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Le reti tra pubblico e privato

Ha senso lamentarsi della inefficienza delle reti private in Italia? Intanto, solo due sono davvero private: telecomunicazioni e autostrade. La prima non è scadente, mentre per la seconda va ricordato che la privatizzazione è avvenuta in assenza di un’autorità di regolazione. Nelle Tlc il confine tra infrastruttura e servizio è labile: separare la rete dal servizio implica il rischio di bloccare future innovazioni. A tutto danno dei consumatori. Né una eventuale proprietà pubblica della rete dà molte garanzie sul piano degli investimenti.

Le reti tra pubblico e privato, Carlo Scarpa

La vicenda di Telecom Italia e della eventuale separazione della rete Tlc è tanto sentita da richiedere probabilmente qualche chiarimento. Se in precedenza ho trattato più in generale il tema delle politiche industriali di questo governo, conviene tornare ora sulla questione più specificamente di attualità, anche per rispondere a tanti commenti a quel mio articolo.

Pubblico e privato: lasciamo perdere le guerre di religione…

Il tema della preferibilità del pubblico rispetto al privato credo debba essere trattato in modo non ideologico. Almeno qui, evitiamo tenzoni sui massimi sistemi.
Giusto per focalizzare il problema, ricordo che per discuterne gli economisti fanno riferimento a una figura ideale, quella del cosiddetto dittatore benevolente, ovvero di un soggetto (“lo Stato”) che ha tutto il potere (per questo un “dittatore” – termine che in questo contesto non si oppone a quello di democrazia) e che lo usa nel migliore interesse collettivo (quindi, “benevolente”). Sul fatto che tale dittatore benevolente (se fosse talmente potente da avere anche tutte le informazioni rilevanti) sarebbe il modo più efficiente di gestire l’economia, credo tutti gli economisti (anche i più liberisti) sarebbero d’accordo.
Purtroppo, al di là della evidente difficoltà di disporre in un unico “ufficio” di tutte le informazioni rilevanti per il sistema economico, il problema è che nessun governo è del tutto onnipotente o pienamente benevolente. Il fatto che all’interno delle imprese di proprietà pubblica si facciano spazio obiettivi diversi dal benessere sociale è ben noto anche nella letteratura internazionale. Alcuni di questi fini possono essere “nobili”, per quanto impropri, ad esempio lo sviluppo delle aree più arretrate. Altri, certo, lo sono di meno, si pensi al clientelismo. In Italia è stato per molti decenni una prassi generalizzata e con pochi limiti. E ancora oggi paghiamo le politiche scellerate che per anni e anni hanno gonfiato le assunzioni alle Poste o alle Ferrovie.
Ma “il privato” è meglio? I confronti internazionali non danno conforto né a questa tesi né a quella opposta (in tanti paesi il settore pubblico non è gestito per niente male). Temo che la risposta “pratica” non possa che appoggiarsi su quanto ciascuno di noi crede del settore pubblico italiano, ovvero se sia effettivamente riformabile rispetto al passato e gestibile in modo efficiente. Io sono scettico, e molto, ma posso capire che altri la pensino diversamente.
Ricordo la vecchia battuta di Giulio Andreotti, secondo il quale esistono due tipi di pazzi, quelli che si credono Napoleone e quelli che credono di riformare le Ferrovie dello Stato (e temo che qualcosa di simile valga per Alitalia). Al di là delle battute, l’interrogativo sulla possibilità di gestire in modo efficiente il sistema pubblico italiano, con la mentalità della nostra amministrazione, i contratti di lavoro del settore pubblico, la “sensibilità” del mondo politico nazionale alle spinte dei diversi “portatori di interessi” attorno a queste imprese è molto serio. Vorrei che i fautori del ritorno al pubblico ricordassero perché a un certo punto in Italia si è cercato di privatizzare tutto il privatizzabile. Fu una questione di debito pubblico, ma non solo, non dimentichiamolo.
Temo che in Italia il settore pubblico non sarà mai gestito come vorremmo, ma è evidentemente una mia valutazione sulla base dell’esperienza nazionale e della cultura politica del nostro paese, non una verità assoluta. Anche perché a fronte di un dittatore benevolente che non esiste, dovremmo avere un regolatore la cui “benevolenza” (diciamo disinteresse) non è certo assicurata. Il confronto è comunque tra alternative imperfette.

