Nel pubblico dibattito, in Italia come altrove, molto spesso viene dato per scontato che i contributi previdenziali scoraggino lofferta di lavoro e quindi loccupazione. Limplicazione è che uno dei modi di aumentare loccupazione sia di ridimensionare la previdenza sociale. Il ragionamento sottostante è molto semplice. I contributi previdenziali, siano essi a carico del lavoratore o del datore di lavoro, sono una tassa e contribuiscono quindi ad allargare il cuneo dimposta sul lavoro. In altre parole, riducono il beneficio monetario netto che una persona ricava dal lavorare unora, una giornata o un anno in più e di conseguenza lincentivo a erogare quella quantità aggiuntiva di lavoro (ovviamente a parità di retribuzione unitaria). Anche su questo sito, Maria Cecilia Guerra e Silvia Giannini includevano i contributi previdenziali nel computo del cuneo. Ma è giusto considerare i contributi previdenziali alla stregua di unimposta? Beveridge o Bismarck? La risposta è diversa a seconda che si stia parlando di un paese anglosassone come Stati Uniti o Gran Bretagna, oppure di un paese europeo continentale come Francia, Germania o Italia. Quando cè il cuneo In una recente nota dimostro formalmente che, in un sistema alla Beveridge, i contributi previdenziali danno necessariamente luogo a un cuneo dimposta sul lavoro, o allargano quello creato dallimposizione sul reddito. (1) Viceversa, in un sistema alla Bismarck, i contributi possono dar luogo a un cuneo e pertanto costituire un disincentivo al lavoro soltanto a certe condizioni. In talune circostanze, il sistema previdenziale può addirittura essere un incentivo a lavorare. Vediamo perché. I livelli di occupazione Come si spiega allora che i paesi anglosassoni tendono ad avere un livello di occupazione maggiore rispetto a quelli continentali? Una spiegazione è che loccupazione non dipende solo dalla politica pensionistica. Unaltra è che i sistemi anglosassoni sono più “leggeri” di quelli continentali. Pur restando vero che la stessa aliquota contributiva disincentiva il lavoro di più in un sistema alla Beveridge che in uno alla Bismarck, loccupazione potrebbe infatti essere più alta nei paesi anglosassoni semplicemente perché laliquota è più bassa. (1) Cigno, A., “Is There a Social Security Tax Wedge?” IZA DP n. 1967, February 2006. (3) Disney, R., “Are Contributions to Public Pension Programmes a Tax on Employment?” Economic Policy, July 2004, pp. 267-311
I primi hanno sistemi pensionistici pubblici alla Beveridge, dove le prestazioni possono variare da una persona allaltra sulla base di certe caratteristiche personali, ma non in base ai contributi eventualmente versati. In tali paesi la quantità di lavoro erogato e i contributi versati da una persona non hanno alcun effetto sul trattamento pensionistico della persona stessa. I contributi previdenziali sono pertanto unimposta a tutti gli effetti (la social security tax).
Il secondo gruppo di paesi si è invece dato un sistema pensionistico alla Bismarck, dove le prestazioni aumentano per la stragrande maggioranza dei cittadini con i contributi pagati. Fanno eccezione soltanto coloro i quali otterrebbero così una pensione inferiore a un certo minimo o superiore a un certo massimo politicamente determinato. Per queste minoranze di molto poveri o molto ricchi, i contributi pensionistici costituiscono unimposta. Per tutti gli altri, i contributi sono invece una forma di risparmio, ancorché forzoso.
Poniamo che il rendimento implicito dei contributi previdenziali sia diverso da quello che una certa persona potrebbe ottenere, a parità di rischio, investendo liberamente sul mercato. Se è minore, il contribuente sta in effetti pagando unimposta implicita. Se è maggiore, sta ricevendo un sussidio implicito. (2) Qualora limposta aumentasse o il sussidio si riducesse allaumentare del reddito sarebbe allora vero che, a parità di altre condizioni, il beneficio monetario netto di lavorare unora, una giornata o un anno in più è inferiore al salario orario, giornaliero o annuale. Altrimenti non sarebbe vero e non ci sarebbe cuneo. Si noti che questultima proposizione è vera sia che si tratti di unimposta o di un sussidio. Non è quindi vero che unimposta disincentiverebbe e un sussidio incentiverebbe a lavorare. Ciò che conta è come varia limposta o il sussidio al variare del reddito e quindi della quantità di tempo lavorata.
Cosa succede se il contributo pagato da un lavoratore è più alto dellammontare che egli avrebbe volontariamente risparmiato? Se il lavoratore è in grado di eliminare leccesso prendendo a prestito a un tasso dinteresse pari al tasso di rendimento del contributo, la sua offerta di lavoro e il suo benessere rimarranno inalterati. Altrimenti, il suo benessere si ridurrà e la sua offerta di lavoro tenderà ad aumentare per cercare di riportare il consumo presente al livello desiderato. In presenza di unimposta implicita crescente o sussidio implicito decrescente al crescere del reddito la distorsione derivante dal razionamento del credito tenderà quindi a compensare quella di segno contrario derivante dal cuneo dimposta. Se dovesse predominare la prima, il risultato netto sarebbe non una riduzione, ma un aumento dellofferta di lavoro (anche se a costo di una riduzione del benessere). In ogni caso, il disincentivo a lavorare sarà minore, a parità di aliquota contributiva, se il sistema pensionistico è di stile continentale invece che di stile anglosassone.
In un suo articolo, Richard Disney mette in relazione il tasso di partecipazione maschile e femminile in un certo numero di paesi dapprima con laliquota contributiva e poi con le componenti “imposta” e “risparmio” della stessa. (3) La partecipazione maschile risulta essere insensibile sia allaliquota che alle sue componenti. Per contro, la partecipazione femminile risulta negativamente correlata sia con laliquota che con la sua componente imposta, ma positivamente correlata con la componente risparmio. Tutto questo è coerente con il ragionamento teorico che abbiamo fatto.
La procedura seguita da Disney può essere criticata perché è basata su dati aggregati e perché calcola laliquota contributiva come quella quota dei salari che dovrebbe essere versata nelle casse del fondo pensioni per mantenerlo in equilibrio nel lungo andare. Sappiamo invece che laliquota effettiva non è sempre stata quella dequilibrio. Sappiamo inoltre che in alcuni paesi, in particolare lItalia prima delle riforme Amato e Dini (e ancora adesso finché lultima riforma non va a regime), vi sono state disparità di trattamento previdenziale. Per un test convincente della teoria bisogna quindi aspettare analisi basate su dati individuali.
Alla luce della corsa al pensionamento anticipato da parte di alcuni, e a costosi “riscatti” e “ricongiungimenti” da parte di altri, verificatisi in Italia dopo lannunzio dellultima riforma previdenziale, mi sembra però di poter escludere sin da ora lipotesi che il cittadino non si renda conto del legame fra contributi e trattamento previdenziale, o che non agisca di conseguenza. Non assumiamo quindi che i contributi previdenziali siano una tassa sul lavoro e non lasciamoci convincere troppo facilmente a smantellare la previdenza sociale.
(2) Questo si può verificare nelle fasi iniziali di uno schema pensionistico a ripartizione, quando i primi pensionati ricevono una pensione pur non avendo pagato contributi per gran parte della propria vita attiva, nel qual caso il prezzo del regalo sarà pagato dalle generazioni successive, oppure in periodi di rapida crescita, quando il tasso di rendimento sostenibile è superiore al tasso dinteresse. In Italia hanno ricevuto sussidi impliciti le coorti nate fra il 1940 ed il 1945.
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