I cambiamenti nei sistemi previdenziali comportano importanti mutamenti nelle scelte di risparmio e offerta di lavoro, soprattutto dei ceti medi. Probabilmente, si dovrà lavorare più a lungo e risparmiare di più. In Gran Bretagna, per esempio, i lavoratori giovani sembrano apprezzare sempre di più i piani pensionistici individuali a contribuzione definita. Di contro, un’indagine europea su diversi aspetti della vita degli ultracinquantenni può aiutare a capire quali sono le condizioni che favoriscono una terza età attiva e quanta capacità lavorativa resta oggi inutilizzata. Il declino dei mercati assicurativi di tipo previdenziale, essenziali per il funzionamento dei fondi pensione, si può fermare con l’introduzione di titoli indicizzati alla longevità. Qualcuno ha suggerito che siano le imprese farmaceutiche a emettere questi titoli, perché i loro profitti salgono quando gli individui invecchiano e fanno un ricorso maggiore ai medicinali.

Meno sicurezza, siamo inglesi, di James Banks e Agar Brugiavini

In Gran Bretagna le pensioni pubbliche sono finanziate interamente con un sistema a ripartizione. Questo implica che più le pensioni sono “generose” rispetto ai salari medi in ogni dato anno e più è elevato il numero dei pensionati rispetto ai lavoratori contribuenti, tanto maggiore dovrebbe essere l’aliquota contributiva per mantenere il sistema in equilibrio.
Il “baby boom” e l’invecchiamento della popolazione fanno sì che un numero molto elevato di lavoratori andrà in pensione tra il 2010 e 2020. La Ragioneria dello Stato ha stimato che tra il 2002 e il 2051 il numero di individui tra i venti anni e sessantaquattro anni resterà di circa 35,1 milioni, mentre gli individui di età maggiore o uguale a sessantacinque  cresceranno dagli attuali 9,4 milioni a 16,8 milioni.

L’ottimismo del Governo

Nonostante tali previsioni demografiche non ci si aspetta un aumento della spesa pensionistica, anzi il costo dovrebbe diminuire dal 5,5 per cento del reddito nazionale del 2000 al 5,0 per cento nel 2050: una configurazione molto diversa dal resto dell’Europa. Implicitamente, il Governo assume che tale riduzione di spesa sia sufficiente a rendere il sistema sostenibile.
Quali fattori spiegano tanto ottimismo?
La Tabella 1 riassume brevemente i passi principali delle recenti riforme pensionistiche: gli interventi dei governi Thatcher e Major tra il 1980 e il 1995 hanno ridotto drasticamente le prestazioni future, ma forse queste misure non saranno sufficienti.

 La Tabella 2 mostra alcune stime sul costo futuro del sistema: si noti che la crescita annua media è, tenendo conto di tutte e tre le componenti, maggiore della crescita stimata dei redditi. Le stime ufficiali continuano tuttavia a prevedere una caduta della spesa pensionistica.


Tabella 2. Costo futuro delle pensioni pubbliche (miliardi di sterline, ai prezzi 2000)


Indipendentemente dalle considerazioni sulla sostenibilità del sistema, il problema centrale è come, a fronte di tale riduzione di spesa, gli individui e i governi futuri potranno assicurare uno standard di vita decoroso ai pensionati.
Una strada è ovviamente l’aumento e la diffusione delle “pensioni private”.

Le pensioni private

In Gran Bretagna, le pensioni private sono per larga parte in forma aziendale (occupational pensions). Un numero limitato, ma crescente, di lavoratori è coperto da piani di risparmio previdenziale individuali (personal pensions o stakeholder pensions). Questi contratti individuali sono “esplosi” dopo l’aprile 1988, quando si offrì la possibilità di uscire dal sistema pubblico o da un piano aziendale per aderire a una personal pension. Tipicamente i piani aziendali sono a prestazione definita (Db), cioè definiscono con certezza la prestazione, che è normalmente legata a una media delle retribuzioni, ma non il contributo. Si stanno tuttavia affermando i piani pensionistici a contribuzione definita (Dc), per i quali la pensione dipende dai contributi versati e dall’andamento dei mercati. Tutti i piani individuali (personal pensions e stakeholder pensions) sono della forma Dc.

