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Le imposte di Tremonti

Il suo progetto di riforma fiscale è rimasto incompiuto non solo perché costosissimo, ma anche perché sono emersi gli importanti effetti redistributivi impliciti nel passaggio a un’imposta sui redditi a due aliquote, 23 e 33 per cento. I tagli alle tasse legati alla Tremonti bis e al primo modulo di riforma Irpef non si sono autofinanziati perché non si sono trasformati in un sostegno alla domanda. Resta, però, la riduzione permanente del gettito. Mentre le conseguenze di scudo e condono fiscale sull’attività di accertamento sono state e saranno molto gravi.

La riforma fiscale, annunciata in campagna elettorale, per la quale aveva presentato un disegno di legge delega già nel dicembre del 2001: questa doveva essere l’eredità di Giulio Tremonti alla fine del suo mandato. Le sue dimissioni lasciano invece il “progetto” incompiuto.

La riforma annunciata

Due elementi hanno impedito a Tremonti di procedere nella sua riforma. In primo luogo, si trattava di una riforma costosissima: l’abolizione dell’Irap, 30 miliardi di euro, la riforma dell’Irpef, altri 20 miliardi di euro.

Ma non sono solo i vincoli di bilancio che hanno costretto Tremonti a procedere a piccoli passi: un primo modulo di riforma dell’Irpef, la riforma della tassazione dei redditi delle società.

L’altra importante ragione è che la legge delega, approvata, pur senza particolari modifiche rispetto al testo originale, dal Parlamento ben sedici mesi dopo la sua presentazione (aprile 2003), con la sola eccezione della parte relativa alla tassazione del reddito di impresa, non è una vera legge delega. È un manifesto di intenti, poco più o poco meno di una piattaforma elettorale.

Quando si è trattato di tradurlo in una riforma vera, i nodi sono venuti al pettine. Solo allora gli alleati di governo, che pure l’avevano votata compatti, si sono resi conto degli effetti redistributivi fortemente negativi del passaggio a un’imposta sui redditi a due aliquote, 23 e 33 per cento. Effetti che erano stati ampiamente segnalati dalla letteratura sull’argomento, ma che non erano emersi con chiarezza nell’attuazione del primo modulo, costoso sì, ma abbastanza neutrale sul piano distributivo. La maggioranza ha cominciato ad andare in ordine sparso, quando ha realizzato che la menzione di una generica volontà di tener conto della famiglia non significa niente: occorre decidere se l’unità di riferimento deve o meno rimanere l’individuo, e, soprattutto, occorre affrontare il problema dell’incapienza fiscale. Alzare le deduzioni o le detrazioni per carichi di famiglia, non dà alcun beneficio (o lo dà solo in misura ridotta) agli individui poveri che non hanno sufficiente imponibile o imposte contro cui farle valere.

Allo stesso modo, si sono scontrati con l’insostenibilità della promessa di abolire l’Irap, senza procedere alla ben che minima indicazione di un prelievo che possa sostituirla nel finanziamento delle Regioni (e quindi della sanità). Questi ostacoli, oltre a quello della perdita di gettito, che qualcuno ritiene ancora aggirabile, hanno impedito a Tremonti di realizzare la sua riforma. E non lo renderanno facile neppure al suo attuale successore, Silvio Berlusconi.

Il taglio delle tasse che si autofinanzia

Fra i provvedimenti più significativi che Tremonti ha comunque realizzato nel triennio in cui è stato ministro, merita di essere ricordato il reiterato ricorso alla strategia del taglio delle tasse, finanziato temporaneamente con entrate straordinarie, con l’obiettivo di attivare un circolo virtuoso, taglio delle tasse- sviluppo economico-aumento delle tasse indotto dalla crescita, che nella sua filosofia avrebbero dovuto permettere al taglio stesso di autofinanziarsi.

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Lo ha fatto da subito, con la manovra dei cento giorni, il cui cardine, la “Tremonti bis“, era stato il cavallo di battaglia della sua campagna elettorale presso gli industriali e i commercianti. Si è trattato di un’agevolazione non selettiva, indifferentemente concessa a qualsiasi tipo di investimenti, nuovi o di rimpiazzo, di tutti gli operatori economici (compresi i lavoratori autonomi, le banche e le assicurazioni), comunque finanziati, e quindi anche con debito, alla condizione che risultassero superiori, nell’esercizio considerato, alla media degli investimenti realizzati nei precedenti cinque periodi di imposta.

Lo ha fatto poi con l’introduzione del cosiddetto primo modulo della riforma dell’Irpef: rimodulazione delle aliquote e introduzione di una deduzione di base, denominata no tax area, in sostituzione della preesistente detrazione per lavoro dipendente e autonomo. Doveva essere la parte della riforma dell’Irpef maggiormente concentrata sui redditi medio bassi, a più alta propensione al consumo, ed essere quindi, a un tempo, redistributiva e di stimolo ai consumi.

