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Pac, è vera riforma?

Nonostante le indiscutibili riforme apportate negli anni Novanta, il flusso di trasferimenti dai cittadini europei generati dalla Pac verso i produttori agricoli per unità di lavoro non cala. In ogni caso, anziché accontentarsi del miglioramento recente, i politici europei dovrebbero darsi da fare per ridurre drasticamente sussidi che portano a uno sviluppo tuttora patologico, con notevoli sprechi di risorse. Una situazione che ora si estende ai nuovi paesi Ue. Ma ciò che davvero stupisce è che nessuno si senta in dovere di discutere della Pac e di spiegare almeno i suoi paradossi più evidenti.

Della Politica agricola comunitaria sconcerta, oltre agli incredibili sprechi di risorse e alla perversa distribuzione del reddito che genera, il fatto che non se ne discuta. Non intervengono a spiegare i paradossi più evidenti di questa politica né gli operatori politici direttamente coinvolti nella Pac – come il ministro delle Politiche agricole, Giovanni Alemanno, o il presidente della Commissione, Romano Prodi, per citare solo i nomi più notevoli -, né esperti specializzati o non specializzati nella materia, come Giovanni Sartori che tempo fa difese la Pac sul Corriere della Sera e poi in conferenze organizzate da organizzazioni professionali agricole.

Il giudizio resta negativo

Il professor Luca Salvatici (si veda il suo intervento su lavoce.info riportato a fondo pagina, commento del 21-07-2004, riguardo a miei precedenti articoli sulla Pac) è sceso in campo, molto correttamente, per sostenere che è pur vero che esistono molti sprechi di risorse e problemi da risolvere, ma è altrettanto vero che negli anni Novanta c’è stato un miglioramento specialmente nell’impostazione dell’analisi della Pac e anche in una parziale risoluzione dei problemi esistenti. Gli “ulteriori elementi di riflessione per i lettori di lavoce.info” portati dalla sua lettera sono pienamente condivisibili e molto utili. Non c’è contraddizione nelle due posizioni, salvo il fatto che le statistiche riportate in uno dei miei precedenti articoli mostrano che nonostante le indiscutibili riforme e migliorie apportate negli anni Novanta, il flusso di trasferimenti dai cittadini europei (consumatori e contribuenti) verso i produttori agricoli per unità di lavoro non calano, perciò il giudizio complessivo non solo sulla Pac d’oggi, ma anche su come essa si evolve, non può essere molto buono.

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Un’allegoria per la Pac

Però, anche assumendo che le varie riforme in atto stiano effettivamente realizzando un sostanziale riaggiustamento della produzione agricola a favore dei cittadini europei, credo che la situazione possa essere descritta con la seguente allegoria. La Pac mi sembra una bella signora, il cui peso forma potrebbe essere, diciamo 70 kg, ma invece è molto obesa, diciamo sui 100 kg, a causa di un eccesso d’alimenti molto costosi elargiti per amore da genitori, zii, cugini, eccetera (sostegno dei prezzi, sussidi e privilegi concessi dalle politiche nazionali, regionali, e locali) che hanno un effetto deleterio non solo su chi li paga, ma anche sulla nostra bella signora che denuncia varie disfunzioni fisiologiche ed anche estetiche (eccedenze di produzione, terre fertili non coltivate, sussidi alle esportazioni). I familiari compiacenti le pagano inoltre trattamenti cosmetici molto costosi per cercare di mascherare questa obesità (1700 miliardi di euro l’anno per la messa a riposo dei seminativi o set-aide, al fine di ridurre le eccedenze di produzione ed i sussidi alle esportazioni).
Luca Salvatici ci fa notare che, secondo lui, le cose migliorano perché effettivamente la bella signora alla fine degli anni Ottanta pesava ancora di più e stava peggio. (1)
Anche ammettendo che ciò sia vero, mi pare evidente che gli operatori politici, anziché accontentarsi del miglioramento recente, dovrebbero darsi da fare per portare la bella signora al suo peso forma, riducendo l’eccesso di cibo che la danneggia, costringendola ad uno sviluppo tuttora patologico (investimenti in produzioni non richieste dal mercato, messa a riposo dei seminativi, eccetera) e a una salute malferma (mercati non concorrenziali, quote di produzione, costo burocratico eccessivo, e così via).
Dobbiamo inoltre notare che la nostra signora sta diffondendo questo malessere da obesità anche ai nuovi membri della famiglia (nuovi paesi membri) che ne risentiranno non solo nei prossimi mesi (mercati non concorrenziali, quote di produzione, prezzi più alti per i consumatori e messa a riposo dei seminativi a spese dei contribuenti) ma anche in futuro (aggiustamento strutturale distorto, aumento delle rendite fondiarie che sarà poi difficilissimo ridurre, e via dicendo).
Tutto questo danneggia anche chi non è membro della nostra famiglia europea. Sarebbe interessante sapere cosa pensano coloro che sono stati o sono responsabili del protezionismo della PAC delle centinaia di immigrati clandestini che sono morti e continuano a morire nel tentativo di passare il Mediterraneo e trovare lavoro nell’Unione Europea. Se avessero potuto produrre nei loro paesi ed esportare nell’Unione Europea e negli altri paesi sviluppati le poche cose che sono in grado di produrre (molti prodotti agricoli), se invece di barriere agli scambi e concorrenza sleale avessero ricevuto da noi aiuti in beni capitali e tecnologie per migliorare le loro produzioni agricole, il numero di morti sarebbe stato inferiore? Io credo di sì, credo che non solo sarebbero stati e starebbero meglio loro, ma saremmo stati e staremmo molto meglio anche noi.
In tempi in cui i problemi di bilancio del nostro paese sono acuti e discussi su tutti i media, sarebbe interessante sentire l’opinione degli esperti sulla produttività sociale, cioè per tutta la collettività, dei trasferimenti di reddito generati dalla politica agricola; questo non dovrebbe limitarsi, solo a quelli contabilizzati nelle spese dei bilanci comunitario, nazionale, regionali e locali, ma anche ai trasferimenti generati attraverso il sostegno dei prezzi, e pagati dai consumatori, cosa di cui si parla pochissimo. Mi rivolgo, quindi, ai maggiori esperti, e non solo al ministro Alemanno e al presidente della Commissione europea Prodi, ma anche al nuovo ministro all’Economia, Domenico Siniscalco e al politologo Giovanni Sartori, oltre a chi ha la semplice cortesia di intervenire sul tema.