In linea teorica non ci sono differenze sostanziali tra schemi Db e schemi Dc, si possono sempre introdurre regole in un sistema Dc che replicano le prestazioni di uno schema Db e viceversa. Ma in pratica i due sistemi forniscono incentivi economici molto diversi e hanno anche rischi molto diversi. In particolare, nei sistemi Db è principalmente il datore di lavoro che sostiene i rischi, ad esempio il rischio demografico di longevità.
La Figura 1 mostra la partecipazione ai piani aziendali dei lavoratori britannici tra il 1953 e il 2000.

Figura 1 Partecipazione ai piani pensionistici aziendali, per settore occupazionale dei lavoratori (pubblico o privato). Milioni di individui.

 
Fonte: Government Actuary’s Department (2003b). (2)

La stampa inglese ha molto enfatizzato il cambiamento nelle scelte dei datori di lavoro da piani aziendali di forma Db a piani di forma Dc.
In primo luogo è bene sottolineare che, mentre lo spostamento è cospicuo in termini di numero di imprese, il numero dei lavoratori coinvolti non è così rilevante. In molti casi il cambiamento interessa solo i nuovi assunti.
È però mutata la distribuzione dei rischi, ed è interessante capire come si spiega il declino dei piani aziendali di tipo Db.
Un primo motivo è che, per essere sostenibili, i sistemi Db hanno dovuto sistematicamente aumentare i contributi, penalizzando così le nuove generazioni di lavoratori. Problema, questo, che non affligge i sistemi Dc. Un secondo motivo è la accresciuta mobilità della forza lavoro, che ha preferito piani pensionistici “portabili”, come quelli di forma Dc. La pressione derivante in particolare dal primo problema (soddisfare i pagamenti promessi) è divenuta più evidente una volta esaurita la crescita del mercato borsistico degli anni Ottanta e Novanta. Inoltre, cambiamenti nelle regole di contabilità aziendale (FRS17) hanno fornito valutazioni più attendibili dei debiti pensionistici delle aziende verso i loro lavoratori, mettendone in luce la vastità.
Alcuni economisti hanno dedotto una criticità strutturale del sistema privato dovuta a questi cambiamenti nel sistema dei piani aziendali: David Blake stima che il risparmio previdenziale privato si ridurrà, a causa di questo cambiamento nella tipologia dei fondi pensione, dal 3,8 per cento al 2,9 per cento del reddito (Pil) annuale. (3)
 
Scelte, rischi e incentivi al pensionamento

È ancora presto per dire se il risparmio pensionistico diminuirà. Certo è che i giovani lavoratori si troveranno sempre più a risparmiare per la vecchiaia con schemi pensionatici Dc, assumendosi la responsabilità delle loro scelte e anche più rischi. In particolare, è cruciale la scelta che si compie alla maturazione del fondo pensione tra capitale e reddito.
Mentre gli schemi Db tipicamente fissano il contratto pensionistico (la pensione o vitalizio) ex ante, al momento della stipula, gli schemi Dc spostano questa scelta al momento del pensionamento. Molti neopensionati degli schemi Dc preferiscono avere una liquidazione del fondo in forma di capitale immediato (fino al massimo permesso, tipicamente metà del fondo stesso) riducendo notevolmente la pensione futura. Inoltre, spostare in avanti la data di acquisto della pensione-vitalizio può anche peggiorare i problemi di antiselezione tipici di tali mercati assicurativi, accollando il rischio longevità sul pensionando. Per evitare questi problemi è possibile che i governi futuri si orientino verso una forma di obbligatorietà dell’acquisto del vitalizio al momento dell’iscrizione al fondo pensione, qualunque sia il tipo scelto. 