In entrambi i casi, l’atteso sostegno alla domanda non è venuto, anche a causa della congiuntura economica sfavorevole. Non sono però pochi i contribuenti per i quali la Tremonti bis si è tradotta in un contributo a fondo perduto per sostituire l’auto o l’arredamento dell’ufficio. E non sono state le famiglie più povere (e a più alta propensione al consumo) a beneficiare maggiormente dello sgravio Irpef: secondo le stime del Capp (Cfr. Baldini e Bosi), il 63 per cento di tale sgravio è andato alle famiglie comprese nei decili dal sesto al decimo. Le famiglie più povere, quelle del primo decile, non ne hanno goduto in misura rilevante, in larga parte perché incapienti.

Mentre la Tremonti bis ha tagliato le imposte solo temporaneamente, il primo modulo dell’Irpef ha comportato un taglio permanente di imposte: 5,5, miliardi che mancheranno ogni anno alle casse dello stato. Un taglio che richiede una copertura anch’essa permanente (riduzione di spese? aumento di tasse?) che non è ancora stata trovata. Questo problema viene tranquillamente ignorato nel dibattito attuale in cui viene menzionato, esclusivamente, il problema della copertura di eventuali ulteriori tagli fiscali.

Le entrate straordinarie: scudo fiscale e condoni

La copertura dei tagli fiscali è stata ottenuta, inizialmente, con entrate straordinarie. Quelle a cui ha fatto ricorso Tremonti hanno avuto caratteristiche particolari, su alcune delle quali è bene soffermarsi.
Nel settembre 2001, al duplice scopo di stimolare lo sviluppo economico e di acquisire gettito per finanziare la Tremonti bis, veniva sperimentata la prima edizione dello scudo fiscale, un provvedimento finalizzato a incentivare il rientro o, comunque, l’emersione di capitali illecitamente esportati all’estero, coadiuvato dalle nuove norme sul falso in bilancio.
Pagando una piccola tassa, il contribuente si precostituiva una franchigia (lo scudo, appunto) di ammontare pari all’importo dei capitali emersi o rientrati da opporre all’amministrazione finanziaria in caso di eventuali futuri accertamenti fiscali e previdenziali relativi a periodi precedenti. Larga parte dei capitali che hanno beneficiato dello scudo non sono rimpatriati, se non temporaneamente (vedi Cottarelli), e non hanno quindi contribuito a finanziare lo sviluppo. Molti invece sembrano essere stati i casi di frode: promotori finanziari che si sono prestati al riciclaggio di proventi derivanti dall’evasione fiscale e da altre attività illecite, realizzato proprio grazie al meccanismo dello scudo fiscale. Questo rischio era stato paventato da molti esperti al momento dell’ emanazione della legge, ma ignorato dalle autorità.
L’anno dopo, il finanziamento è arrivato da uno strumento vecchio, a cui anche governi passati hanno fatto ricorso: il condono. Non si è trattato però né di un solo condono, né di un condono qualsiasi. In questo campo infatti il ministro Tremonti ha superato di gran lunga la fantasia dei suoi predecessori. Non solo per la varietà di condoni previsti (cfr Giannini), non solo nel lasciare che venissero di fatto annunciati ancora prima della chiusura dei termini per la dichiarazione a cui si riferivano, ma anche introducendo un’importante innovazione mutuata dai provvedimenti per il rientro dei capitali: la possibilità di fare il condono mantenendo l’anonimato.
Le conseguenze di questi provvedimenti sull’attività di accertamento sono state e saranno molto gravi. Quelle del passato sono state svendute a basso prezzo (come nel caso del provvedimento di “rottamazione” dei ruoli che ha concesso la possibilità di estinguere le pretese del fisco pagando soltanto il 25 per cento delle somme complessivamente dovute). L’attività corrente di accertamento è stata inibita dal continuo spostamento dei termini per l’adesione alle diverse sanatorie. Negli anni a venire, infine, l’amministrazione si troverà per molto tempo nella situazione di condurre accertamenti al buio, per poi scoprire che il soggetto su cui sta indagando non è perseguibile perché si è avvalso di sanatorie anonime (scudo fiscale, condono tombale), o può comunque beneficiare delle diverse franchigie concesse nei confronti degli accertamenti futuri. Proprio lo strumento della franchigia si è infine tradotto in legittimazione, ex ante, all’evasione, nel caso del concordato “preventivo” varato con la Finanziaria per il 2004: il contribuente che aderisce al concordato potrà poi dichiarare un reddito inferiore al vero avendo la garanzia che non sarà sottoposto ad accertamento fintantoché il reddito occultato non supera di oltre il 50 per cento quello dichiarato (vedi Guerra).
In questi anni, in definitiva, l’attività di accertamento dell’amministrazione sembra confinata a svolgere un avvilente ruolo di strumento di ricatto, sollecitata come è a inasprire i controlli sui soggetti che non hanno aderito a questo o quel condono, magari perché onesti. In compenso, i contribuenti disonesti si trovano a godere di benefici inattesi: se avevano contabilizzato fatture false, facendo emergere falsi crediti Iva, aderendo al condono vedranno tali crediti trasformarsi in crediti veri, che il fisco pagherà. Lo svilimento del ruolo dell’amministrazione finanziaria, il condono che legittima un atto illecito, il condono che delegittima le imposte quale strumento democratico di finanziamento della cosa pubblica: questa è l’eredità, certamente più pesante di quella dei conti in disordine, che Tremonti lascia ai suoi successori e al paese.

