L’Autorità garante della concorrenza e del mercato sostiene da tempo che l’introduzione di opportune forme di incentivazione alla concorrenza contribuisce a rendere più efficiente l’offerta sanitaria e a contenere la spesa pubblica e privata in farmaci. Ma in Italia il sistema è ingessato e ciascun operatore adegua le proprie strategie alla prassi regolamentare vigente. Con danni per i consumatori. Buoni risultati si potrebbero avere invece ammettendo la vendita dei prodotti da banco anche fuori dalle farmacie. E da una nuova concezione della figura del farmacista.

Nei giorni scorsi l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha inviato a Parlamento e Governo una segnalazione relativa al decreto legge per il contenimento del prezzo dei farmaci non rimborsabili, proposto dal ministero della Salute. L’Agcm ha ribadito le posizioni già assunte nella sua indagine conoscitiva del 1998, in favore di una deregulation nel comparto distributivo del settore farmaceutico. L’intervento merita apprezzamento per una serie di ragioni e qualche caveat.

Un sistema ingessato

Innanzitutto, il settore farmaceutico italiano appare come un sistema ingessato, nel quale tutte le variabili decisive sono predeterminate. Non vi è alcun incentivo al confronto concorrenziale né a livello orizzontale (tra imprese farmaceutiche attive nell’offerta di prodotti sostituibili ai fini della loro efficacia terapeutica; tra intermediari all’ingrosso; tra farmacie), né a livello verticale tra tutti operatori nella produzione, nella commercializzazione, nella distribuzione e nella vendita finale.
I numerosi interventi dell’Autorità antitrust nel settore farmaceutico hanno avuto il merito di sottolineare che una volta definiti i vincoli di tutela della salute dei cittadini e di bilancio pubblico della spesa, l’introduzione di opportune forme di incentivazione al confronto concorrenziale contribuisce a rendere più efficiente l’offerta sanitaria e a contenere la spesa pubblica e privata in farmaci.
Le diverse forme di regolazione che caratterizzano i paesi industriali avanzati si distinguono in relazione al tipo e al numero di variabili su cui si esercita un controllo di “governance” diretto. Tutti i sistemi, tuttavia, presentano uno spazio istituzionale endogeno, di dimensione variabile, nel quale la libera iniziativa economica degli operatori può pienamente manifestarsi. Così, accanto a forme di regolazione stringente dal lato della determinazione del prezzo dei farmaci o dei profitti delle imprese farmaceutiche, si assiste a forme leggere di regolazione nell’ambito distributivo. E viceversa: dove le imprese mantengono una certa libertà nella determinazione dei prezzi dei farmaci, vi sono regolazioni stringenti verso il basso.
In Italia, l’impianto regolatorio agisce, con la stessa intensità, sia a livello di determinazione dei prezzi al pubblico dei farmaci che a livello della distribuzione all’ingrosso e al dettaglio. Ciò delinea, come ha osservato l’Agcm, un sistema bloccato, nel quale ciascun operatore adegua le proprie strategie alla prassi regolamentare vigente. La circostanza che i margini di sconto ai farmacisti e grossisti siano determinati per legge per i farmaci rimborsabili, che vi sia l’obbligo di fornitura entro le dodici ore da parte dei grossisti, nonché quello di detenere almeno il 90 per cento delle specialità medicinali in commercio limita fortemente gli spazi per l’adozione di politiche commerciali concorrenziali.
I grossisti sono obbligati infatti ad acquistare pressoché tutte le specialità esistenti sul mercato, senza poter innescare alcun meccanismo di confronto tra produttori di farmaci con caratteristiche analoghe sotto il profilo terapeutico. Non vi è dunque alcun incentivo per le imprese farmaceutiche a praticare politiche differenziali basate sul prezzo.
Analogamente, il monopolio dei farmacisti sulla vendita dei farmaci da banco comporta una concorrenza del tutto ipotetica, dato il forte incentivo delle farmacie ad allinearsi al prezzo consigliato dal produttore.
Significativo appare al riguardo il procedimento concluso dall’Agcm sulla distribuzione di latte artificiale per neonati. L’indagine ha accertato che la distribuzione esclusivamente attraverso il canale delle farmacie ha determinato prezzi sistematicamente più elevati rispetto ai paesi europei in cui il prodotto viene commercializzato anche attraverso la grande distribuzione.

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Un nuovo modello di farmacista

La liberalizzazione del comparto dei farmaci non etici permetterebbe quindi non solo di ottenere condizioni di prezzo più vantaggiose per il consumatore, ma anche di orientare la professione di farmacista verso un modello di offerta di combinazioni prodotto-servizio più vicine alle esigenze della clientela.
Naturalmente, ogni stimolo alla concorrenza deve evitare fenomeni di “accaparramento” o di “cattura” dei clienti che avrebbero come ultimo effetto quello di indurre il consumo di farmaci non necessari. L’introduzione di meccanismi concorrenziali deve qui essere riferita a due ambiti distinti: i farmaci da banco e i prodotti parafarmaceutici e i prodotti etici. Nel primo caso, appare opportuno quanto prospettato dalla stessa Agcm, ovvero la possibilità che sia ammessa la vendita di questi prodotti anche in contesti distributivi alternativi a quelli delle farmacie. All’estero, ciò ha permesso la costituzione di catene di farmacie, con importanti risparmi nei costi di transazione, anche perché è aumentato il potere contrattuale delle farmacie nei confronti delle imprese farmaceutiche.
Sul secondo ambito, appare essenziale prevedere che i vincoli strutturali e i comportamentali vigenti siano opportunamente rilasciati per consentire un certo grado di confronto concorrenziale. Si può manifestare soprattutto negli standard qualitativi del servizio offerto dal farmacista che può “confezionare” per proprio conto anche il farmaco. Ciò significa rimuovere tutti i vincoli amministrativi che possono impedire un’entrata efficiente sul mercato.

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