Leggi anche:  Più lavoratori, ma più vecchi

Infine, è noto che i sistemi Db contengono forti incentivi al pensionamento anticipato: la Figura 2 mostra la percentuale di uomini di età compresa tra cinquanta e sessantaquattro anni ritirati dal lavoro per tipo di pensione. Studi recenti mostrano che è più probabile che lavoratori scelgano il pensionamento anticipato se non sono in possesso di un piano pensionistico privato. (4) Perciò è possibile che una maggiore incidenza dei piani privati e in particolare di tipo Dc abbia un effetto positivo sull’offerta di lavoro degli anziani, aumentando così le risorse per la vecchiaia.

Figura 2

 

È chiaro che i nuovi governi dovranno preoccuparsi del benessere dei futuri pensionati: questo implica offrire opportunità di accantonamento con le pensioni pubbliche e private, ma anche attraverso la partecipazione alle forze di lavoro.
Studi empirici condotti dall’Institute for Fiscal Studies illustrano che gli effetti più complessi di scelte di risparmio e offerta di lavoro dovuti ai cambiamenti recenti sul fronte pensioni si avranno per i ceti medi, che probabilmente dovranno lavorare più a lungo e forse, complessivamente, risparmiare di più.


* L’articolo trae spunto dalla relazione: “Pensions, Pensioners and Pensions Policy: Financial security in UK retirement savings?” di Orazio Attanasio, James Banks, Richard Blundell, Robert Chote and Carl Emmerson, ESRC, 2004, Londra

(1) La “First State Pension” o “Basic State Pension” è un sistema assistenziale per gli anziani, di cittadinanza, con prestazioni fisse non legate alla contribuzione.

(2) Government Actuary’s Department (2003b), Occupational pension schemes 2000 eleventh survey by the Government Actuary, April 2003, London: GAD (http://www.gad.gov.uk/Publications/docs/opss2000_final_results_final_7april2003.pdf).

(3) D. Blake (2005) “Population Ageing: Issues Facing the UK’s Pension System”, manoscritto, Cass Business School, Londra.

(4) Blundell, R. C. Meghir and S. Smith, ‘Pension incentives and the pattern of early retirement’, Economic Journal, 2002, vol. 112, pp. C153–70.

Con la longevità nel titolo, di David Blake

Benjamin Franklin ha detto che nella vita niente è certo, eccetto la morte e le tasse. In realtà, negli ultimi venti anni abbiamo capito che, seppure la morte resta un fatto inevitabile, la lunghezza della vita è una variabile sempre più incerta.

Il problema delle assicurazioni

Quando il moderno welfare state fu introdotto in Gran Bretagna nel 1948, gli uomini ricevevano la pensione a 65 anni e avevano una vita attesa di 67 anni, solo alcuni sopravvivevano l’età di 70. Ora una buona percentuale di donne vive oltre gli 80 anni.
In tutti i paesi sviluppati si sono registrati aumenti significativi della longevità, che hanno messo in luce il problema di una mancanza di strumenti finanziari adeguati a rispondere alla domanda di assicurazione proveniente dai singoli risparmiatori e dal mercato assicurativo-previdenziale.
Gli assicuratori in Gran Bretagna si trovano a far fronte a pagamenti di vitalizi e pensioni per i quali la speranza di vita era stata sottostimata in media di due anni, con notevoli perdite. D’altra parte, per restare nel mercato, le compagnie hanno tenuto bassi i margini di profitto: molte dichiarano di essere in perdita nel “ramo previdenza”, esiste quindi un serio pericolo di scomparsa di tali forme assicurative. Ma i vitalizi e le pensioni sono lo strumento finanziario per eccellenza nella stipula di contratti previdenziali, proprio perché condizionali alla sopravvivenza dell’assicurato, e quindi in grado di coprire il “rischio longevità”.

