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Un 5 per mille da spendere in volontariato e ricerca

La Finanziaria 2006 introduce in via sperimentale la possibilità per il contribuente di scegliere di destinare il 5 per mille del gettito Irpef al sostegno del volontariato, al finanziamento della ricerca o ad attività sociali svolte dal suo comune di residenza. E’ un provvedimento atipico di spesa pubblica. Si tratta dell’ennesimo intervento nel campo del non profit, senza però un disegno coerente. E niente garantisce che alle maggiori risorse così ottenute non corrisponda una diminuzione di quelle stanziate dal bilancio dello Stato per questi scopi.

L’articolo 45 del disegno di legge finanziaria 2006 introduce in via temporanea e sperimentale un nuovo meccanismo di spesa pubblica tra le misure su “Sostegno alle famiglie, alla solidarietà, alla ricerca e sviluppo”. Il meccanismo ripropone con alcune differenze l’8 per mille Irpef. Si prevede che il contribuente possa scegliere di destinare una quota del gettito Irpef, pari al 5 per mille, alle seguenti finalità: sostegno del volontariato; finanziamento della ricerca, scientifica e sanitaria, e dell’università; attività sociali svolte dal comune di residenza del contribuente.

Un provvedimento di spesa

Va innanzitutto chiarito che, pur riguardando l’imposta sul reddito, si tratta di un provvedimento di spesa, atipico perché la decisione di spesa, sia nel quantum (entro un tetto massimo) che nella destinazione, è demandata dallo Stato ai contribuenti. Infatti verrà destinato a titolo di 5 per mille del gettito Irpef solo l’importo risultante dalle scelte che saranno effettuate dai contribuenti. Pertanto, se tutti dovessero esprimere la scelta di destinare il 5 per mille, l’esborso per lo Stato sarebbe di 660 milioni di euro. La Relazione tecnica al disegno di legge stima infatti in 131.911 milioni di euro il gettito Irpef di competenza 2006. Se, poniamo, solo il 10 per cento dei contribuenti decidesse in tal senso, l’esborso si ridurrebbe a 66 milioni di euro. La Relazione tecnica stima in 270 milioni di euro la maggiore spesa, assumendo una percentuale di adesioni del 41 per cento, pari a quella che si registra per l’8 per mille. Il meccanismo è riferito al 2006, ossia ai redditi e quindi all’Irpef relativi al 2006, dunque la scelta del contribuente potrà essere effettuata in sede di dichiarazione dei redditi da presentarsi nel 2007. Sarà quindi solo a partire da quell’anno (ma più realisticamente dal 2008) che si registrerà la spesa a carico del bilancio dello Stato.

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Un confronto tra 5 e 8 per mille

Vi sono affinità e differenze tra i due meccanismi del 5 e dell’8 per mille. Come per l’attuale 8 per mille, il singolo contribuente non destina una quota della “sua” Irpef; anche chi ha un debito Irpef nullo, con la sua scelta partecipa alla ripartizione del gettito complessivo. L’8 per mille venne introdotto per rispondere a una precisa esigenza di finanziamento della Chiesa cattolica e in seguito di altre confessioni religiose. Con questo meccanismo il contribuente può scegliere come ripartire l’8 per mille del gettito Irpef complessivo tra sette opzioni alternative: la Chiesa cattolica, altre confessioni religiose e lo Stato, che è vincolato a utilizzare le risorse per interventi straordinari quali la fame nel mondo, le calamità naturali, gli interventi caritativi, eccetera. (1)
Per il singolo contribuente partecipare o meno alla decisione, ossia esprimere o meno la scelta, incide sulla ripartizione delle risorse, non sull’ammontare che resta predeterminato: 8 per mille del gettito Irpef, pari a circa 900 milioni di euro. Quindi, chi consapevolmente non effettua la scelta, esprime indifferenza su come ripartire i fondi, non esprime invece una preferenza perché i fondi siano spesi per altri scopi dallo Stato.
Viceversa con il proposto 5 per mille, il contribuente con la propria scelta decide se destinare o meno questa quota del gettito Irpef complessivo ai settori prescelti (volontariato, ricerca, etc.); la scelta incide quindi sia sul quantum di risorse, sia sulla loro distribuzione. Quindi chi consapevolmente non effettua la scelta, esprime la preferenza perché i fondi siano spesi per altri scopi dallo Stato. La scelta resta comunque vincolata. I settori ai quali è possibile destinare il 5 per mille sono soltanto tre: volontariato, ricerca e attività sociali locali, e non altri. Inoltre, a differenza di quanto accadrebbe se le risorse venissero destinate direttamente dai privati, in forma di erogazione liberale, la distribuzione delle risorse tra i soggetti beneficiari verrà determinata con apposito decreto del presidente del Consiglio dei ministri. Non sorprende che nelle prime reazioni il provvedimento sia stato accolto con una certa diffidenza da parte del settore non profit.

