charges della emittenza pubblica francese, che, periodicamente rinnovato, fissa i compiti che l’azienda pubblica dovrà svolgere in osservanza del suo ruolo e del canone di abbonamento (in realtà una imposta sul possesso del televisore, valido per tutti gli apparecchi utilizzati, mentre il canone autoradio è stato soppresso dal governo Prodi a fine 1998).
In Germania c’è un Trattato interstatale assai complesso anche perché Ard è il grande network federale dei Laender.

L’anomalia di fondo italiana è tuttavia rappresentata, oltre che dal duopolio e dal conflitto di interessi – soprattutto televisivo e pubblicitario – non risolto dell’attuale presidente del Consiglio, dall’assenza di un organismo paragonabile alla Fondazione Bbc, modello recepito da altre Tv (per esempio da quella scandinava), o al Conseil Supérieur de l’Audiovisuel (Csa) francese e franco-belga.
Nel primo caso l’intera proprietà di Bbc è rimessa alla Fondazione, retta da dodici governor nominati dalla regina su proposta del Governo (tutte personalità di grande prestigio e autonomia). Essi, in carica per cinque anni ma con scadenze diverse, nominano il consiglio di amministrazione e il direttore generale dotati di ampia autonomia. Come è stato largamente dimostrato negli anni della signora Thatcher e durante il governo Blair, con la punta della campagna contro l’intervento in Iraq, dove è stata certamente discutibile la gestione del caso Kelly, ma si è confermata l’autonomia di Bbc dall’esecutivo.
Il Csa francese, creato nel 1989 dopo la privatizzazione di France 1, è composto da nove membri nominati per sei anni dalle massime cariche istituzionali (tre ciascuno dai presidenti della Repubblica, del Senato e della Camera), governa l’intero sistema televisivo designando a sua volta il presidente-direttore generale di Télévision de France e quattro dei dodici componenti del cda (gli altri sono nominati: quattro dallo Stato, uno dal Senato, uno dalla Camera e due dallo stesso personale della Tv pubblica).
In tutti gli altri paesi, a tutela delle aziende pubbliche e dei loro utenti, esistono autorità con ampia delega di poteri fiduciari da parte del Parlamento.

Il sistema tedesco, centrato su due grandi emittenti come Zdf e Ard, è assai complesso e tuttavia garantisce una tale autonomia di guida che il direttore generale della prima, Dieter Stolte, è durato vent’anni, cioè fino al pensionamento.

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I padroni della Rai

In Italia la Rai è soggetta al controllo di una Autorità per le comunicazioni che, anche per essere stata eletta dal Parlamento, si è mostrata debole e spesso in ritardo, dell’Antitrust, del Garante della privacy, della Corte dei conti, ma soprattutto della Commissione bicamerale di indirizzo e di vigilanza. Tanti “padroni” e però poca autonomia rispetto a partiti e governi.
Tant’è che dal 1993 al 2003 si sono succeduti ben sei consigli di amministrazione, sette presidenti e una decina di direttori generali. Col conseguente “tourbillon” di direttori di rete, di testata, eccetera. Dal 2002 a oggi si sono avvicendati un cda, un presidente e direttore generale all’anno. Un solo cda, quello presieduto da Roberto Zaccaria, è durato per l’intero mandato biennale, anzi per due mandati pieni (dal 1998 al 2002).
La soluzione scelta, provvisoriamente, nel 1993 di far designare i cinque membri del cda (dai quali scaturiva il presidente) ai presidenti delle Camere tendeva a un sistema di tipo francese. Dal quale si è invece regrediti.

Fino al 2000 le azioni Rai erano al 99,55 per cento dell’Iri (il restante 0,45 della Siae). Dopo il suo autoscioglimento, la proprietà è passata a Rai Holding che in pratica è del Tesoro. Dunque la Rai è del Tesoro, cioè del Governo.
Legame diretto che la legge Gasparri nei fatti rafforza poiché prevede che, una volta fuse Rai e Rai Holding, il cda passi a nove componenti, di cui due (fra i quali c’è il presidente) nominati dal Tesoro stesso e sette dalla Commissione di vigilanza la quale dovrà convalidare, a maggioranza qualificata, anche la designazione del presidente. Un meccanismo pesante che sacrifica ancor più la natura aziendale della Rai, vincolandola a inevitabili patteggiamenti politico-parlamentari.

