Il Governo Berlusconi era partito come governo liberalizzatore, volto ad alleggerire la presenza pubblica nelleconomia e a lasciare spazio agli investimenti privati. Ma lunica vera privatizzazione del triennio è la vendita dellEti, il monopolio tabacchi. Per il resto, solo cessioni di quote marginali o privatizzazioni allitaliana, ovvero con una presenza pubblica dominante in imprese nominalmente privatizzate da diversi anni. Una contraddizione ha paralizzato lazione di Tremonti: liberalizzare il sistema industriale, ma anche mantenerne il controllo. Possiamo fare il bilancio delle politiche industriali, privatizzazioni eccetera del “regno” di Giulio Tremonti? Per certi versi, ovviamente no perché il responsabile delle politiche industriali non è il ministro dell’Economia. Per altro, il ministro dell’Economia è colui che gestisce le partecipazioni in imprese ancora sotto il controllo pubblico e “ha il pallino in mano” per una serie di questioni di fondamentale importanza. Il sistema finanziario Sulla ristrutturazione del sistema finanziario, Tremonti ha perduto. Purtroppo. E mi riferisco non tanto alla riforma della protezione del risparmio, per la quale la partita è complessa, ma soprattutto al ruolo delle fondazioni bancarie, che restano al cuore del sistema finanziario italiano, soggetti né propriamente pubblici né veramente privati, residui delle peggiori abitudini della prima repubblica. (vedi Moise) Quanta voglia di Iri
Sulle imprese pubbliche e le privatizzazioni, non è facile dire se Tremonti abbia perso o abbia vinto: se solo se ne conoscesse il vero obiettivo
Capire quale fosse il fine di Tremonti sulla base del suo operare non è facile. Ingerenza e rilancio dell’impresa pubblica o orientamento genuino al privato? A parte questo, abbiamo visto solo cessioni di quote marginali (il 6,6 per cento di Enel un modo come altri di far cassa) o privatizzazioni “all’italiana”, ovvero azioni passate in mano alla Cassa depositi e prestiti, controllata a sua volta dalle fondazioni bancarie. E così resta purtroppo dominante la presenza pubblica in imprese che la propaganda da diversi anni vuole “privatizzate” (Eni, Enel) anche se i loro consigli di amministrazione sono di nomina pubblica. Alitalia Questa ex-impresa merita un capitolo a parte. Su questo, a quanto trapela, Tremonti ha perduto una battaglia. E ci dispiace. Alitalia è un’impresa tecnicamente fallita, e da tempo. (vedi Ponti 26-02-2004) I patetici tentativi di coprire la situazione con piani industriali che sono sempre quelli e sempre più improbabili e con interventi finanziari sempre più lontani dal cuore della questione sono stati approvati nonostante i richiami di Tremonti. Che forse a riguardo può essere accusato di essere stato troppo flessibile, ai limiti della complicità. Avere accettato l’idea del prestito ponte è stato un errore: un ponte ha senso quando sappiamo dove conduce. E un’impresa che perde un milione di euro al giorno non va da nessuna parte. Questo Tremonti lo sa bene: forse sa già che la Commissione boccerà il prestito? Credo comunque che avrebbe dovuto fare e dire di più, ma almeno i veri “cattivi” di questa vicenda senza speranza sono stati altri. Un bilancio? Tremonti non ha fatto peggio di altri, ma merita rispetto. Certo, non abbiamo visto nessuna delle rivoluzioni annunciate. E il problema è proprio che a riguardo è mancata una strategia, e abbiamo anzi avuto troppo immobilismo.
Il Governo Berlusconi era partito come governo liberalizzatore, volto ad alleggerire la presenza pubblica nell’economia e a lasciare spazio agli investimenti privati. (Anche) su questo è difficile mascherare la delusione (acuita da quanto non ha fatto il ministero dell’Industria sulla liberalizzazione delle professioni sull’avvio della Borsa elettrica). Tanti sarebbero i temi, ad esempio la mancata liberalizzazione dei servizi pubblici locali, sulla quale Tremonti sembra avere aderito al partito trasversale degli amministratori locali, molto propensi a difendere le posizioni acquisite, oppure la vicenda delle Autostrade (vedi Ponti 20-01-2004). Ma procediamo con ordine.
Anche se curiosamente proprio le fondazioni sono state protagoniste di una importante operazione, ovvero il passaggio di proprietà del 30 per cento della Cassa depositi e prestiti dal Tesoro alle stesse fondazioni. Una della operazioni pomposamente contrabbandate come privatizzazioni, quasi le fondazioni fossero rappresentanti del rampante capitalismo nazionale
Da un lato, non risulta bisogna darne atto nessuna pesante ingerenza del ministro nell’operato delle grandi imprese rimaste in mano pubblica. Ci piacerebbe poter dire la stessa cosa dei suoi colleghi e alleati, ma questa è un’altra storia.
Tuttavia, anche la non-ingerenza può dar luogo a paradossi. Si pensi al settore energetico, che ora è nell’occhio del ciclone grazie alla offensiva congiunta di Autorità antitrust e Autorità per l’energia. Si accusano Eni ed Enel di tenere prezzi troppo alti ai danni dei consumatori e della competitività del settore privato. Di chi sono Eni ed Enel? I loro amministratori sono nominati dal governo. Non ho certo nostalgie delle ingerenze governative nelle imprese, ma il fatto che siano proprio aziende in mano pubblica a creare (pare) tutti questi problemi all’intero paese, dato il loro orientamento al profitto, sembra un po’ ridicolo.