Manca un disegno coerente

Il 5 per mille viene presentato dal Governo come l’avvio di un cambiamento di rotta nei rapporti tra pubblico e privato e come uno strumento innovativo, pensato per ampliare le possibilità di scelta volontaria dei cittadini nel finanziamento dei settori di interesse collettivo. A ben vedere, si tratta dell’ennesimo intervento in un campo in cui è mancato in questi ultimi anni un disegno coerente di intervento. Mentre la legge delega fiscale, rimasta poi inattuata, aveva prospettato un riordino delle agevolazioni fiscali con l’obiettivo di premiare il non profit, il volontariato, le attività svolte nel campo sociale, si è invece approvato un provvedimento, noto come “più dai meno versi”, inserito nel decreto competitività (legge 80/2005), che ha notevolmente ampliato le agevolazioni esistenti, utilizzando uno strumento (quello delle deduzioni), che finisce per premiare i contribuenti a maggior reddito e non, come sarebbe più opportuno, l’ammontare e la regolarità delle erogazioni liberali al non profit. Un altro ambito della legge delega, anch’esso rimasto inattuato, conteneva la detax; a fine 2003 si è invece introdotto a titolo sperimentale un meccanismo denominato nello stesso modo, ma nei contenuti ben differente. Anche questo peraltro rimasto sulla carta per assenza di regolamentazione attuativa.

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Uno strumento efficace?

Il 5 per mille resta un provvedimento atipico di spesa, che come tale deve essere inquadrato nell’ambito più generale delle decisioni di bilancio dello Stato. Il meccanismo in sé avrebbe una ragione d’essere se le decisioni di spesa dello Stato non fossero modificabili ex post in funzione delle preferenze espresse ex ante dai contribuenti. Viceversa, se si guarda al bilancio pubblico e alle decisioni di spesa nel complesso, nulla garantisce che le decisioni di spesa espresse dai contribuenti non siano spiazzate da decisioni di segno opposto dello Stato. Ad esempio, a fronte di maggiori risorse destinate con il 5 per mille al sostegno del volontariato, potrebbe corrispondere una diminuzione di risorse allo stesso fine stanziate dal bilancio dello Stato.


(1)
Va però tenuto conto che 80 milioni all’anno, circa l’80 per cento del totale, sono stati sottratti a queste destinazioni dalla legge finanziaria del 2004.

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  1. carlo borzaga

    L’articolo coglie bene le debolezze della proposta del 5 per mille. Si tratta non solo di un intervento del tutto estemporaneo, ma con esso il Ministro dimostra di conoscere assai poco di come è strutturato e di come funziona il settore nonprofit nel nostro paese. Infatti le risorse sono destinate non al settore nonprofit nel suo complesso, ma solo ad una parte dello stesso (le organizzazioi di volontariato), cioè a quella parte impeganta in modo molto limitato, e generalmente non continuativo, proprio nella produzione di servizi di interesse collettivo che il provvedimento sembra voler agevolare. Non potranno invece beneficiare delle risorse del 5 per mille nè le cooperative sociali nè quelle associazioni che hanno come proprio scopo la produzione in via continuativa e professionale di servizi di interesse collettivo. E’ probabile che il proponenete con “volontariato” intenda riferirsi al settore nonprofit nel suo complesso, ma così dimostra di ignorare sia il lavoro di ricerca sviluppato in questi anni, sia la stessa legislazione che ha normato separatamente le organizzazioni di volontariato (iscritte in un apposito albo) dalle cooperative sociali e dalle organizzazioni di promozione sociale. Ciò rafforza la sensazione di improvvisazione e di assenza di un disegno generale sottolineata nell’articolo