Le reti in Italia: pubblico e privato

Andando nello specifico, ha senso lamentarsi della inefficienza delle reti private in Italia? Attenzione perché di grandi reti veramente private ce ne sono solo due: telecomunicazioni e autostrade. Il resto fa sempre riferimento o a imprese in massima parte di proprietà pubblica locale (acqua) o a imprese il cui vertice è nominato dal governo italiano (ferrovie, energia elettrica e gas), direttamente o con il concorso della Cassa depositi e prestiti.
E queste reti private funzionano davvero male? Quella di telecomunicazioni non sarà perfetta, ma non può certo dire che sia scadente. Sulla banda larga si può fare di più, questo è sempre vero, ma in generale i confronti con altri paesi avanzati (si vedano ad esempio, i rapporti Ocse) non ci vedono certo perdenti.
Le autostrade? Qui qualche punto dolente c’è, e sono il primo a dirlo. Ma notate che si è fatta una privatizzazione senza autorità di regolazione. Non è facile dire se alcune inefficienze sono dovute alla proprietà privata dell’attuale gestore (prima era meglio? Siamo sicuri?) o non piuttosto alla assenza di un’Autorità di regolazione dei trasporti. Che era prevista nel programma dell’attuale maggioranza e speriamo sia istituita. Dare la colpa al privato temo non sia possibile: in mancanza di controlli pubblici degni di questo nome, il fatto che un monopolista privato non si comporti in linea con gli interessi della collettività non deve certo sorprendere.

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Le reti e lo sviluppo della concorrenza

Per quanto attiene invece lo sviluppo della concorrenza, rilevano almeno due aspetti, che molti tendono a confondere, ovvero (i) la separazione tra rete e servizi e (ii) la proprietà della rete (pubblica o privata). Conviene analizzarle separatamente.
Il cosiddetto progetto Rovati (in sé discutibile, ma non scandaloso) contiene la proposta di separare la rete dal servizio, al fine di favorire la concorrenza tra chi voglia utilizzare la rete per fornire servizi. Il principio è di facile enunciazione, ma non sempre di facile applicazione. Per fare un esempio, nel gas è facile identificare la rete (i tubi) e separarla dal servizio (l’approvvigionamento del gas, e poi la vendita). Nella telefonia, invece, la rete è “bi-direzionale”, ovvero connette utenti, che acquistano non un bene (come il gas) ma soprattutto il servizio stesso di connessione (a un’altra utenza, a una banca dati, e così via).
Quale è il confine tra “rete” e “servizio”? I servizi offerti dalle imprese di telefonia sono strettamente legati alle infrastrutture, tanto che qualcuno sostiene che la rete “è” il servizio. Anche se questa è probabilmente una visione estrema, tracciare una demarcazione tra infrastruttura e servizio è estremamente delicato, con ampi margini di arbitrarietà. Ma c’è di peggio. Come è ormai riconosciuto anche da appositi comitati Ocse, la separazione della rete – in generale, si pensa a quella locale, il cosiddetto local loop o “ultimo miglio” – può danneggiare l’innovazione.
Immaginiamo infatti di separare oggi la rete dal servizio, secondo criteri che oggi possiamo ritenere ragionevoli, e che quindi separeranno alcune funzioni e infrastrutture, attribuite alla “rete”, e altre “adiacenti” che invece saranno assegnate all’impresa di servizio. Se domani emergesse una possibile innovazione che però richieda di svolgere congiuntamente le due funzioni separate in precedenza, avremmo un problema. In altri termini, il confine tra rete e servizio (oltre a essere arbitrario) si sposta nel tempo in un modo che è difficile prevedere. E ingessare la situazione – separando le due cose – rischia di bloccare future innovazioni. A tutto danno dei consumatori.
Non credo si possa dire in assoluto che la separazione è “bene” o “male”, ma senza dubbio presenta rischi da non sottovalutare in un settore molto innovativo come le telecomunicazioni.
L’ultimo aspetto della proposta è quello della proprietà pubblica della rete (separata). A che serve? A garantire i concorrenti? Ma se la rete è già separata dal servizio, che dubbio abbiamo? Il gestore della rete che non operi nei servizi di telefonia sarà strutturalmente neutrale, la proprietà pubblica che cosa aggiunge?
Potrebbe aggiungere forse qualche garanzia sugli investimenti? La risposta è sì solo se crediamo nel dittatore benevolente. Ma se guardiamo la storia dei programmi di investimento, ad esempio delle Ferrovie dello Stato, la percezione è un po’ diversa. Per decenni non si è investito dove serviva, ma dove era politicamente opportuno, secondo criteri che prescindevano dalle esigenze del sistema di trasporti e risultavano solo funzionali a consolidare il consenso politico. Non dico che debba essere necessariamente, sempre così. Ma non facciamoci illusioni.