I titoli longevity-linked

Il problema si può risolvere costruendo titoli, strumenti finanziari e anche derivati “longevity-linked”, cioè titoli i cui rendimenti siano legati a uno o più indici di sopravvivenza.
Il caso più semplice è un “survivor-bond”: è un titolo che paga solo cedole senza restituzione del capitale, i pagamenti delle cedole diminuiscono in linea con un indice di mortalità.
Questo potrebbe essere basato sulla esperienza di mortalità di una coorte di individui prefissata, ad esempio la popolazione dei sessantacinquenni viventi al momento della stipula. All’assottigliarsi della coorte le cedole calano, ma i pagamenti continuano fino a che l’ultimo individuo di quella coorte è vivo. Se, fatti cento gli individui della coorte all’inizio del contratto, in un anno la coorte è scesa a 98 individui, anche il pagamento della cedola è decurtato al 98 per cento del suo ammontare iniziale. 
Il proprietario del titolo (ad esempio la compagnia assicuratrice che lo acquista) è quindi protetto dal rischio aggregato di longevità che effettivamente si trova a sostenere dal lato dei suoi esborsi.
Ma il problema è: chi può emettere tali titoli? Chi è pronto ad assumersi il rischio-longevità date le tendenze in atto?
Il primo titolo longevity-indexed è stato emesso nel novembre 2004 dalla European Investment Bank. Il valore iniziale era di 540 milioni di sterline e la cedola iniziale di 50 milioni con una durata di venticinque anni. La cedola decresce nel tempo in linea con la mortalità degli uomini (inglesi o gallesi) che avevano 65 anni nel 2003. L’emissione ha ovviamente riscosso notevole successo tra i fondi pensione in Gran Bretagna.
Si noti tuttavia che questo nuovo strumento finanziario non è la soluzione finale: non copre il rischio-longevità delle donne ed è comunque limitato a una durata di venticinque anni, escludendo quindi la speranza di vita della “coda” dei longevi di quella coorte.
Qualcuno ha suggerito che siano le imprese farmaceutiche a emettere questi titoli, dato che i loro profitti salgono notevolmente quando gli individui, invecchiando, fanno maggiormente ricorso a medicinali. Il loro bilancio rappresenta quindi la naturale copertura per i titoli longevity-indexed.
In conclusione, l’introduzione di questi prodotti può contribuire a fermare il declino dei mercati assicurativi di tipo previdenziale che sono essenziali per il funzionamento dei fondi pensione.

Leggi anche:  Sulle telecomunicazioni il Rapporto Draghi ha luci e ombre


* Adattato da “Longevity Indexed products: The new Investment products of the 21st Century”, manoscritto di David Blake, Londra, 2005.

La Share dei pensionati, di Gugliemo Weber

Fra poche settimane sarà più facile studiare i fenomeni legati all’invecchiamento in Europa: i dati di Survey on Health, Ageing and Retirement in Europe (Share), la prima indagine europea sugli ultracinquantenni, saranno messi a disposizione della comunità scientifica per la ricerca statistica di carattere economico, sociologico, demografico ed epidemiologico.

Cos’è Share

Share è un’indagine su un campione di oltre 27mila individui, di età superiore ai cinquanta anni, residenti in undici paesi europei (fra cui l’Italia). La grande maggioranza di questi individui ha accettato di essere nuovamente intervistata fra due anni.
Ogni intervistato ha risposto a un ampio spettro di domande su salute fisica e mentale, utilizzo dei servizi sanitari, attività lavorative, rete di rapporti familiari e sociali, reddito, ricchezza e consumi. Il testo del questionario è il risultato del lavoro di un gruppo di scienziati sociali e medici (fra cui numerosi italiani) interessati ai vari aspetti del processo di invecchiamento della popolazione, ed è già disponibile in rete sul sito www.share-project.org (nelle diverse lingue).

Perché Share

L’invecchiamento della popolazione europea è un fenomeno di grande rilievo per le politiche sociali ed economiche. Vi sono almeno tre aspetti diversi legati all’invecchiamento che un’indagine come Share può contribuire a studiare:
1) Quali sono le condizioni economiche, sociali e mediche che favoriscono una terza età attiva e in buona salute? La società mondiale di geriatria ha come motto: aggiungere vita agli anni, non anni alla vita. Come è possibile realizzare questo importante obbiettivo?
2) Quali sono i bisogni (in termini di assistenza medica o sociale, di sostegno economico) di quella parte della popolazione anziana che non gode di ottima salute? Come è possibile soddisfarli in modo efficace ed efficiente?
3) Quanta capacità lavorativa inutilizzata esiste attualmente nei diversi paesi europei nella popolazione che è uscita o è sempre stata fuori dalla forza lavoro?