  2. Luca Amendola

    Il problema principale di questa proposta è che si contrappone servizi sociali e ricerca. Chi da’ il 5×1000 alla ricerca, toglie qualcosa ai servizi sociali e viceversa, creando un contrapposizione assurda, oltretutto senza il riparto del totale come per 8×1000. Perche’ allora non mettere in “competizione” Chiesa e ricerca oppure Chiesa e servizi sociali ? Forse allora la scelta migliore sarebbe di mettere tutti i soggetti sullo stesso piano e ripartire, anche con scelte multiple, una quota Irpef prefissata (ovvero, poter scegliere di ripartire in parti uguali il proprio, e solo il proprio, 8×1000 a servizi sociali+ricerca+Valdesi etc).

  3. Anna C

    Ma in Italia si lavora troppo o troppo poco? Due articoli diversi, due prospettive diverse.
    Tuttavia come possono i dati ufficiali tenere conto di una particolare tipologia di lavoro “nascosto”, lo straordinario non retribuito e non dichiarato? Secondo la cultura dominante, un certo numero di ore oltre le canoniche 8 costituisce parte imprescindibile dei doveri di un lavoratore dipendente. Nel settore terziario, dei servizi, non si tratta di un fenomeno marginale, ma piuttosto della regola. Un segreto di pulcinella che permette alle imprese di avvantaggiarsi di ore di produttività gratuita ed esentasse. Come sarebe possibile, pertanto, aumentare le ore lavorative per favorire l’auspicata crescita economica? E poi, scusate, crescita o benessere?
    Perché non indagare, invece, su questo tipo di lavoro “nascosto” e i suoi costi-benefici, anche dal punto di vista dell’evasione fiscale?

  4. Giulio

    La ringrazio dell’articolo, tuttavia ho alcune domande:
    1) perche’ definisce il 5 per mille un provvedimento di spesa. In realtà si tratta di un vincolo di spesa, o meglio una mancata entrata, concetti di per sé diversi.
    2) perche’ dice che “Il meccanismo è riferito al 2006, ossia ai redditi e quindi all’Irpef relativi al 2006, dunque la scelta del contribuente potrà essere effettuata in sede di dichiarazione dei redditi da presentarsi nel 2007. Sarà quindi solo a partire da quell’anno (ma più realisticamente dal 2008) che si registrerà la spesa a carico del bilancio dello Stato”. In realtà, da quanto mi risulta, si potra’ dichiarare la propria adesione al 5 per mille sin dalla prossima dichiarazione dei redditi, e quindi sull’esercizio 2005, o no?
    3) nel giudizio che da’ della +dai -versi (“finisce per premiare i contribuenti a maggior reddito e non, come sarebbe più opportuno, l’ammontare e la regolarità delle erogazioni liberali al non profit”) non è chiaro il concetto. Mi perdoni. Ma è proporzioanale la cosa con un tetto comuqnue massimo. Sfugge inoltre cosa intenda per ammontare e regolarita’.
    4) Ha probabilmente ragione a segnalare come il 5 per mille potrebbe dimostrarsi un boomerang per il non profit. Tuttavia mi pare che spinga il non profit alla crescita, al dinamismo, e svincoli i finanziamente pubblici verso il non profit dai cosiddetti “favori temporanei”, non le pare?
    5) mi sorprende infine che, far tutte le cose che si possono dire non colga l’innovazione del provvedimento, e parallelamente i rischi che sono a mio modesto parere altri:
    a) equiparare le attività del comune di residenza in ambito sociale a quelle del non profit mette sullo stesso piano pubblico e privato. E’ rischioso, penso. Ma da un governo di centrodestra non posso certo aspettarmi diversamente, non le sembra? Il rischio maggiore è quello di mettere sotto il calderone del “sociale” tutto ciò che compartecipa ad una migliore coesione sociale, ignorando pero’ i ruoli.