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(1) Nell’anno 1970 oltre l’80 per cento del bilancio comunitario era destinato alla politica agricola e la protezione del mercato interno era più alta di quella attuale. Fatte le dovute proporzioni, la bulimia era forse ancora maggiore.

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  1. Luca Salvatici

    Commento:
    Con il Professor Tarditi vi è una lunga consuetudine di discussione intorno alla Politica agricola comune, questo (tardivo) commento non è quindi tanto rivolto all’Autore, che ben conosce gli argomenti che seguono, quanto a fornire qualche ulteriore elemento di riflessione ai lettori de “La Voce”.
    Premesso che l’impegno intellettuale e la passione civile con cui Secondo Tarditi da diversi anni critica gli sprechi e le incongruenze della Pac sono assolutamente commendevoli, ritengo che l’articolo finisca per dipingere la Pac come una politica inspiegabilmente longeva che sopravvive a sé stessa immutata e immutabile. La Pac, invece, è cambiata, e forse proprio la capacità di adattamento può contribuire a spiegare la sua perdurante (e per alcuni versi sconcertante) “sostenibilità politica”.
    Cosa è cambiato? A parità di sostegno complessivo, le riforme introdotte a partire dagli anni Novanta hanno portato ad un riorientamento degli strumenti di intervento dalle politiche direttamente o indirettamente legate alla produzione, a pagamenti basati sui “diritti di trasferimento” storicamente acquisiti (in termini di area coltivata o numero di animali presenti in azienda). Sulla valutazione che si può dare di un simile processo, il giudizio degli economisti è sostanzialmente concorde: sebbene via sia una certa variabilità nelle stime empiriche sul grado di “disaccoppiamento” (dalla produzione) dei nuovi pagamenti, tutti riconoscono che essi sono di gran lunga meno distorsivi rispetto alle tradizionali politiche di prezzo garantito.
    Tutto ciò è ben noto a Tarditi, e quindi l’insostenibilità dello spreco di risorse non sarebbe tanto da addebitare alla “qualità” delle riforme che sono state introdotte, quanto alla loro scarsa significatività da un punto di vista “quantitativo”. A prescindere dalle opinioni personali sul grado di realismo che avrebbe potuto avere un processo di riforma più rapido e incisivo, per quanto riguarda l’entità del cambiamento intervenuto mi limito ad osservare che:
     sebbene la maggior parte del sostegno garantito dalla Pac sia ancora direttamente o indirettamente associata alla produzione, la quota dei pagamenti basata sulla produttività (sostegno dei prezzi di mercato e pagamenti legati agli input) è scesa dal 96% (1986-88) al 69% (2001-03);
     sebbene l’UE rimanga un bastione del protezionismo agricolo in sede WTO, la differenza tra prezzi interni e prezzi mondali è scesa dal 72% (1986-88) al 34% (2001-03);
     sebbene l’UE garantisca da sola circa il 90% di tutti i sussidi all’esportazione notificati al WTO, l’ammontare di tali sussidi si è ridotto da 10 a 3 miliardi di euro fra il 1992 e il 2001 e la loro incidenza percentuale rispetto al valore delle esportazioni si è ridotta nello stesso periodo dal 25 al 5%.
    In conclusione, dovendo esprimere un giudizio complessivo sul processo di riforma (ancora in corso, peraltro), mi è venuto alla mente un detto popolare che recita: “poco se mi considero, molto se mi confronto”. La Pac presenta tuttora notevoli problemi, ma forse non sono poi molti i settori dove sono stati introdotti cambiamenti altrettanto significativi negli ultimi anni.
    Con viva cordialità,
    Luca Salvatici

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