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Il sonno dello Stato regolatore, di Alfredo Macchiati

Fa bene Carlo Scarpa a raccomandare che, nel dibattito sulla proprietà delle reti, si evitino guerre di religione. Tanto seguo la sua raccomandazione che provo a estremizzarla: la proprietà può essere largamente irrilevante a condizione che vi sia una regolazione che funzioni.
E forse quello che, in questi anni, è mancato è stata proprio la capacità della regolazione di controllare investimenti (rivelatisi troppo bassi) e redditività (troppo alta) per molte (ma non tutte) le reti. Le telecomunicazioni potrebbero, in questa prospettiva, rappresentare una eccezione, almeno per quanto riguarda la redditività, come dimostra la forte riduzione del Roe di Telecom, pari a circa 13 punti tra il 1997 e il 2005 (1), anche se è comune a tutti i principali operatori incumbent europei di Tlc. Cosa direbbero le altre utility se fossero state sottoposte a una simile cura dimagrante?

Quale regolazione

Il trattamento differenziale tra le varie utility solleva il problema di come assicurare una qualche omogeneità ai processi di regolazione e di apertura alla concorrenza, per evitare indesiderati (?) processi di redistribuzione, omogeneità che oggi in Italia è un obiettivo lontanissimo. Qui una politica economica riformatrice avrebbe larghi spazi di manovra.
Affermare che la proprietà sia irrilevante, rispetto allo sviluppo delle reti, non esclude che vi possano essere motivi di sicurezza nazionale per tenerla in mani italiane. Ma anche questo aspetto non costituisce un vero problema. Soluzioni compatibili con il diritto comunitario sono infatti possibili: vi sono decisioni della Corte di giustizia che hanno affermato che laddove è in gioco un interesse pubblico è ammissibile un regime di opposizione per il ministero competente che annulli qualsiasi decisione di cessione di “attivi strategici”.
Rimane il problema di come far funzionare la regolazione di modo che la proprietà, pubblica o privata che sia, faccia gli interessi della collettività. Anche qui ci sono ampi spazi per nuove politiche pubbliche o meglio per una nuova strumentazione.
In primo luogo, rispetto a semplici schemi di breve periodo come il price cap, si potrebbe considerare una regolazione maggiormente basata sul tasso di rendimento, in modo da incentivare esplicitamente gli investimenti realizzati. (2) Le recenti misure annunciate dal ministro Di Pietro di subordinare gli incrementi tariffari delle autostrade alla effettiva realizzazione degli investimenti vanno in questa direzione. Inoltre, si potrebbe valorizzare maggiormente lo strumento dell’indirizzo governativo nei confronti dei gestori delle reti.
indirizzo governativo è previsto nel settore elettrico e in quello ferroviario anche se non appaiono chiare le modalità attuative di tale potere. La previsione di sanzioni per l’inadempimento agli obblighi di sviluppo, anche qualitativo, della rete potrebbe rafforzare la credibilità di questi poteri di indirizzo. (3) In tal modo si potrebbe anche correggere il supposto orientamento “shortemista” che a volte si paventa soprattutto per le imprese proprietarie di reti che sono quotate. È curioso come sia del tutto assente una discussione sull’efficacia di questi (o altri) strumenti.
Possiamo a questo punto considerare la situazione delle reti un caso di fallimento del mercato (incluso quello dei capitali)? Mi sembra piuttosto un caso di (parziale) fallimento della regolazione e delle politiche pubbliche. Ma può darsi che solo le ipotesi di rinazionalizzazione (o più semplicemente di supplenza dell’investitore pubblico) abbiano l’effetto di risvegliare la sonnolenza dei policy maker in materia regolatoria con passioni autentiche, mai definitivamente sopite. Vi ricordate il dottor Stranamore?

