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Legge elettorale: davvero così importante?

Ma davvero, con tutti i problemi che ha l’Italia, la riforma della legge elettorale è una questione così rilevante? Se ci sono tanti partiti, non sarà semplicemente perché è la frammentazione della società italiana a richiederlo? E comunque, che c’entra la legge elettorale con la qualità della politica e in particolare della politica economica? Qualche dato per discuterne. E anche per orientarsi nel dibattito in corso.

Legge elettorale: davvero così importante?

Ma davvero, con tutti i problemi che ha l’Italia, la riforma della legge elettorale è una questione così rilevante? Se ci sono tanti partiti, non sarà semplicemente perché è la frammentazione della società italiana a richiederlo? E comunque, che c’entra la legge elettorale con la qualità della politica e in particolare della politica economica? Qualche dato per discuterne. E anche per orientarsi nel dibattito in corso.

Frammentarietà, un male italiano

Il grafico che segue mostra per l’Italia negli ultimi 20 anni l’andamento di un comune indice di frammentazione politica, l’indice NEFF per la Camera dei deputati. L’indice misura il livello di frammentazione tenendo conto sia del numero dei partiti presenti in Parlamento che della loro consistenza in seggi e in voti. Il grafico racconta una storia familiare. Con la frantumazione delle grandi ideologie novecentesche, e con il suo sistema elettorale proporzionale, l’Italia conosce un progressivo aumento nel numero dei partiti nel corso di tutti gli anni ‘80. Curiosamente, in termini di voti, la dispersione raggiunge il suo massimo nel 1994, il primo anno in cui si vota con la nuova legge elettorale (la legge Mattarella), imposta da un referendum, che introduce il collegio maggioritario uninominale per il 75% dei seggi e soglie significative per la rappresentanza parlamentare (il 4%). Ma la dispersione nella distribuzione dei seggi è comunque inferiore, perché con la nuova legge, e nonostante il 25% dei seggi assegnati ancora con il proporzionale, molti voti ai partiti minori non si traducono in seggi. Nelle due tornate elettorali successive, la logica del collegio maggioritario invece si impone; partiti e elettori imparano a convivere con il nuovo sistema e conseguentemente l’indice mostra una continua riduzione, per raggiungere il minimo con le elezioni del 2001. Con tutta probabilità, se il sistema elettorale fosse rimasto inalterato avremo visto un’ulteriore riduzione nella dispersione della rappresentanza anche nelle elezioni del 2006. Ma nel 2005 la legge viene cambiata, si ritorna al proporzionale e le soglie per la rappresentanza parlamentare vengono dimezzate. Gli effetti, come si vede dal grafico, sono immediati. L’indice NEFF si inalbera e raggiunge un picco nel 2006, un record storico in termini di dispersione dei seggi. 14 partiti ottengono direttamente seggi alla Camera e ancora di più contando quelli eletti sfruttando il premio di coalizione; la sola maggioranza del governo Prodi conta 11 diversi partiti (1).

Grafico: Frammentazione elettorale e parlamentare (Camera, 1987-2006), indice NEFF

Il valore dell’indice raggiunto alle ultime elezioni è un record non solo rispetto alla storia italiana recente, ma anche rispetto agli altri paesi europei. La tabella qui sotto documenta come l’Italia, insieme al Belgio (dove però sono presenti fratture linguistiche e culturali da noi sconosciute) sia il paese più frammentato d’Europa. Nelle altri grandi democrazie europee il valore dell’indice è meno della metà di quello italiano: varia dai 2,2 della Francia sino ai 3,4 della Germania.
Ma non sarà che questa frammentazione parlamentare risponda semplicemente ad una maggiore dispersione nelle preferenze dell’elettorato italiano rispetto ad altri Paesi europei? Difficile naturalmente rispondere con sicurezza a questa domanda; ma sembra francamente assai improbabile. In realtà, quando hanno potuto gli elettori italiani hanno piuttosto mostrato una netta preferenza per un quadro politico più semplificato(2), e un sondaggio d’opinione condotto in diversi paesi (il World Value Survey), riportato nella terza colonna della tabella, rivela per l’Italia la stessa dispersione sull’arco politico degli altri elettori europei(3).
La frammentazione è, invece, senz’altro un portato dei sistemi elettorali; e in Italia, anche di un finanziamento pubblico dei partiti (pudicamente rinominato “rimborso delle spese elettorali”, dopo un referendum che aveva abolito il primo) molto generoso, e di regolamenti parlamentari che favoriscono la frammentazione dei gruppi parlamentari. La stessa tabella dimostra come nei sistemi elettorali maggioritari, specie se a doppio turno, la frammentazione è più bassa che nei paesi con un sistema proporzionale. E in questi ultimi, l’introduzione di soglie per la rappresentanza riduce la frammentazione, ma non in modo considerevole.

