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Aspettando (ancora) la liberalizzazione

Il prezzo dell’elettricità in Italia resta ai vertici europei, mentre nel gas abbiamo attraversato un inverno a rischio grazie al monopolista nazionale che blocca lo sviluppo delle infrastrutture. Il disegno di legge del ministro Bersani dà solo indicazioni generiche. Forse riparte il processo di liberalizzazione dei mercati energetici. Ma a Eni si dovrebbe imporre di cedere la rete gas. E nell’elettricità occorrerebbe sviluppare meglio la rete di trasmissione, potenziando i collegamenti, per evitare le congestioni.

Forse riparte il processo di liberalizzazione dei mercati energetici – e le imprese italiane sanno quanto ce ne sarebbe bisogno. Il prezzo dell’elettricità in Italia resta ai vertici europei, mentre nel gas abbiamo attraversato un inverno a rischio grazie al monopolista nazionale che blocca lo sviluppo delle infrastrutture. Il paese non può permettersi una situazione del genere.
Il disegno di legge del ministro Pierluigi Bersani (già autore nel 1999 di una riforma del mercato elettrico importante quanto incompiuta) per altro dà solo indicazioni generiche e sembra quasi una delega in bianco all’interno di linee condivisibili quanto ancora da chiarire. Cosa servirebbe al paese?

Emergenza gas

La primaria emergenza è nel settore del gas, e non solo per le difficoltà di approvvigionamento, ma anche perché bruciare gas è a tutt’oggi il principale modo di generare energia elettrica. Poca concorrenza sul mercato del gas significa poca concorrenza anche sul mercato elettrico, ovvero costi elevati per le imprese.
Ma la concorrenza è un mezzo, non un fine in sé. E un mezzo che sarebbe funzionale non solo ad abbassare i prezzi, ma anche ad aumentare la sicurezza del paese. È per questa ragione che la liberalizzazione del settore sarebbe una eccellente notizia per tutti. Ma questo richiede interventi coraggiosi, che non sarà facile condurre in porto.
Ad esempio, una delle principali ragioni della carenza di offerta di gas in Italia è la posizione di Snam Rete Gas, impresa del gruppo Eni, proprietario e gestore della rete che

– decide la “dimensione” dei gasdotti in entrata in Italia, ovvero decide quanto gas si può importare;
– decide se il gas di altri operatori (diversi da Eni) può passare attraverso la rete (per sottrarre clienti a Eni).

È facile vedere come sicurezza degli approvvigionamenti e concorrenza (ovvero, possibilità di avere prezzi bassi) vadano a braccetto. Da un lato, aumentare la capacità di importare gas significherebbe aumentare la sicurezza del paese, ma anche aumentare la concorrenza nel settore (i tetti antitrust esistenti sono tali, che il nuovo gas non potrebbe essere “di Eni”).
Dall’altro, se un’impresa vuole costruire impianti di “rigassificazione”, che consentirebbero di aumentare le importazioni di metano in forma liquida, evidentemente chiede la garanzia di poterlo proporre ai suoi clienti: ma senza l’assenso di chi gestisce la rete, questo non è possibile.
In questi anni, le richieste di potenziamento delle importazioni sono state sistematicamente eluse da Eni con vari pretesti. Allo stesso modo, diversi progetti di costruzione di rigassificatori sono in Italia bloccati (anche) per questa ragione: se la rete è controllata dall’unico soggetto che sarebbe danneggiato da questi impianti, capite bene quale sia il suo interesse.
Ma allora abbiamo un’impresa a cui è stato dato un ruolo centrale nel sistema energetico del paese e che su questo fronte (non su tutti, per carità) opera contro il paese. E il fatto che questa impresa sia controllata dal Tesoro comporta, oltre al danno, la beffa. Il potere dei manager (unito alle ragioni di cassa del Tesoro, a cui i profitti di Eni hanno sempre fatto comodo) fa sì che un pezzo del settore pubblico agisca contro gli interessi del paese.
Un primo rimedio potrebbe essere la sostituzione dei manager e amministratori dell’impresa, ma molto più efficace sarebbe di imporre a Eni di cedere la rete: non una riduzione della quota di Eni, ma il suo azzeramento. Solo la totale indipendenza della rete può dare garanzie a riguardo.