(1) I dati sono presi da L. Prosperetti, “1998, 2003, 2010: Is Europe going fast enough?” dattiloscritto, 2006
(2) Così come accade, a partire dal 2004, per la rete di trasmissione elettrica.
(3) Sul punto si veda più estesamente F. Gobbo, “Reti materiali e immateriali” in Arel, Informazioni, 5/2005.

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22 commenti

  1. Patrizia Paciello

    Tralasciando le considerazioni teoriche e di studio, pur sempre molto interessanti,vi sottopongo un problema pratico che ritengo di condividere con altri “consumatori” di tlc: per svariati motivi ho abbandonato Telecom per scegliere un altro operatore, di cui avrei piacere di acquistare anche i servizi di TV via cavo; purtroppo però le caratteristiche del mio doppino telefonico (rete Telecom) non mi consentono la ricezione dei programmi e non penso che Telecom sia ansiosa di fare investimenti di miglioramento solo per consentire ad un suo concorrente di accrescere il proprio fatturato. Con buona pace di tutti i discorsi sulla liberalizzazione, la mia possibilità di scelta, unica vera arma di un consumatore, è garantita in linea teorica, ma completamente vanificata nella realtà e non si può proprio dire che gli operatori concorrano a parità di condizioni.

  2. Tiziano

    E’ sufficiente separare “l’ultimo miglio” che deve essere di proprietà del signolo utente in una modalità pubblica (quindi statale) per garantire la libera scelta dell’operatore e quindi la vera concorrenza. I signoli operatori provvederanno ad innovare la propria rete per portare il miglior servizio alla migliore convenienza.

    • La redazione

      Credo che infatti il dibattito sia proprio sull’ultimo miglio, perché le reti “nazionali” (la cosiddetta backbone) vede già la presenza di diversi operatori.
      C. S.

  3. claudio debetto

    Egregio Professor Scarpa,
    a proposito del suo articolo le segnalo l’intervento del corrispondente di Panorama da Parigi a rai3 di stamattina.
    In breve il giornalista afferma che in Francia, dove lo Stato controlla in modo rigoroso la telefonia e di rete e di servizi, la concorrenza tra i vari gestori è vera, tant’è che una offerta che sta avendo un successo strepitoso consente, con meno di 30 euro mensili, di telefonare senza limiti in quasi tutto il mondo, di ricevere 100 canali televisivi e internet a banda larga 24 ore al giorno.
    Come faranno?

    • La redazione

      ..Come dicevo esistono anche paesi ove il settore pubblico non è per nulla male, anzi…! Li invidio, ma allora forse dovremmo vendere le reti ai francesi e non preoccuparci della loro “italianità”…

  4. marcello

    Vivo in una città cablata, milano. e il cablaggio non mi è stato fornito dal monopolista di fatto che controlla la rete della telefonia fissa in un tutto il paese, telecom, ma da un privato puro, anche se non so puro fino a che punto.
    auspico che il cablaggio con fibra ottica si estenda in tutto il paese. è incredibile che in province produttive e turistiche come quella di verbania, non vi sia in progetto nulla di simile. anzi, credo sia proprio scandaloso, a giudicare dalla vitalità imprenditoriale che si registra in quell’area così come in tante altre.
    mi chiedo, e vi chiedo, quanto il piano deciso dal consiglio o assemblea di telecom (quello insomma che ha approvato il piano di tronchetti prima che questi lasciasse) prevedeva per quel che riguarda investimenti e innovazione in questo senso. e quanto potrà fare la nuova dirigenza.
    e, inoltre, è giusto che sia lo stato a imporre a questo settore i doverosi passi per modernizzare il paese, invece di sostenere sciaguratamente la diffusione dei decoder con i soldi di tutti noi?
    io credo proprio di sì

  5. Lucio

    L’evoluzione di tecnologie “senza fili” come WiMax potrebbe, in un futuro non molto lontano, ridurre l’importanza dell’infrastruttura di rete e quindi allentare la sua caratteristica di “strategicità”? Risulterebbe, quella di gestione della rete, un’attività economicamente attraente per un privato, in un regime di monopolio estremamente regolato e controllato dall’Agcom e dai regolamenti europei su antitrust e comunicazioni elettroniche?

