L’antitrust in Europa e in Italia segue un modello amministrativo, nel quale il procedimento avviene all’interno delle Autorità con l’accusa istruita dagli uffici e la decisione presa dalla Commissione. La necessità di garantire equilibrio tra ragioni dell’accusa e della difesa ha portato in Europa ad introdurre nuove figure come quella del Chief Economist, una esperienza che potrebbe rivelarsi utile anche per l’Italia.

Attorno alla relazione annuale dell’Autorità antitrust tenuta dal Presidente Catricalà si è sviluppato un dibattito importante, ospitato anche sul nostro sito, in merito alla natura dell’intervento a tutela della concorrenza nel panorama italiano e al confronto tra l’esperienza della Presidenza Tesauro, descritta in modo schematico come custode di una distinzione netta di ruoli tra autorità e imprese, e l’approccio preannunciato dalla nuova Commissione, orientato ad un maggior dialogo tra le parti.

La soluzione europea

Non intendo in questo intervento entrare nel merito dei due possibili modelli di enforcement, discussi nell’intervento di Michele Grillo , né tracciare una valutazione dell’esperienza Tesauro, cui dedica il suo intervento Carlo Scarpa. Vorrei invece affrontare un aspetto che emerge ciclicamente nelle discussioni relative alle politiche di tutela della concorrenza, relativo ai meccanismi di checks and balances che consentono all’intervento antitrust di raggiungere una consistenza e prevedibilità agli occhi delle imprese e un equilibrio nella valutazione delle ragioni delle diverse parti coinvolte.
Il tema si pone con grande nettezza dal confronto tra il modello americano di enforcement pubblico, che vede un ruolo autonomo del giudice nel valutare le ragioni dell’accusa, promosse dalle agenzie antitrust (Dipartimento di Giustizia o Federal Trade Commission), e della difesa, e il modello amministrativo prevalente in Europa e seguito anche dall’Italia, basato su un primo grado di giudizio presso le Autorità antitrust, all’interno delle quali gli uffici svolgono il ruolo dell’accusa mentre il giudizio è affidato alla Commissione che presiede l’Autorità stessa. La soluzione europea, caratterizzata da una separazione meno netta tra accusa e giudizio, è stata a più riprese giudicata, non sempre in modo disinteressato, come naturalmente incline a una distorsione a favore delle ragioni dell’accusa. Molto spesso è la impossibilità per la Commissione antitrust, per limiti di tempo e di risorse, ad accedere in modo indipendente alla ricostruzione dei fatti, funzione svolta dagli uffici che preparano l’istruttoria, che crea una distorsione a favore di chi analizza ed elabora quegli stessi fatti e li presenta in sede di giudizio formulando una ipotesi di accusa.
Per ovviare a questo pericolo, peraltro, l’enforcement in Europa ha sviluppato una serie di procedure amministrative che compensassero, almeno in parte, tale dato, richiedendo una maggiore trasparenza, rispetto al modello americano, in tutti i passaggi del procedimento e la pubblicazione delle decisioni, qualunque ne fosse l’esito. A ciò si accompagna la valutazione in sede di appello secondo i gradi della giustizia amministrativa, con il ricorso, nel caso italiano, al TAR del Lazio e al Consiglio di Stato.
Il controllo giurisdizionale in sede di appello, per sua natura, dovrebbe limitarsi a giudicare la correttezza e completezza dell’attività di valutazione compiuta dall’Autorità, senza entrare nel merito delle valutazioni stesse. Dovrebbe cioè valutare se una decisione è stata raggiunta con una disamina completa e esauriente dei fatti, e non se la decisione sia condivisibile o meno nel merito. Pur essendo questa distinzione alquanto opaca, resta evidente dall’esperienza recente la ritrosia del giudice amministrativo ad inoltrarsi in indagini complesse nelle quali la valutazione circa la equilibrata considerazione dei diversi elementi in gioco difficilmente può essere separata da quella di merito sul modo con cui le analisi condotte sono state sviluppate.
Questo aspetto problematico appare di importanza crescente laddove i procedimenti antitrust hanno via via accresciuto negli ultimi anni anche in Italia, sia per l’approccio seguito dalla Commissione Tesauro che per la impostazione promossa in modo netto dalla Commissione Europea, l’importanza dell’analisi economica per la valutazione di un caso. Oggi sempre più in tutte le materie di intervento, controllo delle concentrazioni, intese e abusi di posizione dominante, l’Autorità antitrust ha abbandonato un approccio meramente formalistico, sviluppando una valutazione che entra nel merito dell’analisi economica dell’impatto delle condotte seguite sul funzionamento dei mercati e sul benessere dei consumatori. La valutazione antitrust appare oggi assai più complessa e economics based di quanto non fosse un decennio fa.