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Lo stato dell’elettricità

Il caso del settore elettrico è un po’ diverso, quanto meno perché tra pochi anni (ma comunque non domani) l’entrata in funzione di diverse centrali di generazione già in costruzione dovrebbe aumentare sostanzialmente l’offerta e (si spera) ridurre i prezzi. Ma i prezzi sono e resteranno elevati ancora per parecchio.
Una delle ragioni è la presenza di congestioni nella rete. In altri termini, lungi dall’avere un unico mercato nazionale ben integrato, al cui interno l’energia prodotta al Nord può liberamente arrivare al Sud, oggi abbiamo delle strozzature che limitano la quantità di energia che può passare. Il risultato è che in certe zone del Sud la domanda è superiore all’offerta e i prezzi restano più elevati del necessario; mentre al Nord alcune centrali non producono quanto potrebbero perché la rete non è capace di far arrivare ai clienti finali tutta l’energia prodotta. E questo, si noti, si scarica sul prezzo medio dell’energia elettrica di tutto il paese (Nord incluso).
Per rimediare, occorrerebbe sviluppare meglio la rete di trasmissione, potenziando i collegamenti. Peccato che da un anno a questa parte – per una sciagurata controriforma del passato Governo – la rete di trasmissione elettrica sia tornata sotto il controllo di Enel. Questa impresa farà gli investimenti che sarebbero necessari per abbassare i prezzi dell’energia elettrica (ovvero per ridurre le rendite di posizione di Enel e degli altri generatori)? Qualcuno è disposto a scommettere?
Anche qui, la separazione tra chi gestisce la rete e chi la usa per vendere (i generatori) sarebbe essenziale. Non affiderei mai lo sviluppo di una infrastruttura all’unico soggetto che potrebbe esserne danneggiato.
Questi provvedimenti si scontrano contro un’ovvia obiezione. Le reti sono proprietà delle imprese (Eni ed Enel), le quali sono per circa il 70 per cento nelle mani di investitori privati. Per altro, le reti hanno un valore, hanno un rendimento praticamente certo perché determinato dal regolatore, ed esistono investitori pronti ad acquistarle a valori di mercato. Non mi sembra che la vendita sarebbe un dramma.
Anche se sarebbe sempre meglio evitare interventi strutturali su imprese private, questo è vero. Ma sarebbe anche meglio se queste imprese private non avessero sfruttato la loro posizione per imporre al paese prezzi troppo elevati e difficoltà di approvvigionamento. Se la responsabilità delle imprese non ha saputo temperarne i comportamenti, un intervento sulla loro struttura è l’unico rimedio.
Non sappiamo cosa intenderà fare il Governo sulla base della delega che si appresta a chiedere, ed effettivamente l’attuale sistema ha bisogno di molti correttivi. Ma senza questi interventi strutturali, il resto sarebbero pannicelli caldi.

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12 commenti

  1. Diego

    Salve. Il dubbio che ho leggendo delle opportunità relative alla privatizzazione del sistema energetico italiano (anche dividendo la rete distributiva dal sistema di aprovigionamento e produzione) è molto forte. Come possiamo pretendere che soggetti privati vadano, a proprio discapito, a modificare gli equilibri che permettono di lucrare di una posizione di monopolio naturale (la rete distributiva questo è in realtà vedi Autostrade per l’Italia o Telecom)?. l’unica soluzione sarebbe quella di una autorità che imponesse i prezzi e regolasse il mercato in modo da rendere le imprese costrette a investire e innovare per garantirsi un margine adeguato agli investimenti fatti. Questo però se non accade ora come potrà accadere in futuro?,lo sviluppo di un paese è compatibile con gli interessi di un monopolista di fatto? lo stato se ora non ha la forza di imporre le proprie condizioni alle imprese da se stesso controllate come potrà imporle a privati?.

    • La redazione

      Caro lettore,
      in realtà una rete indipendente, i cui ricavi dipendano da tariffe regolate e magari da un indice di qualità (ovvero da quanto le congestioni vengono ridotte) avrebbe ogni incentivo a funzionare correttamente. Una rete che funzioni bene aiuta la concorrenza, ma – si noti – non la concorrenza a se stessa… aiuta la concorrenza tra chi genera energia elettrica (o chi vende gas). Quindi non avrebbe interesse a restringere la concorrenza, anzi. Così come Autostrade non ha interesse a ridurre il traffico, al contrario! Più persone usano la rete, meglio è per chi gestisce la rete…
      A meno che – come avviene oggi – chi vende gas (o produce energia elettrica) ha un peso talvolta del tutto preponderante nelle decisioni sulla rete stessa. Se sviluppare la rete riduce le colossali rendite che derivano dal mercato “all’ingrosso”, allora abbiamo un problema: è questo lo snodo decisivo.
      Forse più ancora nel gas che nell’elettricità, ma fare chiarezza in entrambi i settori sarebbe desiderabile.