Tabella: Indice NEFF, dispersione preferenze e sistema elettorale per paese

Paesi e anno ultime elezioni

Neff (seggi)

Neff (voti)

Dispersione nelle Preferenze

Sistema elettorale

Italia 2006

7

7,4

0,41

P con premio di maggioranza

Belgio 2003

7

8,9

0,36

P puro

Danimarca 2005

5,2

5,2

0,36

P con sbarramento

Finlandia 2003

4,9

5,9

0,37

P puro

Paesi Bassi 2003

4,7

5

0,34

P con sbarramento

Svezia 2006

4,2

4,7

0,39

P con sbarramento

Germania 2005

3,4

3,8

0,35

P misto

Irlanda 2002

3,4

3,9

0,29

P con voto singolo trasferibile

Austria 2006

3,4

3,7

0,30

P con sbarramento

Gran Bretagna 2005

2,5

3,6

0,33

M (a turno unico)

Spagna 2004

2,5

3,1

0,40

P con sbarramento

Portogallo 2005

2,5

3,3

0,42

P corretto

Grecia 2004

2,2

2,7

0,41

P con sbarramento

Francia 2002

2,2

5,2

0.44

M (a doppio turno)

1) M: sistema maggioritario

P: sistema proporzionale

Sistemi elettorali e politica economicaMa in fondo che male c’è? Perché mai dovrebbe essere un problema avere 23 partiti in parlamento e 11 nella maggioranza di governo, se questo ci rende felici? Il problema è che avere tanti partiti nella maggioranza di governo rende difficile prendere decisioni tempestive, aumenta il potere di veto dei partecipanti, riduce la qualità e la coerenza delle politiche. Il problema della frammentarietà è ancora più grave in un sistema proporzionale, che di per sé spinge i partiti a dividersi sulle politiche, alla ricerca di visibilità e voti. E le due cose interagiscono; poiché se ci sono più partiti con il proporzionale, ci sono anche più governi di coalizione. A riprova di ciò, uno studio su un campione di 50 democrazie per i dieci anni dal 1990 al 1998 (4), mostra come il 63% dei governi nelle democrazie maggioritarie sia formato da un unico partito contro il 17% nel caso di sistemi proporzionali. Inoltre i paesi con sistemi elettorali proporzionali hanno una spesa pubblica, in rapporto al PIL, di dieci punti più elevata rispetto a quelli maggioritari (il 35% verso il 26%) e un deficit di bilancio più elevato (il 4% sul Pil contro il 3% dei paesi maggioritari). Naturalmente, un’associazione non è la stessa cosa di una causazione, e qualcuno potrebbe obbiettare che ciò che spiega il sistema elettorale di un paese spiega anche i suoi risultati di politica economica. Ma è interessante notare che tutti gli studi econometrici, pur nella varietà dei campioni e delle tecniche di stime, suggeriscono che la relazione causale tra sistema elettorale e performance economica sia genuina e vada nella direzione indicata qui sopra.