  6. Renato

    In Italia il problema è che TI ha frenato l’ingresso o l’operatività degli operatori rendendo poco conveniente “fare impresa” nelle TLC.
    Con le sua politica-tecnologica ci ha imposto un sistema che le consente, sempre, di conoscere anche i clienti degli altri operatori e di frenarne la penetrazione.
    Le informazioni sulla rete sono a conoscenza esclusivamente di TI, gli altri operatori possono solo chiedere a TI.
    Penso che il problema sia strutturale/gestionale, una mentalità monopolistica per la gestione del business per frenare/rallenatare il declino della redditività.
    Pensi all’ADSL a consumo, un’idea all’italiana con cui ha catturato il 90% mercato e distrutto la concorrenza: tipologia di offerta inesistente negli altri Paesi.
    Cosa fare?
    Esiste una rete nazionale, bene! Il suo inventariato deve essere reso trasparente sia nelle informazioni di disponibilità fisica/logica, sia negli aspetti meramente economici (da costo retail minus->cost plus).
    Solo fra un po’ avremo l’offerta Bitstream, oggi ci dobbiamo accontentare della possibilità di fare VBR-rt su VC ATM.
    Son questi i problemi: chi è TI che ci deve imporre le SUE scelte tecnologiche che limitano la libertà sia dell’utente, sia dell’operatore alternativo?
    Non parliamo poi di TIM e degli altri 3 MNO, un vero e proprio cartello che pubblicizzano tariffe altamente competitive ma che non inglobano il costo della ricarica: un balzello inesistente in altri Paesi.
    Il mio sogno: vorrei essere libero di decidere se sul mio doppino telefonico cosa farci girare e con chi!
    …e non voglio essere chiamato alle 22:00 dai call-center ingaggiati da TI calpestando i miei diritti della legge sulla Privacy.

  7. eEurope 2006

    Sulla banda larga si può fare di più, questo è sempre vero, ma in generale i confronti con altri paesi avanzati (si vedano ad esempio, i rapporti Ocse) non ci vedono certo perdenti.
    Difatti, vinciamo a man bassa sulla Lituania e sull’Estonia. la Polonia ci ha sverniciato il mese scorso. Certo, se la corsa la dovessimo fare sull’estonia non saremmo messi male, ma dal momento che la corsa la facciamo su Germania, Regno Unito e Francia che sono prossime al 98% ( uk 100%) come copertura siamo al fanalino di coda. Ah, la banda larga per tutti, non significa solo copertura, ma anche costi. perchè un impresa dovrebbe aprire in italia se trasporti, telefono, energia, e banda larga costano il doppio o il triplo della germania.

    • La redazione

      Un recente rapporto per il DTI (Ministero del commercio e industria del Regno Unito) indica come, per quanto riguarda la percentuale della popolazione per la quale il servizio è disponibile, siamo secondi solo a Gran Bretagna, Corea e Giappone. Francia e Germania sono al nostro livello,
      gli US e il Canada dietro. Lo stesso rapporto, non sia una sopresa, ci vede invece molto indietro per quanto riguarda gli indici di concorrenza.Il problema è poi quante persone usano il servizio, ma questa è un’altra storia…
      I dati, pubblicati nel marzo 2006, sono reperibili presso
      http://www.dti.gov.uk/files/file29469.pdf
      c.s.

  8. Marco Palmieri

    Egregio Professore,
    mi permetta di riproporLe una osservazione resa nel mio commento al Suo precedente ed altrettanto interessante articolo: nel 2004 Telecom Italia è stata condannata dall’Antitrust per abuso di posizione dominante (la condanna è stata poi confermata nel febbraio di quest’anno dal Consiglio di Stato). Tale dato mi induce evidentemente a non nutrire molta fiducia nell’attuale assetto proprietario della rete, nè più nè meno che se fosse in mano completamente pubblica. Debbo inoltre notare che, se la rete costituisse un unicum con il servizio, come da Lei descritto, non potrei comprendere allora come giustificare la attuale presenza dei concorrenti di Telecom non proprietari della stessa.
    Concordo con Lei che nazionalizzare tout court l’intera rete materiale non possa garantire una valida alternativa, ma forse, come ho in precedenza suggerito, ricollocarla tramite un acquisto per intervento pubblico nelle mani di una effettiva s.p.a. ad azionariato diffuso creata ad hoc, può rappresentare una soluzione liberale e democratica al problema (oltre che utile a contenere l’enorme debito accumulato da Telecom); un tale intervento dello Stato non costituirebbe un atto di imperio, ma semplicemente l’azione di un attore del mercato, condotta nell’interesse proprio, ovvero della collettività.

