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Evadere il fisco non merita indulgenze

Recenti stime dicono che in Italia una quota tra il 27 e il 48 per cento del Pil ufficiale viene nascosta al fisco. Per la sottodichiarazione del fatturato e per l’impiego di lavoro irregolare. Ma tra autonomi e dipendenti, la percentuale di reddito non dichiarato è molto alta nei livelli più bassi e decrescente al crescere del reddito. Non per questo l’evasione va guardata con indulgenza. Per tutelare i lavoratori a basso reddito è meglio pensare a nuove politiche del lavoro e a un nuovo welfare. Oltre a eliminare le condizioni che portano al sommerso.

Misurare l’evasione fiscale è un esercizio complesso: usando le parole di Friedrich Schneider, si tratta di “a scientific passion for knowing the unknown”. Le stime fornite da statistici ed economisti utilizzano metodologie necessariamente soggette ad approssimazioni, per la natura stessa del fenomeno e per la scarsa disponibilità di dati. Tuttavia, una migliore comprensione della sua ampiezza e della sua rilevanza nei singoli settori di attività economica è necessaria. La presenza di un’economia nascosta, oltre a distorcere la concorrenza tra imprese e tra consumatori ed essere fonte di iniquità, rappresenta anche una minaccia per la tenuta dei conti pubblici.

Evasione e bassi livelli di reddito

Secondo recenti stime, in Italia una proporzione tra il 27 e il 48 per cento del Pil ufficiale viene nascosto al fisco. (1) Secondo l’Istat, il sommerso sarebbe attribuibile in parti quasi uguali alla sottodichiarazione del fatturato e all’impiego di lavoro irregolare da parte delle imprese. (2) Si è dunque di fronte a un fenomeno di doppia natura, che interessa i lavoratori autonomi e le imprese, ma anche i lavoratori dipendenti.
In un recente lavoro abbiamo studiato la rilevanza dell’evasione tra i lavoratori italiani. Abbiamo confrontato la distribuzione dei redditi da lavoro del 2000 risultante dalle dichiarazioni presentate all’Agenzia delle entrate con quella dell’indagine della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie italiane. Ci siamo concentrati unicamente sui redditi da lavoro, dipendente e indipendente, poiché sono quelli misurati con maggior precisione nel data set della Banca d’Italia. L’ipotesi di base è che un percettore di reddito che nasconde parte del proprio reddito al fisco, potrebbe dichiarare la cifra corretta nel caso in cui gli venga garantito l’anonimato, come avviene nell’indagine della Banca d’Italia. La differenza tra reddito dichiarato a Banca d’Italia e all’amministrazione tributaria rappresenta l’ammontare di reddito “nascosto”. L’assunzione è forte e discutibile, ma frequentemente adottata per la misura dell’evasione fiscale. (3)
I principali risultati della nostra analisi sono due. 1) La percentuale di reddito nascosto al fisco è costantemente più elevata nel gruppo dei lavoratori autonomi che nel gruppo dei lavoratori dipendenti. Come si può rilevare dalla figura 1, a parità di livello di reddito considerato, i lavoratori autonomi evadono tra il 7 il 27 per cento in più rispetto ai lavoratori dipendenti.
2) La percentuale di reddito non dichiarato è, per entrambe le tipologie lavorative, molto elevata per i livelli di reddito più bassi e decrescente al crescere del reddito. Per i lavoratori autonomi, la percentuale di reddito nascosto è 70 per cento nel primo decile, 54 per cento nel secondo, oltre il 30 per cento nel terzo e quarto. Risulta comunque considerevole anche per i livelli di reddito più alti: circa il 20 per cento per quelli superiori al reddito mediano. E comporta una rilevante perdita di gettito, data la progressività dell’imposta sui redditi italiana.
Tuttavia, a differenza di precedenti analoghe analisi, abbiamo rilevato che anche tra i lavoratori dipendenti esiste evasione, pur se solo tra i redditi più bassi: la percentuale di reddito nascosto al fisco è il 63 per cento nel primo decile, il 42 per cento nel secondo e il 24 per cento nel terzo, divenendo pressoché nulla per livelli di reddito maggiori. Si tratta del sintomo di una forte presenza di lavoro nero tra i lavoratori meno qualificati, che accettano di lavorare senza un regolare contratto pur di trovare un’occupazione.