  2. Mario Zen

    Sarebbe da correggere la affermazione che la rete di trasmissione elettrica è ritornata all’Enel. E’ vero il contrario: la rete è proprietà della Terna che è uscita dall’Enel e si è fusa con il Gestore della Rete.
    Sul tema del costo dei servizi e sul costo dell’energia, c’è da dire che ci si attende miracoli da mutamenti degli assetti proprietari, mentre invece l’esperienza insegna (Francia) che in un mercato monopolistico (EDF), e per giunta di stato, l’energia costa molto meno che in Italia.
    Per comprendere qualcosa dell’Italia bisogna allora partire dal fatto che per produrre un kW di energia elettrica servono 3 etti di olio combustibile o 4 etti di carbone, che il consumatore normale paga i costi dei contributi per dare gli extra utili ai produttori delle cd. energie rinnovabili (che tali spesso non sono) e che tra accise e imposte locali tutti si servono del portafoglio del consumatore.
    Tre domande. 1) In molte zone del paese la rete Enel è stata ceduta ai comuni. Perché questi non hanno abbassato la tariffa? 2) Perché per introdurre un po’ di concorrenza non si supera il concetto di tariffa unica nazionale, così che possa esserci un confronto tra diversi distributori?
    3) visto che l’Enel produce oggi il 30% dell’energia elettrica è solo l’assetto della offerta il responsabile dei prezzi alti o questo dipende dai costi?
    Sui servizi a rete c’è stato in Italia un dibattito agli inizi del ‘900, conclusosi con le nazionalizzazioni (ferrovie) e municipalizzazioni (acquedotti ecc.).
    Cos’è cambiato oggi rispetto allora? Si è davvero convinti che l’introduzione di regole sempre più complicate sia il rimedio a comportamenti parassitari o monopolistici, o che la moltiplicazione degli attori serva, da sola, alla autoregolazione del mercato? Nel 2004 c’è stato il primo black out elettrico dagli anni ’60, è c’è stata qualche difficoltà a capire anche solo chi ne era responsabile.

    • La redazione

      Caro lettore
      sul primo punto, preciso e insisto. Ciò che conta non è tanto chi possiede la rete, ma chi la gestisce. E ieri la rete era gestita da un operatore indipendente, mentre ora è gestita da un operatore al cui interno l’unico operatore elettrico è Enel. Che si guarda bene dal “tenersi fuori” dalla gestione, anzi. Terna non è uscita da Enel (nè viceversa). E se veramente Terna non fosse considerata un asset strategico da Enel, Enel ne uscirebbe. Se stanno lì non è certo a fini “ornamentali”…
      Sul resto.
      1) non confondiamo distribuzione e vendita, e ricordiamo che almeno per un altro annetto le tariffe dell’energia elettrica per i piccoli consumatori sono determinate dal regolatore. Non da chi vende l’energia elettrica.
      2) Che dire… sono d’accordo. Ma di nuovo distinguiiamo.
      Se parla della tariffa unica nazionale dell’energia venduta noti che questa tariffa non c’è più per i consumatori “non domestici” (circa il 75% del mercato) e che per le utenze domestiche ha ancora solo un anno di vita. Forse la demagogia nazionale cercherà di ritardare ancora questo momento, ma vedremo che succede. In teoria, non manca tanto.
      Se parla della tariffa di distribuzione, che i consumatori finali non pagano direttamente, ma va a formare il prezzo finale, sarebbe molto auspicabile quanto lei dice. Purtroppo non è facile effettuare questi confronti in modo “chiaro” dal punto di vista del diritto. Confrontare il costo della distirbuzione a Milano e quello della montagna sopra Belluno – come può ben
      capire – significa confrontare realtà molto diverse, e costituisce quindi una questione delicata (soprattutto dal punto di vista giuridico).
      3)Ormai Enel è a circa il 50% della produzione nazionale e produce circa il 40% (andiamo molto “a spanne”) di quanto viene consumato in Italia. Quanto conta questa posizione (forse non “dominante” ma senza dubbio molto importante)
      rispetto ai nostri prezzi record? E quanto conta invece la collusione che secondo alcuni abbiamo tra Enel e altri produttori? E quanto contano le nostre scelte tecnologiche passate?
      E’ difficile rispondere in modo preciso, ma temo che tutti questi fattori contino. Noti che per altro – e su questo rinvio alla eccellente indagine conoscitiva congiunta delle autorità antitrust e dell’energia (disponibilie sui rispettivi siti http://www.agcm.it e http://www.autorita.energia.it) vi sono fasce orarie
      nelle quali nella quasi totalità delle ore è proprio Enel a “fare” il prezzo.
      Vi sono zone del paese nelle quali di nuovo è quasi sempre Enel a “fare” il prezzo. La quantità prodotta “in media” non dice tanto….

