E’ in corso l’Opa di Telecom su Tim. La lettura della documentazione ufficiale pone agli osservatori questioni di natura industriale e finanziaria. Il documento di offerta è vago sui vantaggi che deriveranno dalla fusione fisso e mobile, negando al mercato informazioni essenziali. Positivo invece che prosegua la marcia di accorciamento della catena di controllo del gruppo. I problemi finanziari riguardano invece l’entità delle adesioni all’Opa, l’equità dei concambi Telecom-Tim e la sostenibilità del debito. Mentre un grande gruppo industriale italiano viene pezzo a pezzo sacrificato.

Dopo la pubblicazione del documento di offerta, è in corso l’Opa di Telecom Italia su Tim. Prevede che Telecom, che oggi detiene il 56 per cento di Tim, acquisti una parte delle azioni della controllata in mano al mercato. Successivamente, Tim verrà fusa in Telecom. Sulla base della lettura della sola documentazione ufficiale, questa operazione pone agli osservatori sia problemi di sistema, sia questioni di natura industriale e finanziaria.

Via i cavi, a quando gli pneumatici?

Pirelli controlla Olimpia, la quale a sua volta detiene in Telecom una percentuale destinata a scendere, in caso di adesione integrale all’Opa e dopo la prevista fusione. Ma Olimpia aumenterà il capitale per poter comprare altre azioni Telecom, il che le consentirà di mantenere una percentuale tale da confermare il controllo di fatto, riducendo ancora i (già modesti) pericoli di takeover ostili su Telecom. Secondo notizia apparsa sul “Corriere della Sera”, sarebbero comunque in corso contatti tra gli azionisti di Olimpia tendenti ad acquisire ulteriori quote in Telecom così da annullare tale rischio.
Tuttavia, per far fronte alla parte di propria competenza dell’aumento, Pirelli dovrà vendere la divisione cavi: un altro pezzo del gruppo sarà così sacrificato al totem del controllo, ma forse la strada era ormai obbligata, in coerenza con la decisione di acquistare quel controllo, a caro prezzo, nel 2001. A quel punto la metamorfosi di Pirelli sarà quasi completa, perché del grande gruppo manifatturiero di un tempo resteranno solo gli pneumatici, e non si sa per quanto tempo ancora; ormai il gruppo è altra cosa, come è dimostrato anche dalla perdita di peso di manager storici “industriali” nel vertice del gruppo.
Quando dal perimetro di Pirelli saranno uscite tutte le sue “vecchie” attività industriali, il gruppo sarà più ricco e soprattutto più potente, come è suo lecito proposito, ma il nostro paese più povero, come forse non merita. Stiamo perdendo un grande gruppo industriale, operante in concorrenza sui mercati mondiali, con importante contenuto tecnologico: cosa abbiamo in cambio? Il fatto che il gruppo Tronchetti controlla meglio Telecom: il saldo è positivo per il gruppo, negativo per il paese.

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Sul merito industriale del progetto il documento di offerta si limita ad accennare ai vantaggi derivanti dall’unione di fisso e mobile sotto un’unica guida, ma quest’unica guida già c’era. Sul punto, l’unica labile traccia sono le anticipazioni che, secondo il “Corriere della Sera”, sono state fornite in sede Olimpia: secondo queste anticipazioni la fusione farebbe risparmiare un miliardo di euro di costi. I dati sulle sinergie saranno forniti, si dice, in marzo col nuovo piano industriale, ma non è credibile che il progetto sia stato lanciato senza determinare le riduzioni di costi ad esso legate. Questo silenzio non è ragionevole e nega al mercato informazioni essenziali.

Scatole cinesi e altre questioni finanziarie 

Va invece salutata con favore la continuazione della marcia di accorciamento della catena di controllo del gruppo, inizialmente smisurata; così gli interessi della minoranza saranno meno esposti a pericoli di conflitto con quelli dell’azionista di controllo, sempre grandi quando grande è la divaricazione fra impegno patrimoniale e potere di gestione. A questo storico male del nostro capitalismo, il gruppo Pirelli sta ponendo rimedio, e la novità è positiva.

I problemi finanziari posti dalla lettura del documento riguardano l’entità delle adesioni all’Opa, l’equità dei concambi Telecom-Tim e infine, la sostenibilità del debito.
Telecom richiede la consegna di almeno due terzi delle azioni oggetto di offerta: il che, si dice, migliorerà la struttura finanziaria della società fusa, cosa certamente vera. Così come è vero che il superamento di questa soglia renderebbe impossibile una eventuale bocciatura dell’operazione di fusione da parte dell’assemblea Tim.
Pur consci di inoltrarci su terreno arduo in mancanza di informazioni dettagliate, possiamo immaginare che, se le sinergie da fusione fossero quelle ipotizzate, forse un investitore razionale dovrebbe non consegnare le azioni Tim in Opa, e avvalersi di quei vantaggi, restando nella società fusa. Si consideri che, se scenderà, rispetto alle previsioni, il numero di azioni Tim consegnate in Opa, scenderà anche la quota di Olimpia in Telecom post fusione. Ciò aumenterebbe la contendibilità di Telecom, con possibili conseguenze in termini di prezzi di mercato. Ma, attenzione, è un gioco pericoloso, perché al di sotto della soglia richiesta Telecom può, se vuole (ma probabilmente non vorrà), far saltare l’operazione.
Quanto ai concambi della fusione, se si guarda ai multipli dei margini operativi impliciti, questi sembrano vantaggiosi per Tim rispetto a Telecom; per converso, ai valori dell’operazione, il rendimento di Telecom in termini di dividendo (3,3 per cento) è assai più basso di quello di Tim (4,5 per cento), il che deporrebbe in senso contrario.
Quale il giudizio del mercato? Positivo, sembra, dato che i prezzi, fermi per le ordinarie Tim sotto il livello dell’Opa, sembrano dar ragione a Telecom; non sapremo mai se per convinzione o rassegnazione.
La sostenibilità del debito pare assicurata, almeno a livello di Telecom fusa, poiché il peso aggiuntivo necessario ad acquistare le azioni Tim sarà ben fronteggiato dal cash flow della stessa Tim: il che però prova troppo, perché aumenta i dubbi sulla valorizzazione di questa società, comprata ad un prezzo che essa stessa può ripagare. L’aumento di capitale di Olimpia servirà a comprare nuove azioni Telecom, quindi il debito di Olimpia non scenderà, ma essa incasserà più dividendi, e starà quindi meglio. Non va dimenticato, però, che su Pirelli gravano i diritti di cessione di azioni Olimpia (put) in mano a Intesa e Unicredit. Certo, aumenterà il cash flow della società fusa, ma se fossero i flussi di Tim a risolvere il problema del debito Olimpia, i dubbi di cui sopra aumenterebbero ancora.

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Last but not least, la questione del perimetro del gruppo Pirelli: esso deve, o no, comprendere Olimpia? In passato la Consob cercò, senza riuscirci, di imporre al gruppo di consolidare il debito di questa finanziaria. Ora che Pirelli rischia di salire oltre il 60 per cento del capitale (a tacere del put vantato dalle banche), aumenta ulteriormente il divario fra le considerazioni di finanza e quelle giuridiche: da un punto di vista finanziario, nessuno dubiterebbe che Pirelli controlli Olimpia, ma i diritti riconosciuti dagli accordi al gruppo Benetton configurano, sotto il profilo giuridico, un controllo congiunto con tale gruppo. Nella nuova situazione, però, non ci sarebbe da sorprendersi se la Consob volesse riaprire la questione.

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