La sospensione dei lavori permette una riflessione seria sul progetto di linea ferroviaria Torino-Lione. Si potrebbe rimodularlo in funzione della sola domanda merci e della sua realizzazione graduale nel tempo. Rinunciando all’alta velocità, i costi sarebbero molto ridotti, così come i rischi di una domanda insufficiente. In ogni caso, l’esame deve essere pubblico, condiviso nella metodologia e affidato a soggetti indipendenti. E considerato nell’ambito dell’insieme degli altri grandi progetti infrastrutturali inseriti nelle reti europee.

La sospensione dei lavori di scavo del tunnel di Venaus, che il Governo e le parti interessate hanno concordato nei giorni scorsi, può essere l’occasione per una riflessione seria sul progetto di linea ad alta velocità tra Torino e Lione e, più in generale, sulle grandi opere di collegamento tra l’Italia e la rete europea dei trasporti.
È possibile, in questa fase, andare al di là di un dibattito polarizzato tra chi rifiuta totalmente il progetto per il suo forte impatto ambientale sulla Val di Susa e chi lo difende strenuamente in nome della modernità, dello sviluppo economico e del collegamento internazionale dell’Italia; andare al di là dell’analisi di impatto ambientale dell’opera così come è stata progettata finora e ragionare sulle possibili alternative. Modifiche eventuali che fossero volte a rendere l’attuale progetto più accettabile, sotto il profilo ambientale, per le popolazioni della Val di Susa rischiano di generare un’opera ancora più costosa di quella attualmente prevista, senza che i benefici economici aumentino significativamente (si ricorda che le analisi ufficiali di tipo costi-benefici, che danno risultati sostanzialmente negativi, tengono conto dei costi ambientali).

Utilizzare previsioni ragionevoli

Questo periodo di riflessione dovrebbe servire soprattutto a compiere una valutazione pacata dei costi e dei benefici del collegamento tra Torino e Lione, che assuma previsioni di traffico prudenti e previsioni di costo realistiche, tenendo conto che l’esperienza internazionale mostra come, di solito, per questo tipo di opere, i costi superino di gran lunga le previsioni mentre i traffici siano inferiori a quelli previsti di percentuali analoghe. Nel caso specifico, la più ottimistica previsione è che nel 2020 ci sarà una domanda pari a circa un terzo della capacità che sarà disponibile realizzando l’opera (40 milioni di tonnellate contro almeno 120 milioni), mentre i costi di competenza italiana potrebbero lievitare dai 13 attualmente prevedibili (per la linea nuova, compresa la penetrazione a Torino e il potenziamento di quella storica, comunque necessario a far fronte agli aumenti di domanda prima che la linea nuova sia disponibile) ai 17 miliardi di euro, al lordo dei contributi che potranno venire dall’Unione Europea. Certo è invece che attualmente il traffico merci tra Italia e Francia è in diminuzione e la linea attuale è sottoutilizzata.
Va inoltre notato che le previsioni di traffico cui si è accennato sono effettuate ipotizzando una consistente tassazione dei passaggi dei camion per i valichi stradali. Secondo le stime ufficiali del Gruppo di lavoro intergovernativo italo-francese (1996-2000), infatti, l’opera non contribuirebbe comunque a uno spostamento “spontaneo” di traffico dalla strada alla rotaia: gli aumenti di traffico sulla linea ferroviaria Torino-Lione, se i camion non venissero tassati, sarebbero assai minori di quelli previsti e si avrebbero solo come effetto di spostamento di treni da altre linee ferroviarie.
Il beneficio ambientale e di decongestionamento delle arterie stradali dovuto direttamente al traforo sarebbe quindi molto limitato, se non proprio nullo. Inoltre, sono ovviamente incerti tra venti anni sia gli sviluppi della domanda che delle tecnologie, che su strada o in aereo potrebbero ridurre l’impatto ambientale, soprattutto in presenza di prezzi del petrolio elevati o crescenti.
L’ipotesi di tassare il trasporto stradale per dirottarlo sulla ferrovia appare costosa per le imprese, che già oggi – nonostante l’elevata tassazione dei camion e i sussidi altrettanto elevati alle ferrovie – scelgono in larghissima misura il modo stradale. Una tassazione molto pesante sulle relazioni stradali internazionali, infine, appare incongrua rispetto ai costi ambientali unitari del traffico merci nelle aree urbane e metropolitane, maggiori di un ordine di grandezza, a causa dell’impatto antropico, rispetto a quello di camion pesanti su percorsi extraurbani.
La imminente disponibilità ferroviaria del Loetchberg, e l’avanzato stato dei lavori nel Gottardo potrebbero essere colti come opportunità di riduzione dei costi di investimento per l’Italia, e non come spunto di una competizione persa in partenza sui tempi di realizzazione, anche tenendo conto del fatto che per oltre metà dei traffici verso il Nord-Ovest dell’Europa (una delle direzioni a cui il traforo italiano è rivolto), il percorso dei nuovi valichi svizzeri è più corto di circa 50 chilometri rispetto a quello del Frejus, anche dopo la costruzione del collegamento ad alta velocità.

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Una scala di priorità tra progetti

Infine, bisogna considerare che il Governo italiano ha inserito tra le reti europee anche il secondo tunnel del Brennero, l’alta velocità Milano-Genova, le autostrade del mare, il Ponte sullo Stretto.
È necessario fare una scala di priorità, perché lo stato della finanza pubblica italiana lascia prevedere che non ci siano risorse pubbliche per tutte queste opere, mentre non è ragionevole aspettarsi che tutte ricevano il co-finanziamento europeo. Tra le opere citate, il collegamento Torino-Lione ad alta velocità presenta il massimo costo, i più lunghi tempi di realizzazione ed è inoltre l’unica opera che richiede perfetta sincronizzazione tecnica e finanziaria con uno Stato estero per divenire funzionale: una sua realizzazione parziale, per come l’opera è progettata attualmente, non sarebbe utilizzabile.
È invece del tutto possibile, come del resto suggerito dallo stesso “auditing” del ministero francese competente, rimodulare il progetto di collegamento tra Torino e Lione in funzione della sola domanda merci (visto che la domanda passeggeri prevista è comunque esile, come sottolineato anche dallo stesso assessore ai Trasporti della regione francese Rodano-Alpi), e della sua realizzazione graduale nel tempo. Rinunciando all’alta velocità (sostanzialmente inutile per le merci), i costi sarebbero molto ridotti, così come i rischi di una domanda insufficiente. La capacità per le merci infatti può agevolmente essere aumentata ben al di là di quella, già notevole, ottenibile con il semplice ammodernamento della linea esistente, attraverso interventi gestionali, tecnologici e infrastrutturali mirati a tale scopo e articolabili nel tempo in funzione dell’andamento della domanda (interventi sull’alimentazione, i moduli di stazione, il segnalamento, il materiale rotabile, il modello di esercizio). Una simile revisione del progetto potrebbe, naturalmente, tener conto delle esigenze di raddoppiare i binari nelle vicinanze di Torino al fine di accrescere il numero di tracce disponibili per i treni dei pendolari. In ogni caso, i costi sarebbero inferiori di un ordine di grandezza rispetto al progetto di alta velocità.
Dopo la sospensione dello scavo a Venaus, è necessario procedere a un esame pubblico e aperto a tutte le alternative – condiviso nella metodologia e affidato a soggetti indipendenti dagli interessi in gioco – dell’intero progetto di collegamento ferroviario tra Torino e Lione, nell’ambito dell’insieme degli altri grandi progetti infrastrutturali inseriti nelle reti europee.

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