  9. Gioachino

    Oltre a TI sono abbonato ad Eutelia con un contratto che prevede 14 ore di telefonate nazionali e l’ADSL “fino” a 4Mega a fronte di 40,00 €/mese.
    Col nuovo operatore ho problemi:
    quanto alla qualità della voce mi sono stufato di lamentarmi;
    quanto all’ADSL mi è stato risposto di controllare il contratto dove c’è la puntualizzazione “fino a”: quindi la fornitura è regolare!
    in corrispondenza di un disservizio del servizio voce, col prefisso di Eutelia(10040) ho effettuato alcune telefonate dalla linea di TI: quei pochi centesimi mi sono stati fatturati xché extra rispetto al contratto! Attendo ancora risposta.
    TI non è da meno, mi devono restituire 90,00 € per telefonate al famigerato 899 che non ho effettuate xché ne avevo chiesto la disattivazione, un mese fa con una lettera mi hanno comunicato che “avrebbero provveduto a mandarmi un assegno”: oggi mi è arrivato il “Conto TI n. 05/06” senza alcuna restituzione/storno/conguaglio.
    Già da tempo confronto le offerte degli altri operatori, però quanto affermava Toscano – il corrispondente di Panorama che oggi ho sentito anch’io su Radio3 – sembra affermazione da favola. Sempre il Toscano ebbe a spiegare che in Francia c’e vera concorrenza: forse in Italia la privatizzazione di TI è stata una presa in giro? E, se in Italia non esiste concorrenza, sarà xché i gestori di telefonia fissa sono tutti “compari”?
    Io di mercato non me ne intendo però, se i risultati delle privatizzazioni sono questi, quanto è meglio France Telecom: esempio di uno stato che funziona.
    Non sarebbe auspicabile, invece di perorare pro privato adottare le regole di un’organizzazione efficiente!

  10. Magriotis

    Sui punti sollevati vorri far notare che:
    a) le rete sono state costruite negli anni con le tasse degli italiani
    b) nonostante tutte le innovazioni, esse non sono facilmente replicabili. Pertanto sono dei monopoli. E a parità di condizioni ambientali in nessun paese un monopolio privato è mai stato meglio di un monopolio pubblico, in nessun paese. Neanche in Italia. Le Autostrade ad esempio hanno uno stato di manutenzione attualmente molto peggiore di quello che avevano sotto getione IRI.
    c) che razza di libero mercato è quello in cui si fanno profitti da rendite monopolistiche su investimenti fatti coi soldi pubblici ?

  11. Alessandro Pastore

    Gent.le prof,
    nel suo articolo lei afferma che “Come è ormai riconosciuto anche da appositi comitati Ocse, la separazione della rete – in generale, si pensa a quella locale, il cosiddetto local loop o “ultimo miglio” – può danneggiare l’innovazione”. Sarei interessato ad avere dei riferimenti più puntuali a riguardo. La ringrazio per la risposta.

    • La redazione

      Purtroppo mi riferisco a incontri e discussioni tra regolatori e autorità antitrust organizzate dall’Ocse, che però non so abbiano condotto a documenti pubblici.

  12. Alessandro Del Bianco

    Il problema che vedo nella proprieta’ della rete da parte di un privato e’ legata al fatto che una impresa investe solo dove c’e’ un ritorno assicurato – cosa di per se’ naturale e giusta.

    Nel caso specifico della telefonia il rischio e’ di allargare il “digital divide” non installando centraline digitali dove il numero di utenti non lo rende remunerativo. I cittadini di tali zone hanno percio’ un accesso limitato alle informazioni e cio’ li rende di fatto cittadini “di serie B”. Il caso non e’ presente solo nelle frazioni montane, ma anche molto vicino alle grandi citta’: dove vive mia sorella non e’ possibile installare connessioni ADSL esattamente per questo motivo e il villaggio in cui vive e’ a 10 Km dal centro di Firenze.