Riforme possibili

Ma se il problema è la frammentazione, non sarebbe possibile risolverla mantenendo il proporzionale e semplicemente imponendo una soglia elevata di sbarramento? Ammesso che si riesca ad imporla e a renderla operativa, vietando cioè ai partiti minori di formare aggregazioni pre-elettorali per poi dividersi successivamente, la risposta è senz’altro positiva. Una soglia al 5%, come nel caso tedesco, tanto citato in questi giorni, sarebbe sufficiente a ridurre il numero dei partiti presenti nel Parlamento italiano a 6 o 7 al massimo. Ma qui il problema è la tenuta del bipolarismo e il mantenimento per i cittadini della possibilità di scegliere prima delle elezioni uomini e programmi. Il rischio è quello della formazione di un centro perennemente al potere, alleato ora con la sinistra ora con la destra dello schieramento parlamentare. Una storia che abbiamo già vissuto e che ha fatto esplodere il nostro debito pubblico.

(1) Ai nove partiti dell’Unione vanno infatti aggiunti i Democratici Cristiani Uniti e la Lega per l’Autonomia Alleanza Lombarda, i cui rispettivi leader sono stati ricompensati per il sostegno al governo con un posto ciascuno da sottosegretario.
(2) Prova ne sia il voto dei partiti dell’Ulivo nel 2006, che nonostante il proporzionale hanno raccolto più voti quando hanno corso uniti, alla Camera, piuttosto che quando sono andati divisi, cioè al Senato.(3) Agli intervistati viene chiesto di esprimere la propria posizione politica su una scala da 1 a 10 dove 1 è l’estrema sinistra e 10 è l’estrema destra. L’indice di dispersione nelle preferenze è rappresentato dal coefficiente di variazione di questa distribuzione (la deviazione standard nelle risposte a questa domanda, divisa per la media). (4) Si vedano Persson T. e G. Tabellini, “Constitutions and Economic Policy” Journal of Economic Perspectives , n.18, 2004, p.75-98.

La replica degli autori ai commenti

Grazie dei commenti, rispondiamo collettivamente. Una comune preoccupazione espressa dai lettori è quella della rappresentanza (delle preferenze dei cittadini). Condividiamo (ci mancherebbe) che la rappresentanza sia un elemento essenziale di ogni sistema elettorale in una democrazia. Ma dubitiamo fortemente che in Italia si sia davvero tanto divisi da dover richiedere una ventina di partiti in Parlamento per poter adempiere a questa funzione. I dati che abbiamo fornito nel nostro articolo ci dicono che le preferenze politiche degli italiano non sono più disperse lungo l’asse destra-sinistra che in altri paesi. Dunque la frammentazione attuale sembra riflettere assai più le esigenze degli apparati di partito che quelle dei cittadini. Non a caso i partiti sono così preoccupati dal riportare la questione nelle mani dei cittadini stessi, tramite il referendum proposto (quello di Guzzetta); e ricordiamo che il collegio uninominale nel 1994 fu introdotto a seguito di un referendum popolare, e poi sostituito dai partiti di maggioranza nel 2005 in spregio ai risultati di quello stesso referendum (sbaglia il lettore che crede che il Matterellum sia stato abolito a seguito di una consultazione popolare). La frammentazione dipende molto dalle caratteristiche del sistema elettorale; ma ovviamente non solo da quello. Hanno ragione tutti gli interventi in questo senso: storia, politica, ideologia giocano un ruolo importante, così come aspetti più minuti, ma in realtà assai rilevanti, quali il sistema di finanziamento dei partiti e i regolamenti parlamentari (lo accennavamo nell’articolo). Ma c’è una gerarchia anche nei problemi; e crediamo che la legge elettorale sia al primo posto tra questi, come del resto i dati sembrano confermare. Allo stesso modo è ovvio che la performance economica di un paese non dipende soltanto, o anche solo prevalentemente, dalla sua legge elettorale. Ma nella misura in cui la legge elettorale plasma gli incentivi dei politici e dunque la qualità e la tempestività delle decisioni di politica economica, ne influenza anche i risultati. Di nuovo, i dati confermano questa tesi. Si dovrebbe infine notare che c’è un altro senso in cui si può coniugare la nozione di “rappresentanza”; il sistema elettorale rappresenta i cittadini, nella misura in cui questi possono scegliere direttamente alle elezioni chi li governa e con quali programmi, piuttosto che delegare queste decisioni interamente ai propri rappresentanti in Parlamento. Questo è un risultato recente e per niente consolidato del nostro sistema politico. Di qui la nostra preferenza per il maggioritario, che incentiva il bipolarismo e le alleanze pre-elettorali. Se fosse poi a doppio turno, consentirebbe a ciascuno di esprimersi liberamente al primo turno, per poi compattarsi sui candidati più robusti al secondo. E’ vero che in Europa continentale prevale il sistema proporzionale, e che questo non da sempre adito a coalizioni post elettorali o a frammentazione. Ma bisognerebbe vedere se questo sarebbe il caso anche da noi, vista la nostra storia politica. Infine il nostro non è un inno al decisionismo, tanto meno alla dittatura; tanto è vero che in altra sede abbiamo richiesto con forza un rafforzamento dei contropoteri e delle garanzie costituzionali.