    • La redazione

      Gentile lettore,
      premetto che rispetto alla formulazione della disciplina del 5 per mille da me commentata (contenuta nel disegno di legge finanziaria 2006), la versione definitivamente approvata (nella legge finanziaria 2006) contiene alcune modifiche migliorative (in particolare tra i beneficiari vengono incluse le ONLUS, le associazioni di promozione sociale, etc.).
      Ma soprattutto (e così rispondo anche alla sua domanda 2), la disciplina del 5 per mille è stata modificata dal Decreto legge n. 273 del 30 dicembre 2006 (art. 31, comma 2). Tale decreto ha stabilito, in via interpretativa, che la disciplina del 5 per mille si applica già al periodo d’imposta 2005, quindi con un anno di anticipo rispetto a quanto si evinceva dall’art. 1, comma 337, della legge finanziaria 2006. Pertanto, come lei nota correttamente, le scelte del 5 per mille si potranno effettuare già in sede di dichiarazione dei redditi 2005; a tal fine come saprà è stato recentemente emanato il Decreto attuativo del Presidente del Consiglio dei Ministri del 20 gennaio 2006, che ha introdotto novità anche nel funzionamento concreto del 5 per mille.
      Sull’anticipo di un anno dell’entrata in funzione del 5 per mille si pone a mio avviso un problema di copertura finanziaria; nella Relazione tecnica alla legge finanziaria il costo del 5 per mille, quantificato in 270 milioni di euro, veniva registrato a carico del bilancio dello Stato del 2007. Con il decreto legge n. 273 la spesa viene a ricadere sul bilancio del 2006, senza che ciò trovi copertura alcuna (si veda la Relazione tecnica al medesimo decreto legge). Ma più realisticamente l’esborso per lo Stato avverrà nel 2007, dopo che verrà accertato a consuntivo il gettito Irpef 2005. Quindi sarà in quell’anno che verranno erogate le risorse del 5 per mille ai beneficiari.
      Venendo alle altre sue domande:
      1) non si tratta di una mancata entrata (l’Irpef verrà corrisposta ed incassata dallo Stato nei modi usuali); anche se atipico, è un provvedimento di spesa nel senso che comporterà un esborso aggiuntivo per lo Stato (che senza il 5 per mille non vi sarebbe stato);
      3) la sua domanda necessiterebbe di una risposta più approfondita. Mi limito a dirle che con il “+dai – versi” le donazioni sono deducibili dal reddito Irpef (entro certi limiti). Quindi se due contribuenti, uno povero ed uno ricco, donano lo stesso ammontare, il secondo (che ha aliquote marginali più alte) ottiene un beneficio fiscale superiore. Questo non accadrebbe se, come era in precedenza, la donazione fosse detraibile (in una certa percentuale), anziché deducibile. Più in generale, il fisco dovrebbe premiare l’ammontare della donazione, ossia chi, in rapporto al suo reddito, dona maggiormente. Inoltre, come insegnano alcune esperienze estere (quella inglese in primis), il fisco dovrebbe premiare la regolarità nel tempo delle donazioni (ad esempio chi si impegna a donare ogni anno un certo ammontare per un certo numero di anni), anziché le donazioni una tantum;
      4-5) le confermo la mia impressione che si tratti di un provvedimento, oltre che complicato da gestire sul piano amministrativo, estemporaneo, come d’altra parte conferma il fatto che viene introdotto in via sperimentale e temporanea. Come tale, ho qualche dubbio che il provvedimento possa contribuire, come sostiene lei, a stimolare il non profit “alla crescita e al dinamismo”.

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