A fianco di questo, purtroppo si deve invece ricordare la pesante ingerenza nell’attività delle Autorità, la cui indipendenza dà parecchio fastidio. Ma in realtà anche col precedente governo, al momento di fissare le tariffe elettriche gli interessi del proprietario di Enel (il Tesoro) avevano finito per farsi sentire in modo pesante.
Dopo aver detto della gestione delle imprese, passiamo alle privatizzazioni. Quali, diranno i lettori? Bella domanda.
L’unica vera privatizzazione del triennio è la vendita dell’Eti, il monopolio tabacchi; non era proprio una partecipazione strategica, ma almeno su questo il ministero ha operato bene, anche oltre le aspettative, cedendo interamente le sigarette di Stato, per una cifra del tutto ragguardevole (2,3 miliardi di euro), anche se con qualche preoccupazione per la concorrenza in quel mercato sul quale per altro l’Autorità antitrust si è limitata a chiedere alcune correzioni tutto sommato marginali.
Quindi, il controllo pubblico sull’industria resta praticamente invariato rispetto a quello che era all’inizio della legislatura, nonostante un governo sedicente pro-mercato e privatizzatore. Colpa di Tremonti? Da un lato il pessimo periodo del mercato azionario ha costituito talvolta una scusa, ma anche una discreta ragione per rallentare le vendite. Dall’altro, non ricordo di avere sentito molte voci né a destra, né a sinistra favorevoli alla cessione del controllo pubblico delle grandi imprese energetiche. Il consenso politico su questo non sembra proprio esserci, a prescindere dall’identità del ministro di turno. E serpeggia tanta voglia di tornare all’Iri
Tremonti ha oscillato tra Colbert (il padre delle imprese pubbliche francesi) e Margaret Thatcher (la madre delle privatizzazioni inglesi) che è come dire tra il diavolo e l’acqua santa.
Questa contraddizione (vorrei liberalizzare il sistema industriale, ma anche mantenerne il controllo
) ha condannato il governo all’immobilismo per quanto riguarda le quote di proprietà (per non perdere il controllo), ma anche a un curioso non intervento (per non interferire con il processo di mercato). Con il paradosso che abbiamo imprese che restano in mano pubblica, ma si comportano come se fossero private. E allora, ci si chiede, a che serve la proprietà pubblica?
Rimpiangeremo Tremonti? Diciamo che, se è vero che ha vinto il partito delle poltrone nelle imprese pubbliche e degli infiniti buchi di bilancio, il bello viene adesso.
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Sergio Marotta
Vorrei ripondere alla domanda retorica finale in questo modo: la proprietà è pubblica quando i soldi investiti nell’attività industriale sono soldi dell’erario pubblico.
Del resto il contrario della privatizzazione è la nazionalizzazione come ben sanno i proprietari delle industrie elettriche private pagati con soldi pubblici ‘solo’ quarant’anni fa all’epoca della nazioanlizzazione dell’industria elettrica.
La redazione
Caro lettore,
sono d’accordo con lei. Il punto è a cosa serva la proprietà pubblica, se poi le imprese nelle quali lo Stato investe denaro si comportano esattamente come se fossero del tutto private. Credo sia legittima sia la posizione di chi preferisce la privatizzazione di (quasi) tutto, sia di chi è invece molto più cauto; in realtà a riguardo nè la teoria nè le esperienze internazionali ci dicono che una forma proprietaria è
preferibile all’altra. Ma avere proprietà pubblica ha senso se “fa differenza” dal punto di vista industriale. Se no, quella di investire in quote di imprese resta una scelta puramente finanziaria e come tale – per uno Stato indebitato quale quello italiano – mi pare poco sensata.
Cordiali saluti
Carlo Scarpa
Silvestro Gambi
Tremonti è stato in bilico fra la concezione dello Stato della Thatcher e di Colbert? Ma mi faccia il piacere! Si è felicemente adeguato alle necessità di potere del sistema dei partiti. Esattamente come i suoi colleghi di maggioranza o di opposizione. C’est plus facile. Silvestro Gambi
Qualunquista io ? E la vostra spiegazione allora?
La redazione
Caro lettore,
le dico francamente che di norma commenti di questo tono non vengono effettivamente presi in considerazione. Ma credo che valga invece la pena di ribadire che chiunque sia al Governo non può prescindere dal fatto che i Governi devono avere la fiducia del Parlamento, e che questo è a sua volta
espressione del paese che lo ha eletto. E che – prendendo a prestito un’espressione usata a suo tempo dal grande Norberto Bobbio – il paese e la sua classe politica si assomigliano “come due gocce d’acqua”.
I governanti sono tutti dei “poco di buono”? Non lo credo – quanto meno non per tutti. Credo che molti governanti abbiano delle loro “filosofie” che devono per altro sempre scontrarsi col fatto che nessuno (neppure il
Presidente del Consiglio) è veramente un monarca. Sul fatto che Tremonti si sia “felicemente” adeguato non so che dire. Il fatto che lo abbiano cacciato via indica che forse non si era adeguato appieno…
Cordiali saluti
Carlo Scarpa