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La doppia natura del fenomeno

Da un lato, ci sono dunque i redditi da lavoro autonomo, occultati all’erario con l’obiettivo di alleggerire l’imposizione fiscale. Dall’altro, i redditi da lavoro dipendente, invisibili anch’essi, ma in questo caso perché percepiti all’infuori di un regolare contratto di lavoro.
Quali sono le caratteristiche dei lavoratori dipendenti che evadono le imposte? Dall’analisi empirica risulta che i lavoratori dipendenti che percepiscono redditi più bassi sono tendenzialmente giovani, più probabilmente donne, non coniugati e non qualificati, impiegati nel settore agricolo o nei servizi domestici. Inoltre, hanno spesso un contratto a tempo determinato o part-time.
Un’altra spiegazione della decisione di evadere deriva dall’analisi dell’incidenza delle imposte: senza evasione per ogni livello di reddito da lavoro dipendente e indipendente, l’imposta media sarebbe più elevata del 4 per cento. In altre parole, l’evasione permette di integrare l’esiguità del reddito dei lavoratori in occupazioni part-time, a tempo determinato e sotto-qualificati.
Per mancanza di dati, la nostra analisi si occupa solo del reddito da lavoro, mentre è probabile che molta evasione riguardi altre tipologie di reddito. Tuttavia, possiamo porci un’ultima domanda: se il fenomeno si concentra nei redditi bassi, non è forse il caso di essere più indulgenti?
A nostro parere ci sono due aspetti rilevanti della questione. Innanzitutto, non tutti i contribuenti che percepiscono un reddito basso evadono le imposte e l’evasione introduce disuguaglianze tra individui altrimenti uguali. Inoltre, chi evade le imposte generalmente non versa contributi sociali che dovrebbero servire a incrementare il reddito in momenti di difficoltà (malattia, maternità, vecchiaia, eccetera).
L’occultamento del proprio reddito al fisco può essere una scelta oculata di un individuo razionale e previdente che scommette sulla sua possibilità di rimanere in buona salute e di ottenere migliori rendimenti investendo in mercati dei capitali piuttosto che in un sistema pensionistico che non lo tutela adeguatamente. Oppure, può essere la sola opzione di un individuo che non ha molto potere contrattuale nel mercato del lavoro ed è costretto ad accettare un lavoro in nero. Se questa ultima possibilità non può essere esclusa, uno sguardo indulgente al fenomeno dell’evasione dei redditi da lavoro e, più in generale, al lavoro irregolare, non può essere giustificato. Crediamo piuttosto sia necessario pensare a nuove politiche del lavoro e a un nuovo welfare, in grado di tutelare i lavoratori con redditi minori, e di eliminare le condizioni che li inducono a operare nel sommerso.

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Figura 1

(1) Schneider, F. (2000a). “The increase of the size of the shadow economy of 18 Oecd countries: some preliminary explanations”. Ifo Working Paper, (306).
(2) Istat (2005), La misura dell’economia sommersa secondo le statistiche ufficiali, anno 2003.
(3) Per una discussione approfondita delle limitazioni statistiche di tale approccio, dei possibili effetti della distorsione del campione sui risultati ottenuti e per una esposizione più dettagliata dei risultati si veda Fiorio e D’Amuri (2005). L’articolo completo è disponibile al link:
http://www.econpubblica.unibocconi.it/folder.php?vedi=2632&tbn=albero&id_folder=1306

 

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Un reddito minimo contro l’esclusione sociale

  1. Andrea Bussola

    Si legge in una ricerca pubblicata in questi giorni (fonte: http://www.agi.it/), che solo un cittadino su quattro capisce perche’ paga le tasse. Tre su quattro si considerano sudditi di una amministrazione finanziaria troppo burocratizzata che spesso viola i diritti dei contribuenti.

    Che dire? … Buon Anno!

  2. Giuseppe

    In questo articolo non viene considerata l’evasione derivante dagli affitti delle case in nero. E’ una vera piaga che sottrae al fisco cifre enormi e che fa lievitare il prezzo degli immobili.

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