    Se al contrario la rete e’ statale o comunque gestita da un ente di tipo no-profit, e’ possible immaginare come tali situazioni possano essere coperte da investimenti di tipo “sociale”.

  13. Andrea Rossi

    Egregio professore,
    ritengo assolutamente condivisibili le sue considerazioni ma vorrei evidenziare un punto che per conto mio è cruciale.
    La liberalizzazione del settore TLC ha consentito lo sviluppo di una pluralità di operatori ma ha fallito a parer mio un obiettivo fondamentale e cioè quello di creare le condizioni per incrementare gli investimenti complessivi nella rete tecnologica.
    L’ unico operatore infatti che fa investimenti significativi, se si eccettua forse Fastweb che però mi pare abbia smesso di posare fibre, è Telecom mentre gli altri si limitano a sfruttare le infrastrutture create da Telecom per veicolare i loro servizi.
    Il risultato è che ancora moltissimi comuni italiani non possono ancora disporre della larga banda con le conseguenze che conosciamo.

    Secondo questa logica allora sarebbe corretto che non fosse lo stato ad entrare con i capitali nella società rete, ma tutti i gestori di TLC che usufruiscono delle infrastrutture. Che ne pensa?
    cs

    • La redazione

      In linea di principio, l’idea non sembrerebbe malvagia, ma in realtà pone due seri problemi.
      Il primo è la collusione. Ovvero, se mettiamo gli operatori a gestire una struttura comune, quale è la probabilità che poi si facciano vera concorrenza tra loro nel mercato dei servizi
      sapendo che poi hanno interessi in comune su un altro piano?
      Il secondo, proprio gli investimenti: quale è la probabilità che i gestori introducano innovazioni nella rete, se per caso queste innovazioni conducessero a maggiore concorrenza?
      Lo eviterei…

  14. marco baldassari

    Non e’ banale risolvere il problema dell’ultimo miglio, perche’ in prospettiva se si vuole trasmettere contenuti di un certo “peso” ovvero film HD in modo capillare (100% copertura) sappiamo gia’ ora che non sara’ possibile usare il doppino. La soluzione di Fastweb con router ottici in ogni cantina e fibra in ogni appartamento e’ troppo costosa (infatti ormai non viene piu’ fornita) sia per il costo degli apparati che per la posa e messa in funzione. Si stanno rivalutando le PON o reti ottiche passive che probabilmente richiederanno la riprogettazione completa di tutte le centrali dell’ultimo miglio e soprattutto la posa di nuovi cavi in nuovi buchi che arrivino in ogni casa. Dove passava il doppino la finra non ci sta. Ma chi si accolla questi costi? Nessun operatore di rete (ne Telecom ne Fastweb) ha una reale possibilita’ di gestire in modo efficiente la rete di accesso, che andrebbe gestita da un unico operatore locale di accesso, nell’ottica di fornire un servizio ai residenti del “condominio” territoriale che ha interesse a gestire la tecnologia necessaria c chi si vuole collegare ai vari operatori. Come il condominio porta il segnale della TV satellitare dal tetto ad ogni appartamento, cosi’ dovrebbe essere un “condominio di condomini” a gestirsi il suo collegamento di accesso a una centrale dove arrivino tutte le diverse reti degli operatori. In effetti, potrebbe essere la municipalita’ o qualche municipalizzata a farsi carico di queto servizio, che ha piu’ similitudini con la rete di tubazioni del gas per le affinita’ del problema degli scavi e delle manutenzioni. Che poi questo servizio sia pagato tramite un canone o tramite tasse, non e’ certo un servizio remunerativo, come ad esempio il trasporto pubblico locale.