Un proporzionale corretto stabilizza il bipolarismo, di Domenico Argondizzo

Per uscire dall’impasse politica italiana serve una legge elettorale proporzionale corretta.
Una difficoltà psicologica, l’approssimazione referendaria, offusca il quadro: si dice che il sistema maggioritario uninominale sia la panacea. È una sorta di innamoramento, anche in menti razionali, che nega la realtà: l’uninominale maggioritario è stato parzialmente (1), e con tutta l’alea del risultato, foriero del bipolarismo. (2) Ma non ci si deve accontentare di uno strumento monco, quando un risultato organico e stabile si avrebbe con il proporzionale, con sbarramento al 5 per cento e premio di maggioranza (3), unico voto su una unica scheda congiunta per entrambe le Camere.

Indirizzare il sistema politico

L’innamoramento dell’uninominale è l’apoteosi della fiducia cieca nell’idraulica costituzionale, che vuole importare istituti giuridici stranieri nel “contesto” italiano, ignorandone le necessità. Servono invece chiari obiettivi verso cui indirizzare il sistema politico, apprestando congrui istituti giuridici. Indirizzare non è giacobino: gli istituti giuridici, se serve, forzano la realtà politica, al fine di produrre dei risultati. Il premio di maggioranza crea una maggioranza politica (4) quando la società non l’esprime da sé con le elezioni (5); lo sbarramento al 5 per cento scarta le formazioni politiche, fintanto che siano marginali.
Stante poi la caratteristica perfetta del nostro bicameralismo, il cui mantenimento è augurabile rispetto all’inefficiente bicameralismo differenziato (6), si impone la necessaria identità delle maggioranze nelle Camere. Tale necessità preesiste alla distorsione del premio (7), ma si amplifica con esso. (8) Inoltre i premi di maggioranza regionali al Senato aggiungono un’ulteriore distorsione che il premio nazionale non ha: è possibile che alla maggioranza dei voti nazionali non corrisponda la maggioranza dei seggi (questo è l’effetto negativo tipico del collegio uninominale).
Se la correzione va apportata a favore della parte che non raggiunga da sé l’autosufficienza in una od in entrambe le Camere, non è detto che la stessa, e non l’altra, sia quella che abbia la maggioranza relativa dei voti nell’altra Camera. (9)
Si ripropone così, in versione ridotta, l’altalena dei risultati prodotti dall’uninominale. Questa altalena, dovuta non tanto alla piccola differenza del bacino elettorale tra la due Camere (10), quanto al malcostume di votare diversamente a seconda della Camera, si supererebbe con la riduzione ad una delle schede. L’unico voto sull’unica scheda (11) si collegherebbe univocamente ad un solo schieramento che presenti liste o gruppi di liste per ognuna delle Camere. In questa maniera si risolverebbe anche l’imbarazzo costituzionale di quale Camera prevalga nel caso di opposte maggioranze. (12)
Il maggioritario non garantisce la rappresentatività né la governabilità. Il suo difetto sta nei collegi uninominali: da essi esce un vincitore e dei perdenti (13) non vi è traccia. (14) Le 3 elezioni politiche (15) con questo sistema confermano che l’uninominale è inaffidabile, per i suoi risultati attesi (16), anche ai fini della governabilità. (17) Ed anche con un’unica scheda e unico voto, residuerebbero due ipotesi di ingovernabilità sicura: pareggio tra i due schieramenti in entrambe le Camere ovvero maggioranza relativa di uno schieramento in entrambe le Camere.