      cordiali saluti

      carlo scarpa

  3. venturoli massimiliano

    Buongiorno dopo aver letto l’ articolo mi pongo e Vi pongo un quesito semplice, se non puerile:
    Una liberalizzazione dell’energia ha un costo per il bilancio delo Stato italiano?
    Se, come credo, la liberalizzazzione dell’ energia non ha un costo, diretto sul bilancio dello stato, perchè non si può varare una liberalizzazione ( controllata ) del settore? Sarebbe tanto drammatico far entrare nel mercato dell’ energia Iataliana aziende Europee del settore? Lederemmo un’ interesse Mazionale?
    Mi sembra che come ” metodologia” nell’ affrontare i problemi del Paese, il Governo Prodi, non differisca molto dal Governo Berlusconi ( lo stesso Governo Berlusconi aveva una ” desionalità” simile ai migliori Governi Democristiani ).
    Sono francamente stanco di aspettare riforme, o propste di Riforme, necessarie al Paese.
    Il Governo Prodi cerca di nascondere il proprio ” immobilismo”, giustificandolo, attraverso una situazione del ” bilancio drammatica”. Ma le Riforme che non hanno costi, sul bilancio, perchè non si avviano?
    Nel Programma dell’ Unione non vi era scritto tutte le soluzioni del Paese?! Bene varate i provvedimenti promessi!!!!
    Vorrei ricordare al Governo Prodi ” che ogni promessa è debito”, non fanno eccezzione, le promesse elettorali!!

    Venturoli Massimiliano

    NB. sono un ellettore dell’Unione.

    • La redazione

      Caro sig. Venturoli,
      la liberalizzazione ha purtroppo un costo. Pensi che nel 2004 tra dividendi Eni+Enel e vendita di quote azionarie di queste imprese il tesoro ha incassato una cifra non lontana da 10 miliardi (di Euro…). Però questi incassi sono avvenuti a spese del cittadino, e sono una sorta di imposta implicita, che non si chiama ufficialmente “tassa”, e quindi ha un minore impatto sul dibattito elettorale, ma che ha lo stesso effetto.
      Liberalizzare significherebbe rinunciare a buona parte di questi soldi, e se sarebbe probabilmente desiderabile per il paese avrebbe però ripercussioni sulla finanza pubblica. Il che non mi fa cambiare idea, ma dobbiamo sapere quali conseguenze vi potrebbero essere.
      Quanto alla valutazione dell’operato del governo, non sono d’accordo (almeno per il momento). Il disegno di legge Bersani va nella direzione giusta, e ora dobbiamo solo aspettare per vedere come sarà attuato. Se da qui a sei mesi/un anno non avrà avuto effetti concreti, allora sarò d’accordo con lei.
      Su una cosa sono d’accordo. Che i tentativi che Prodi – a quanto pare, leggendo i giornali – avrebbe fatto a favore del campione nazionale elettrico in Francia e di quello del gas in Russia restino in un’ottica poco chiara, di scambio tra
      governi e non di liberalizzazione. Ma anche qui, poichè non mi fido troppo dei giornali, vedremo in concreto che succede…

      cordiali saluti

      carlo scarpa

  4. Davide

    Buongiorno prof. Scarpa, vorrei, a proposito di liberalizzazioni e privatizzazioni, farle una domanda.
    I profitti persi con la privatizzazioni, i problemi per arrivare ad una effettiva concorrenza, il rischio che anche questa premi non il migliore comportamento, ma il più bravo a fare profitti e a escludere gli altri per tornate in monopolio o per creare un oligopolio, non può essere il segnale che l’era delle privatizzazioni ha dato il suo verdetto di sconfitta? Più che lasciare le gestioni ai privati non sarebbe meglio istituire dei nuovi soggetti che vanno sotto il nome di “gestori indipendenti”, ovvero organi tecnico amministrativi indipendenti dalla politica? D’altra parte lei sa meglio di me che la bontà delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni non è così chiara nè teoricamente nè empiricamente. Tutto questo proprio mentre la Corte UE ci convoca per il Golden share, obbligandoci di fatto ad accettare le pratiche liberiste.
    Cordiali Saluti

