Un cambiamento radicale, cominciato però con un passo falso. Infatti la riforma della fiscalità degli immobili entrata in vigore il 4 luglio col decreto legge 223/06 sta per essere corretta dal Governo: alcune proposte su come dovrebbe essere rettificata la normativa fiscale appena entrata in vigore.

Un cambiamento radicale, cominciato però con un passo falso. Infatti la riforma sulla fiscalità degli immobili entrata in vigore il 4 luglio col decreto legge 223/06 sta per essere corretta dal Governo: è bene che venga trasformata in contributo positivo per un settore fondamentale per la crescita economica del Paese. L’industria immobiliare è stata caratterizzata da un contesto favorevole in questi anni e ne ha largamente beneficiato, ma ha visto comparire nuovi attori che stanno dando un contributo importante per portare trasparenza in un campo spesso opaco. I fondi immobiliari, i grandi investitori istituzionali e fondi pensione internazionali e società quotate hanno invece portato in questi anni professionalità e di trasparenza.
L’obiettivo di ridurre l’evasione fiscale in questo campo non può fare a meno del contributo di questi attori, per ora attivi nel campo dei beni immobili strumentali. Vediamo dunque in quale direzione andrebbe rettificata la normativa fiscale appena entrata in vigore.

Il decreto in via di cambiamento

Il decreto come attualmente configurato comporta che tutte le operazioni attive di società in materia di locazione e di cessione di immobili diventino esenti da IVA e soggette all’imposta di registro. Questo significa che la nuova imposta diventa un costo pari al 10% della transazione (al 7% del registro sono da aggiungere le imposte ipotecarie e catastali complessivamente pari al 3%): quindi un aggravio non da poco per le imprese. L’abbandono dell’Iva ci avvicina certo a molti altri casi in Europa, dove però le aliquote applicate sono assai più contenute. Inoltre, la base imponibile dell’imposta di registro per i beni immobili è diventata pari al maggiore tra il valore dichiarato ed il prezzo pattuito. Il valore dichiarato è infatti pari al valore di mercato del bene, ma se esso equivale al valore catastale l’ufficio del registro non potrà accertare valori maggiori. Questa circostanza è rilevante perché l’imposta di registro finora riguardava solo le transazioni che coinvolgevano le persone fisiche, dove la dichiarazione del corrispettivo effettivo era spesso omessa a favore dell’indicazione del valore catastale. Dunque il gettito risultava ridotto in quanto calcolato sul valore catastale. In base alla riforma così come risulta ad oggi le imprese dovrebbero assoggettare gli atti di trasferimento immobiliare all’imposta di registro e, poiché tra imprese il prezzo dichiarato è necessariamente quello effettivo, questo comporterebbe un aumento sostanziale del carico fiscale. L’unico caso in cui si applica ancora l’Iva riguarda attualmente le cessioni di fabbricati fatte da imprese costruttrici e da imprese che fanno interventi di ristrutturazione, purché effettuate entro cinque anni dall’ultimazione dei lavori.
Così come è configurato il Decreto porterebbe quasi inevitabilmente ad un rallentamento del numero di transazioni e quindi potrebbe tradursi in minori entrate. Per non parlare dell’effetto sulla minor liquidità del mercato del settore uffici.
C’è poi l’aspetto più controverso ed al quale occorre senz’altro porre rimedio che riguarda i soggetti che hanno effettuato acquisti di immobili a partire dal 1998 mediante un recupero dell’IVA a suo tempo detratta. Ma questo sembra già superato negli emendamenti che il Governo presenterà nei prossimi giorni.
Il Decreto così come è configurato comporta una riduzione immediata del 10% circa del rendimento di fondi immobiliari e di investimenti immobiliari nel settore business. Ed infatti anche questo si è già riflesso sulla capitalizzazione dei titoli del Real Estate. Per i fondi immobiliari (collocati secondo Assogestioni per circa 18 miliardi di euro nel nostro Paese presso quasi 500.000 risparmiatori) l’impatto è stato meno significativo principalmente per la scarsa liquidità che caratterizza ancora il mercato di questi strumenti finanziari.