Le prime analisi sui dati Share mostrano ad esempio che oltre un terzo degli uomini e un quarto delle donne ultraottantenni non soffrono di impedimenti nelle attività quotidiane – un risultato in linea con quanto riportato in diversi studi epidemiologici.
Il grande vantaggio dei dati Share è che è possibile incrociare questo dato con quelli su reddito, comportamenti a rischio (fumo, consumo di alcool, vita sedentaria), struttura familiare, attività passate e presenti, oltre che con indicatori oggettivi e soggettivi di salute fisica e mentale, nel tentativo di individuare le cause che conducono alla buona salute in età avanzata.
Al tempo stesso, è possibile studiare su questi dati il tipo di assistenza a cui ricorrono quegli individui, anche di età meno avanzata, che soffrono di limitazioni in attività della vita quotidiana (Adl e Iadl), le spese mediche e assistenziali legate a queste limitazioni, l’aiuto ricevuto da familiari e amici.
Di particolare rilevanza per la politica economica è la capacità lavorativa inutilizzata degli ultracinquantenni. In effetti, nei vari paesi proporzioni diverse di individui lavorano, sono pensionati e non svolgono attività lavorativa, sono pensionati ma svolgono qualche attività lavorativa, ovvero non sono nella forza lavoro (ad esempio: “casalinghe” e invalidi).

La Figura 1 mostra per ciascun paese partecipante a Share (con l’eccezione del Belgio, i cui dati non erano disponibili al momento in cui è stata condotta l’analisi) le proporzioni di uomini e donne senza limitazioni nelle attività quotidiane per ciascuno di questi quattro gruppi.



Figura 1: proporzioni di occupati, pensionati non attivi, pensionati attivi e fuori dalla forza lavoro nei diversi paesi Share


Il grafico evidenzia che ci sono importanti differenze fra i paesi nordici, in cui quasi il 50 per cento degli intervistati lavorano, e quasi il 40 per cento sono in pensione e non attivi, e paesi come Italia, Austria e Francia, in cui i pensionati non attivi sono il 50 per cento o più, e il lavoratori circa il 30 per cento. In Spagna, Grecia, Italia e Paesi Bassi la categoria residuale è relativamente importante: nei primi tre si tratta prevalentemente di donne che si occupano della casa, nel quarto c’è un’elevata proporzione di invalidi civili.
Analizzando i dati Share sarà possibile comprendere quali attività non retribuite svolgono gli ultracinquantenni che non lavorano, e quali siano le loro capacità lavorative, per valutare costi e benefici di politiche tese ad aumentare la partecipazione lavorativa almeno in alcune fasce di età.
Uno dei vantaggi di Share è di fornire dati campionari pienamente comparabili sia fra i paesi partecipanti all’indagine, sia con paesi come Usa e Gran Bretagna che conducono analoghe indagini già da vari anni (Hrs, Health and Retirement Study, e Elsa, English Longitudinal Study of Ageing). Se l’Unione europea tornerà a finanziare in modo adeguato questo progetto, anche Share potrà essere un’indagine longitudinale, come Hrs e Elsa, e questo renderà possibile analizzare in modo rigoroso fenomeni dinamici quali il risparmio, la decisione di andare in pensione, i cambiamenti nella salute. 

Per saperne di più

Informazioni su Share sono disponibili sui siti www.share-project.org e www.amanda-project.org. I dati saranno resi di pubblico dominio (in forma strettamente anonima e solamente per usi scientifici) nella primavera 2005. In contemporanea è prevista la pubblicazione di un volume monografico con i risultati delle prime analisi (alcuni dei quali sono stati anticipati in questo articolo).

 

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  2004: il miracolo europeo dell'allargamento*