Le battaglie societarie sulle banche italiane dimostrano che una buona regolamentazione è fondamentale per il corretto funzionamento dei mercati e la tutela della stabilità degli intermediari. Ma è altrettanto importante avere “buone” Autorità che applichino quelle regole con efficienza e imparzialità. E in un mercato finanziario denominato in un’unica valuta, per una disciplina uniforme e libera da condizionamenti nazionali, sarebbe opportuna la centralizzazione delle competenze di vigilanza in una Autorità europea, “costruita” sull’esempio della Bce.

Le battaglie societarie sulle banche italiane sono lontane da una definitiva conclusione. Eppure, a prescindere dagli esiti ancora incerti, si possono già trarre alcuni chiari insegnamenti.

Buone regole, ma anche buone Autorità

Il primo è che avere una buona regolamentazione è di fondamentale importanza per garantire un corretto funzionamento dei mercati e una contemporanea tutela della stabilità degli intermediari. Ma è altrettanto importante avere “buone” Autorità che sappiano applicare le regole con efficienza e imparzialità. Se viene meno la capacità delle Autorità di dare attuazione alle norme di legge nel rigoroso rispetto dei principi che le hanno ispirate, quelle norme, anche le più ragionevoli e meditate, finiscono con l’essere completamente inutili: carta straccia. Dopo quello che è successo, c’è ancora qualche anima candita convinta che nel nostro paese le autorizzazioni alla partecipazione al capitale delle banche siano concesse unicamente in base al criterio della “sana e prudente gestione” richiamato dal Testo unico bancario? È quello un criterio giusto e sacrosanto, perché è giusto e sacrosanto impedire l’entrata nelle compagini societarie di soggetti in grado di pregiudicare la stabilità delle banche. Non va certo eliminato, ma anzi rafforzato. Per dirla in altre parole, non c’è tanto bisogno, come molti continuano a pensare, di modificare la regola, ma di far sì che questa sia coerentemente applicata senza dover passare ogni volta per le forche caudine di quel concetto di “italianità” che in campo internazionale rischia di diventare un poco lusinghiero sinonimo di “commedia all’italiana”.
Ritorna con clamore e dalla porta principale il problema che qualche mese tempo fa un legislatore arruffone e fin troppo timoroso di scontrarsi con le formidabili e incrollabili coalizioni di interessi che cementificano tutta la nostra società, aveva ipocritamente messo da parte: quello della revisione e riorganizzazione degli assetti istituzionali dei controlli.  Una revisione che non investa soltanto una più efficiente ripartizione delle competenze evitando commistioni tra chi si occupa di concorrenza e chi di tutela della stabilità, ma che abbia anche il coraggio di affrontare altri delicati aspetti, come l’indipendenza e la responsabilità delle Autorità, e soprattutto la reale efficacia e trasparenza delle loro strutture di governo.
È inutile farsi illusioni: per sua natura la disciplina degli intermediari e dei mercati finanziari è destinata ad avere sempre un certo grado di flessibilità ed elasticità e quindi ad attribuire spazi di discrezionalità a chi la deve applicare. In parte, questo è un bene perché vincoli troppo rigidi corrono il rischio di creare un assetto regolamentare ingessato e incapace di adattarsi alle continue e fin troppo rapide evoluzioni del mondo della finanza. D’altronde, basta pensare alla velocità supersonica con la quale il nostro Parlamento sta reagendo agli scandali finanziari. Bisogna allora spostare l’attenzione sulle norme di funzionamento delle Autorità affinché l’esercizio della discrezionalità di cui inevitabilmente godono sia coniugato con una attenta disciplina di nomine e mandati, adeguate e trasparenti procedure interne di formazione delle decisioni, solidi e invalicabili presidi a tutela dell’autonomia di giudizio, ma anche della verificabilità del loro operato. Ormai da anni ci si arrovella e si producono fiumi di pagine sulla governance societaria,; è venuto il momento di occuparsi, come suggeriscono anche recenti studi (1), della governance delle Autorità.

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Il rischio della politica

Il secondo e forse più importante insegnamento è che quando sono in gioco aggregazioni tra operatori comunitari, lasciare i poteri di autorizzazione in capo alle Autorità di vigilanza nazionali significa di fatto bloccare la realizzazione di un vero mercato europeo.
Da molto tempo si discute sulla opportunità di una centralizzazione delle competenze di vigilanza in una Autorità europea, discussione che ha trovato finora insormontabili ostacoli nelle resistenze di molti Stati membri.  Quello che sta succedendo in Italia, ma che in parte è successo e potrebbe ripetersi anche in altri paesi, rappresenta però la più evidente dimostrazione che l’utilizzo con finalità “protettive” dei poteri di vigilanza è incompatibile con un mercato finanziario denominato in un’unica valuta e che dovrebbe essere caratterizzato da una disciplina uniforme e libera da condizionamenti nazionali. Tralasciando ogni considerazione sugli effetti paradossali di questa situazione, primo fra tutti il freno alla nascita di grandi intermediari europei in grado di fronteggiare una concorrenza sempre più aggressiva, vi è un aspetto che merita di essere segnalato.
La strada della integrazione europea nei mercati bancari e finanziari non può essere costellata di continui conflitti tra autorità “catturate” dagli interessi delle banche del proprio paese, decise a scacciare lo straniero, e commissari europei, anche loro più o meno interessati a seconda del paese di provenienza, che intervengono sindacando le procedure autorizzative. Il rischio è che le aggregazioni transfrontaliere non vengano governate da regole uguali per tutti e coerenti con lo spirito comunitario. E che invece sia l’esito di uno scontro sostanzialmente politico a decidere degli assetti dei sistemi creditizi. Come in Italia ben sappiamo per nostra storica e non ancora conclusa esperienza, quando la politica invade le banche, le conseguenze, in termini di efficienza, solidità e competitività degli intermediari, sono disastrose.
Non si può, ovviamente, escludere che anche una Autorità europea sia esposta a pressioni di tutti i tipi. Per sua stessa natura, sarà però più lontana da visioni irrimediabilmente schiacciate sui bisogni dei singoli paesi. E si possono poi adottare misure (la governance, appunto) che ne tutelino con forza autonomia e indipendenza. La struttura e la disciplina della Banca centrale europea rappresentano in questo senso un importante punto di riferimento. Solo in questo modo, e di là dei tradizionali e rituali omaggi alla libera concorrenza, si potranno veramente salvaguardare le regole di mercato oggi messe a così dura prova.

(1) E. HUPKES, M. QUINTYN, M. TAYLOR, The accountability of financial sector supervisor: principles and practice, IMF working paper, 05/51, marzo 2005

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