  15. Francesco

    Secondo me, un’interessante analogia è quella con il sistema bancario e con la rete nazionale interbancaria (RNI), tramite la quale, per dirne una, sono offerti ai consumatori i servizi di incasso e pagamento. Mica roba da ridere.
    I profili concorrenziali sono delicatissimi, infatti i soggetti bancari sono chiamati a cooperare (non per propria scelta ma dei clienti) per garantire l’efficienza dei servizi offerti alla clientela, pur essedo in concorrenza fra loro.
    Oggi, i pagamenti transitano su una Rete Nazionale Interbancaria che è posseduta da un soggetto privato ma sulla quale è esercitata una stretta sorveglianza da parte della Banca d’Italia.
    E’ evidente che nel costo/efficienza che il cittadino paga/riceve per il servizio, chessò, bonifico o RID, c’è anche l’utilizzo della Rete a sua volta detenuta da un soggetto privato.
    O anche, per dire, nel costo della tesoreria dello Stato che spesso viaggia su Rete privata (la rete della PA è surclassata in efficienza dalla rete privata interbancaria alla quale infatti si fa sempre più ricorso anche per le operazioni dello Stato).
    La rete, che spesso rappresenta un monopolio naturale, non può a mio avviso rispondere in toto a logiche di mercato, per il semplice fatto che non c’è concorrenza.
    La rete pubblica invece è inefficiente.
    L’unico compromesso secondo me accettabile, e che nel mondo bancario funziona bene, è una robusta Autorità di controllo, come Bankit. E l’autorità per funzionare bene deve essere RESPONSABILE ma INDIPENDENTE dal potere politico.
    Poi accanto alla Rete Nazionale ci sono anche altre reti interbancarie, per esempio quella della società internazionale SWIFT, sulla quale ad esempio transitano buona parte delle entrate fiscali (F24) e che è stata al centro delle polemiche per via dell’accesso a certi dati su operazioni consentito alla CIA per la lotta al terrorismo internazionale.
    Le analogie con Telecom sono sempre più evidenti!

  16. Paolo Gabriele

    Il mercato ricordiamoci del mercato, ed anche dell’Authority di controllo. Alcune soluzioni prospettate per la gestione delle reti sono sicuramente interessanti, ma dobbiamo essere pratici: ci sono operatori che intendono investire nelle proprietà della rete, oggi, o anche questo compito deve essere attribuito all’incubent? Quale è il tempo in cui credono di poter rientrare dei propri ingenti investimenti necessari?
    Il governo dopo le ultime polemiche ha escluso interventi della Cassa D&P, ed allora dobbiamo solo aspettare di verificare qualità e rapidità degli investimenti prospettati da TelecomItalia e pensare ad una netta divione fra rete, a servizio anche degli altri operatori, e servizi. Così dati e contabilità resteranno completamente separati e il controllo regolatorio dell’Authority potrà essere più efficace sulle tariffe applicate ai concorrenti.
    In alternativa abbiamo, oggi, operatori con finanza sufficiente per affrontare sfide imprevedibili sull’evoluzione delle reti? I modelli che si prendono ad esempio sono già attuati e superati da qualche anno. Se fossero studiati oggi avrebbero caretteristiche, ci possiamo giurare, diverse. Ed allora proviamo ad incentivare con i sistemi esistenti di finanza di progetto, intervento di fondazioni e gruppi di investitori attirati da una qualsiasi forma di leva fiscale, incentivi automatici o altro, gli investimenti innovativi sulle reti ed il resto verrà. Ma non fermiamoci anche in questo settore, in questo il tempo scorre più velocemente che negli altri. E’ la teconologia che avanza, senza la classica briglia del “rilascio” delle innovazioni che aveva senso quando gli operatori erano pochi e con quote di mercato non scalfibili. In periodi di tecnologia diffusa e di compagnie che spuntano come funghi e crescono a ritmi vertiginosi grazie alle innovazioni introdotte, non c’è troppo tempo di reazione per i concorrenti. Chi prende il banco per un certo periodo di tempo e inizia a dettare il gioco, prende tutto!

    • La redazione

      caro lettore,
      in realtà il settore delle reti (elettriche e gas) è uno dei settori meno rischiosi che vi siano. Quanto meno, i ricavi del gestore
      dipendono da una tariffa regolata con una dinamica facilmente prevedibile. Non dico che le azioni di Terna siano dei BOT, ma non ci manca neppure troppo. Non a caso le fondazioni bancarie
      – notoriamente non particolarmente amanti del rischio – hanno accettato la presenza della Cassa depositi e prestiti in Terna. Non credo che questo pessimismo sia così fondato…
      cordiali saluti

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