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Nati il 4 di Luglio

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  1. Riccardo Mariani

    Avendo in mente la “rivoluzione liberale” che alcuni nostri politici promettevano tento di vedere il bicchiere mezzo pieno sulla base delle informazioni che fornisce l’ articolo. La Tremonti-bis è un taglio temporaneo delle imposte ? meglio che niente, nella vita c’ è di peggio. La riforma fiscale è costosissima ? Forse perchè è una riforma seria e le tasse le taglia veramente. Esistono problemi di copertura ? E’ l’ occasione per riequilibrare i conti tagliando la spesa pubblica, welfare compreso, del nostro paese (chissà che non sia l’ obiettivo esoterico di alcuni dei nostri governanti). La riforma ha forti conseguenze redistributive ? Finalmente un attacco alla progressività che punisce i cittadini più produttivi (in realtà la progressività è reintrodotta e oltretutto in maniera discriminatoria sulla base degli oneri deducibili). Le politiche familiari sono vaghe ? Vuol dire che eviteremo tasse occulte sul celibato e non pagheremo per i figli degli altri. I benefici della riforma non si estendono agli incapienti ? La povertà meglio combatterla con trasferimenti diretti (rus) e con politiche decentrate affinchè sia più facile accertare direttamente le condizioni effettive di indigenza e sperimentare soluzione differenziate sul territorio (il federalismo fiscale serve anche e sopratutto a questo).I condoni promuovono la cultura dell’ illegalità ? Se questi sentimenti sono rivolti verso leggi sbagliate il male può non essere così grave, certo bisogna poter pensare il concetto di legge sbagliata. D’altronde sono sopratutto l’ inflazione legislativa e l’ incertezza del diritto (ogni maggioranza fa le sue leggi) che svalutano i provvedimenti legislativi. Perchè il danno sia reale sarebbe necessario considerare legittime le imposte oggi in vigore (o la limitazione alla circolazione di capitali in vigore negli anni settanta), ho paura (e forse spero) che un elettore medio di Forza Italia non sia disposto a tanto. Oltretutto se l’ intenzione fosse di ridimensionare in maniera consistente il ruolo dello stato nelle nostre vite, allora un certo discredito gettato sulla macchina fiscale, nonostante i rischi che ciò comporta, potrebbe essere un’ arma strategica da prendere in considerazione.

    E’ chiaro che in queste considerazioni è implicita una visione sociale ben caratterizzata e un certo obiettivo da perseguire che non è solo la quadratura dei conti. E’ implicito, per esempio, il fatto che non c’ è niente di dannoso quanto un un tecnico efficientissimo sì ma nel remare dalla parte opposta. In fondo una delle poche cose che ai miei occhi salva Tremonti è il fatto che abbia subito anche molte delle critiche che spero sempre di sentire rivolte verso il ministro dell’ economia.
    Cordiali saluti.

    • La redazione

      Caro lettore,
      lei non contesta i fatti che io illustro, ma si limita a valutarli in modo diametralmento opposto al mio. Ben venga. Apprezzo la coerenza con cui mette in evidenza il collegamento fra taglio delle imposte, taglio delle spese di welfare e riduzione del ruolo dello stato. Apprezzerei una tale coerenza anche da parte dei politici (e dei tecnici) che molto spesso ci raccontono invece che si possono tagliare le tasse senza toccare sanità, istruzione, e altre spese di welfare. Dopo di che ai cittadini esprimersi.
      Sono poi d’accordo con lei (in realtà era proprio quello che volevo si capisse dal mio articolo) che i tagli fiscali non vanno a favore dei più poveri e che per fare politiche di contrasto alla povertà occorrono invece dei trasferimenti diretti (come, forse, il rsu, che è però rimasto, sino ad ora sulla carta (vedi articolo su lavoce.info di Toso e Guerra del 6 maggio 2004), altro esempio di legge disattesa).
      Non riesco invece bene a inquadrare come un liberale (mi sembra di capire che lei si professa tale) possa guardare con favore alla cultura dell’illegalità (per quanto contro leggi che, soggettivamente, giudica ingiuste). Questo mi sembra proprio una grossa contraddizione.

      Maria Cecilia Guerra

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