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Come cambiare

E’ ben noto quanto sia complesso trovare le risorse per ridurre il deficit, ma se l’obiettivo dichiarato dell’Esecutivo è di coniugare equità, risanamento e sviluppo, non è possibile perdere buona parte del contributo alla crescita di un settore chiave. Il primo passaggio consiste quindi nel modificare l’impatto sul pregresso, possibilmente cancellandolo del tutto: è inutile negare che soprattutto questo passaggio ha generato un certo sconcerto presso gli investitori istituzionali, specie esteri, in un momento in cui non ne abbiamo certo bisogno. Siccome il fine è anche quello di recuperare l’evasione e questa riguarda principalmente le compravendite e i contratti di locazione effettuati in campo residenziale occorre intervenire soprattutto in questo settore inducendo i privati a dichiarare il valore effettivo delle transazioni. Ed è importante per ottenere ciò coinvolgere attivamente soggetti, come i fondi immobiliari, che sono implicitamente portatori di trasparenza.
Se si intende perseguire la strada dell’imposta di registro occorre allinearsi alle aliquote in vigore negli altri Paesi (3,5% in Germania e 4,65% in Francia), mentre con l’attuale riforma diventerebbe più del doppio. L’opzione del doppio regime (scelta tra Iva accresciuta o imposta di registro ai livelli del Decreto) che sembrerebbe delinearsi come soluzione sarebbe certo preferibile alla situazione attuale, ma introduce elementi di complessità nel quadro e nella stima dl gettito. L’importante è comunque – qualunque sia la scelta – che l’imposizione sia in linea con quella che vige in Europa, altrimenti si assisterà ad una caduta delle operazioni e quindi del gettito. Se invece si vuole mantenere l’aliquota del decreto, sarebbe possibile considerare come imponibile il valore catastale anche per le operazioni per le persone giuridiche. Per semplificare e ridurre l’evasione si potrebbe a questo punto adottare lo stesso sistema per imprese e privati tassando i trasferimenti con l’imposta di registro sul valore catastale (mantenendo le agevolazioni sulla prima casa), eliminando anche arbitraggi a seconda del soggetto che fa la transazione. Ancor meglio sarebbe il tendere a pagare le tasse sul valore effettivo della transazione introducendo il principio della deducibilità ai fini delle imposte dirette: insomma un’assoluta trasparenza sui valori effettivi e sui guadagni realizzati. Calibrando l’aliquota si potrebbe ottenere il gettito auspicato e ridurre l’opacità fino ad ora tollerata. Il fine di ridurre l’evasione si persegue anche estendendo l’operatività di società quotate e internazionali, e dei fondi immobiliari al residenziale, dove essa si annida, rendendo più trasparente il mercato degli affitti ai privati.
Qualunque sia la scelta, il regime Iva andrebbe comunque almeno mantenuto per gli investimenti di lungo periodo in beni strumentali.
Sarebbe inoltre il caso che una riforma così importante, come indica lo statuto del contribuente, trovi applicazione in tempi più ragionevoli e quindi dal 1 gennaio 2007.
In sintesi occorre superare gli effetti del pregresso e applicare un’imposta effettiva sugli immobili in linea con quella presente in Europa. Sistemi semplici che puntino ad una riduzione sensibile dell’evasione dando anche fiducia ai contribuenti. Si tratta d’incentivare le transazioni sia per aumentare il gettito che per accrescere la liquidità del mercato. Se questo atto di fiducia non fosse poi accolto positivamente dal mercato si potrebbe già a breve rivedere le aliquote all’insù, avendo però cercato di coinvolgere i vari attori in uno sforzo virtuoso. Non è difficile prevedere che attraendo investitori istituzionali portatori di trasparenza in un settore sinora caratterizzato da opacità e mancanza di mercato come quello immobiliare, specie nel residenziale, in un arco di tempo ragionevole tutti (o quasi) pagherebbero le imposte. Pagare tutti per pagare meno, ma non ci sono scorciatoie.

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