Il canone è una garanzia

In tutta Europa c’è poi la garanzia del canone. Garanzia rispetto a una accentuata deriva commerciale. Discorso che merita un suo spazio: qui basterà dire che il canone italiano, inferiore ai 100 euro, è il più basso (oltre che il più evaso) della Ue, inferiore di 52 euro al canone irlandese, pari alla metà circa del canone britannico o tedesco, e a un terzo del canone svizzero o danese. Tant’è che la Rai deve ricorrere per il 50 per cento al mercato pubblicitario contro il 20 per cento circa delle grandi emittenti, di quelle tedesche per esempio.
In conclusione, i partiti hanno sin qui lasciato la Rai in condizioni di perdurante debolezza strutturale senza creare garanzie superiori paragonabili a quelle riscontrabili invece nella Ue. Una dipendenza dalla politica che ora si accentua.

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* I dati sono riferiti nella quasi totalità al 2004. In Slovenia il canone era pari a 200.000 lire, cioè a 103,30 euro, nel 2001.

Per saperne di più

“Il mercato televisivo italiano nel contesto europeo”, a cura di Antonio Perrucci e Giuseppe Richeri, Il Mulino 2003.
Roberto Zaccaria, “Diritto dell’informazione e della comunicazione”, Cedam.
Gianna Cappello, “Il concetto di servizio pubblico radiotelevisivo”, Rai-Eri, 2001.
“Carta dei doveri e degli obblighi degli operatori del servizio pubblico radiotelevisivo”, Rai-Eri, 1999.
Roberto Zaccaria,”Televisione: dal monopolio al monopolio”, Baldini Castoldi Dalai, 2003.
Vittorio Emiliani,”Affondate la Rai, Viale Mazzini prima e dopo Berlusconi”, Garzanti 2002.

 

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20 maggio 2004

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  1. Giancarlo Parenti

    Autorità per le comunicazioni, Antitrust, Garante della privacy, Corte dei conti, Commissione bicamerale di indirizzo e di vigilanza.
    Tutte hanno qualche potere di controllo sulla RAI.
    Quale di queste istituzioni ha il compito di garantire che il giudizio del cittadino, che è obbligato per legge a pagare un servizio tramite il canone, abbia la possibilità di essere espresso e conosciuto?
    E’ ragionevole che il cittadino debba sottoscrivere un contratto quinquennale (la durata di una legislatura) per potersi esprimere circa la qualità e la completezza dell’informazione trasmessa tramite i telegiornali e circa una ragionevole possibilità di scelta su programmi che anche ‘faziosamente’ diano spazio alla voce delle opposizioni?
    Non sarebbe opportuno obbligare la RAI, sempre in virtù del canone, a raccogliere e pubblicare le osservazioni, le critiche, le richieste e le risposte a questionari?
    Non mi si dica che posso sempre cambiare canale se non soddisfatto. Ciò vale per canali liberi per i quali non pago il canone, qui si tratterebbe di dare via il televisore.

    • La redazione

      In effetti durante il CdA di cui ho fatto parte è stata curata la
      pubblicazione – ad uso però interno – delle telefonate di protesta e anche di proposta ricevute. Infatti esse si dividono quasi esattamente a metà.
      Dato interessante perché si telefona alla Rai o si scrive ai giornali soprattutto quando si dissente e più raramente quando si consente. Al “Messaggero” – ad imitazione (lo confessai esplicitamente) di quanto faceva El Pais” – istituii la figura e la funzione del Difensore dei lettori affidando l’incarico (che svolse con grande scrupolo)all’ex presidente della Corte Costituzionale, Giuseppe Branca dandogli ogni due settimane più di mezza pagina per questa rubrica. Che non tutti i redattori digerirono. Qualche mese dopo la mia sostanziale estromissione dalla direzione del giornale, Branca si dimise e la figura sparì. L’ha istituita “Repubblica” in
      forma di Garante, però non con quella pubblicità. In Rai esiste un organismo – la Consulta Qualità – presieduto da Jader Jacobelli e formato da esperti del ramo, che stila settimanalmente o bisettimanalmente alcune pagine di pareri, sovente critici, sulle trasmissioni riservati al CdA e al
      direttore generale. Non so quanto sia oggi operativo. In alcuni Paesi – per es. in Olanda – il CdA della Tv pubblica prevede una rappresentanza degli
      utenti. Cordiali saluti
      Vittorio Emiliani

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