    • La redazione

      caro lettore,
      vi sono attività che si prestano ad organismi amministrativi (la regolazione).
      La gestione di attività di impresa in mani “burocratiche” mi pare
      assolutamente da evitare. La concorrenza – se fatta bene – fa emergere i migliori a fare profitti (ovvero a tenere bassi i costi e a offrire ai consumatori beni o servizi che i consumatori acquistano). Non c’è nulla di male. Ma la concorrenza deve essere organizzata bene, non lasciando posizioni dominanti (Eni o Enel) e non lasciando a queste grandi imprese il potere di
      bloccare il trasporto di energia.
      La concorrenza in se non è un fine, ma può essere un eccellente mezzo per abbassare i prezzi. La privatizzazione in se può essere un bene o un male, ma ricordiamo cosa sono state le imprese pubbliche in Italia, gli sprechi clamorosi associati al clientelismo, ecc. Troviamo un equilibrio, ma senza nostalgie…
      Cordiali saluti
      carlo scarpa

  5. mikecas

    E’ un discorse corretto, quello che ho letto, ma non esamina tutti i fattori. Non sono affatto sicuro che la liberalizzazione sia sempre la soluzione migliore, specialmente in presenza di un monopolio di produzione. In quel caso un contraente sufficientemente forte e’ essenziale.
    Questo non giustifica sicuramente i monopoli nella distribuzione e vendita, ma non fa della completa liberalizzazione solo del settore finale la panacea per tutti i mali. Un maggiore controllo pubblico (non proprieta’, o non solo) sarebbe piu’ importante.

  6. Paolo Rocca

    Ho solo un dubbio: se il prezzo dell’energia dovesse diminuire, temo che perderemmo un’opportunità di evitare sprechi.
    Infatti non credo che, soprattutto nelle imprese, sia stato fatto tutto ciò che è possibile per il risparmio energetico e per la necessaria differenziazione delle fonti a seconda dell’uso.

  7. Sergio Marotta

    Illustre professor Scarpa,
    mi occuperò soltanto del settore elettrico.
    La domanda è la seguente: è possibile che in un settore dove la bolletta per le famiglie è aumentata dal 1° luglio del 5,8% (6,9% in media nazionale); dove sulle famiglie (e non sull’ex monopolista) gravano e graveranno fino al 2009 i cosiddetti stranded cost, con cui vengono rimborsati i privati che hanno acquistato le centrali vendute dall’ENEL e la stessa ENEL per le centrali che ancora possiede; dove l’aumento del prezzo del petrolio e del gas fa aumentare praticamente ad ogni trimestre il costo del Kwh per le famiglie; dove parte dell’energia elettrica consumata viene importata dalla Francia (che tra l’altro detiene il 50% di Edison, il secondo produttore nazionale, attraverso Edf); è possibile che una eventuale riduzione percentuale delle tariffe determinata dalla eliminazione della congestione della rete e delle strozzature tra nord e sud possa significativamente ridurre i costi dell’elettricità?
    Sergio Marotta

  8. Paolo Fornaciari

    Molti sono convinti che liberalizzando il settore energetico si potranno ridurre le bollette di elettricità e gas. Non é vero! Ma quale mercato ci può essere quando, come nel nostro Paese, il costo di generazione dell’energia termoelettrica dipende per l’80 per cento dal costo degli idrocarburi, il cui prezzo, soggetto a “cartello” e non a “mercato” non è contendibile? Più che “liberalizzare e privatizzare”, occorre “diversificare” le fonti energetiche, usare anche noi come fa tutta Europa più carbone e ritornare al nucleare per la generazione di energia elettrica. Poi ci lamentiamo se le nostre bollette elettriche sono doppie di quelle francesi, triple di quelle svedesi e del 60% maggiori della media UE ! In questa situazione é molto difficile per le nostre imprese competere! La concorrenza, almeno nel caso dell’energia elettrica non basta, non serve, può al contrario essere controproducente come è accaduto in California nel 2001, in quanto la mancata certezza sul numero degli utenti scoraggia gli operatori elettrici ad investire. Oggi si punta tutto sul gas : l’altro ieri l’allora AD all’ENI, Vittorio Mincato, affermava “di gas ne abbiamo anche troppo che non sappiamo dove metterlo” e il suo successore, Paolo Scaroni : “l’Italia ha scelto di andare a tutto gas e non si può tornare indietro”, vantandosi che l’Italia sia l’unico Paese al mondo che produce elettricità al 60% con gas naturale. Poi è bastata la crisi tra Russia e Ucraina per riaprire il problema e passare dalla “bolla” di Mincato alla “riserva di 12 giorni” di Scaroni! La verità è che il problema non si risolve né con il mercato e la concorrenza, né con il gas e la costruzione di qualche rigassificatore di LNG. Il gas non é la soluzione del problema energetico del futuro. Il progetto di costruire nuovi gasdotti e rigassificatori, non pare quindi una proposta né conveniente, né ecologica, né intelligente.

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