Poi non solo è discutibile che il collegio avvicini gli eligendi agli elettori (18), ma lo è ancor più il dogma che la massima prossimità sia un bene. (19)
I due turni non risolvono i problemi del turno unico; nulla si garantisce di diverso rispetto alla aleatorietà ed alla altalena del risultato nazionale. Con la scusa di semplificare il quadro partitico, di fatto si aggiungono, alle trattative tra i partiti ed i partitini prima del primo turno, quelle tra un turno e l’altro. Perché non anticipare la funzione di selezione del voto utile, che il doppio turno fa passare per un ripetuto pronunciamento dell’elettorato, prevedendo nell’unico turno decenti soglie di sbarramento? In questo modo, certo con più rischi immediati per il centrosinistra, si semplificherebbe, già dopo il primo funzionamento della legge, il quadro partitico sia nel centrodestra sia nel centrosinistra. (20)
Altrimenti, quelli che non passassero il turno, contratterebbero il loro appoggio (21) ai contendenti del secondo turno (22) per la vittoria nel collegio.
Il fatto stesso che c’è un secondo turno incentiva i partitini a presentarsi separati al primo. Non si può dire che con la scelta di quale polo appoggiare al secondo turno, ufficializzata davanti all’elettore e da questo sanzionata, le microformazioni sarebbero più timorose di cambiare casacca in corso di legislatura. Né si può dire che si scongiurerebbe una dislocazione al centro di alcune forze politiche. Semmai lo sbarramento secco al 5 per cento non darebbe cittadinanza parlamentare alle forze centriste (23) ma marginali.
I voti dati alle liste coalizzate che non superassero lo sbarramento, non dovrebbero essere conteggiati nel monte-voti coalizionale, al fine di attribuire il premio di maggioranza. (24) Rendendo inservibili per la coalizione i voti delle liste sotto-soglia, si spunterebbe l’altra arma di ricatto in mano ai partitini in sede di formazione delle liste e delle coalizioni. Questa è assai più che una sanzione per evitare la disgregazione delle coalizioni, è una misura di bonifica del quadro politico, la cui frammentazione è la causa dell’instabilità delle coalizioni.
Il problema è che il binomio proposto (premio, sbarramento), che eliminerebbe già dopo una legislatura le microformazioni sotto il 5 per cento, va approvato in un Parlamento in cui queste sono sovrarappresentate; ragion per cui serve l’accordo tra i partiti veri dei due schieramenti. (25)
Vi è poi l’ipocrisia circa liste bloccate: i candidati verrebbero eletti non già dagli elettori ma piuttosto dai partiti. Ma il peso delle strutture di partito è immutato sia rispetto al sistema uninominale (26), sia ad un proporzionale con circoscrizioni plurinominali di estensione ridotta (27), e con liste più corte.
Checché se ne dica si vota e ci si riconosce per diverse ideologie, ideali, tendenze; si vota quindi per un partito o coalizione di partiti, e si vota in un sistema bipolare. Altro è il vulnus originario alla sovranità popolare: la mancata attuazione dell’articolo 49 Costituzione, nella parte in cui è previsto un controllo della democrazia all’interno dei partiti, che vuol dire avvicendamento delle élite al governo degli stessi.