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Due meccanismi di verifica

Questa evoluzione senz’altro positiva pone tuttavia il modello amministrativo europeo di enforcement antitrust sotto una notevole tensione: la non completa separazione tra ruolo dell’accusa e ruolo di giudizio, entrambi interni all’Autorità stessa, assieme ad una valutazione in sede di appello limitata agli aspetti di correttezza formale del procedimento lasciano un potenziale spazio di discrezionalità al giudizio delle Autorità, laddove le valutazione economiche alla base di una decisione non trovino un sufficiente controllo di merito né nel dibattimento presso l’Autorità (per la insufficiente separazione dei ruoli) né in sede di appello (per il rifiuto a sviluppare considerazioni di merito).
Ritengo che molte delle critiche che, in modo più o meno larvato, sono state avanzate in questi anni alle decisioni della Commissione Tesauro, critiche che sembrano oggi guardare con favore alla prospettiva di un maggior dialogo con le imprese indicata nella relazione del Presidente Catricalà, possano trovare la loro vera ragione nell’insoddisfazione, motivata o meno che sia, per i meccanismi di checks and balances che hanno caratterizzato il recente passato dell’Autorità italiana.
In questo senso alcune importanti innovazioni che sono stati promosse alla Direzione Generale per la Concorrenza (DGComp) della Commissione Europea dall’allora Commissario Monti possono offrire una risposta che preservi l’approccio di netta separazione dei ruoli tra Autorità e imprese ma al contempo venga incontro all’esigenza di un pieno bilanciamento dei ruoli dell’accusa e della difesa nell’ambito dei procedimenti antitrust.
Mi riferisco in primo luogo alla creazione della figura del Chief Economist, che risponde direttamente al Commissario alla Concorrenza, e del team di collaboratori di cui questi si avvale, nucleo separato dall’organizzazione degli uffici che istruiscono i casi ma che viene coinvolto nella valutazione di questi in duplice veste. In alcuni casi i funzionari del Chief Economist team (CET) sono coinvolti sin dall’inizio di una indagine, offrendo un contraltare all’analisi svolta dagli uffici che ne vagli in modo indipendente e continuativo la solidità delle argomentazioni economiche; in altri casi il CET interviene quando l’attività istruttoria è conclusa, offrendo al Commissario alla concorrenza una valutazione indipendente del caso. La separazione organizzativa e di carriera dei membri del CET rispetto ai funzionari della DGComp consente di creare, all’interno del modello amministrativo europeo, un elemento di reale contraddittorio nel quale il Commissario abbia modo di formarsi una opinione approfondita su un caso, con l’ausilio del CET, in modo indipendente da chi ha istruito l’indagine.
Un secondo meccanismo di verifica interna della solidità delle argomentazioni di un caso è quello della peer review, organizzata all’interno della DGComp creando un fittizio contraddittorio tra il gruppo che ha portato avanti una indagine e un altro gruppo di funzionari che deve sottoporre ad un vaglio critico stringente gli argomenti proposti dall’accusa.
Ruolo del CET e peer review rappresentano due ulteriori e significative tappe con cui il modello amministrativo di enforcement dell’antitrust europeo ha cercato in anni recenti di venire incontro all’esigenza di un pieno bilanciamento degli argomenti di accusa e difesa. Riteniamo che un analogo sviluppo in sede italiana possa costituire un modo per rispondere a quanti accusano la Commissione antitrust di una difesa precostituita degli argomenti proposti dagli uffici, sviluppando una rete di controlli che comparino la solidità di tali argomenti e di quelli proposti dalle imprese. Questa funzione appare tanto più importante in quanto consentirebbe di vagliare con maggior rigore una serie di argomentazioni di natura economica per le quali il giudice amministrativo è restio per sua natura e missione ad entrare in sede di appello, colmando quel vuoto di verifiche che oggi a volte può manifestarsi.

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