Un referendum senza soluzioni

In merito al proposto referendum, si attribuisce un effetto taumaturgico alla lista unica. Il suo unico effetto positivo sarebbe quello (28) di eliminare i meccanismi di vanificazione e differenziazione delle soglie di sbarramento. (29) Ma è certo che uno sbarramento alla Camera più basso di un punto (30) non giova nell’iperframmentazione italiana. Se non ci fosse neppure tale sbarramento, la normativa di risulta si potrebbe facilmente aggirare: fatto il listone unitario, trovato l’inganno. Più che di bipolarismo, si dovrebbe parlare di bilistismo: il listone è ben differente dalla coalizione omogenea, come l’esperienza del 1921 dovrebbe aver insegnato.
Si ripete poi la stessa favola del doppio turno (31): l’esito referendario assicurerebbe una minore possibilità di disgregazioni dei listoni. Ma se questi fossero composti, senza la soglia di sbarramento del 4 per cento, i partitini resterebbero nello stesso numero e selvaggi.
Il referendum non risolve:
1) lo sbarramento regionale al Senato; (32)
2) il premio di maggioranza regionale al Senato;
3) la possibilità di maggioranze diverse nelle due Camere.
Con un secondo referendum proposto si eliminerebbero le candidature multiple. In verità, tali candidature non sviluppano alcuna sudditanza da parte dei cooptandi verso i plurieletti, perché sono i vertici del partito a scegliere.
La risposta decisiva, anche per ciò, deve venire dalla democrazia interna ai partiti.


(1)
Rispetto al proporzionale puro pre ’93.
(2) Giacché non semplifica il quadro politico.
(3) Tutti e due unici e nazionali.
(4) Efficiente al sistema.
(5) Ecco perché il premio deve essere solo eventuale e variabile, nella misura in cui serva a raggiungere una maggioranza di seggi prefissata.
(6) Meglio sarebbe il monocameralismo.
(7) Le legislature della Repubblica proporzionale e della Repubblica maggioritaria testimoniano che discrepanze nel voto degli elettori tra le due Camere, e quindi nel risultato in seggi, sono state sempre presenti.
(8) Soprattutto perché spezzettato al Senato.
(9) Ipotesi di scuola che si è puntualmente verificata nel 2006.
(10) A Costituzione invariata, si dovrebbero stampare due tipi di scheda: quella per gli elettori sotto i 25 anni e quella per gli elettori che votano sia per la Camera sia per il Senato. Ovvero si potrebbe abbassare a 18 anni l’elettorato attivo per il Senato: ma questa modifica costituzionale ancora non basterebbe.
(11) Congiunta per Camera e Senato.
(12) Naturali od indotte dal premio.
(13) La/e minoranza/e.
(14) Se non eventualmente grazie al recupero proporzionale, che comunque è estraneo al congegno maggioritario.
(15) Precedenti quelle del 2006.
(16) Facendo una proiezione nazionale della miriade di collegi, vi è la possibilità e quindi la probabilità dei seguenti risultati:
1) maggioranza assoluta (o relativa) di uno schieramento in entrambe le Camere;
2) maggioranza assoluta (o relativa) di uno schieramento in una Camera, e dell’altro nell’altra Camera;
3) pareggio tra i due schieramenti in entrambe le Camere;
4) vittoria e pareggio di uno schieramento o l’altro, in una e l’altra Camera.
(17) Vedi, nella nota precedente, gli esempi 2, 3, 4, e anche l’esempio 1 (per l’ipotesi della sola maggioranza relativa).
(18) Perché, senza primarie e controllo della vita interna ai partiti, il candidato è un dato di fatto per l’elettore, che voterà solo per appartenenza, ideologia, ideali.
(19) Giacché, assumendo che essa sia un bene in sé, si potrebbe arrivare in futuro a rappresentanti direttamente eletti nelle riunioni condominiali (per le città) e nelle parrocchie (per chi non vive in condominio). Come è possibile solo immaginare questa rionalizzazione della rappresentanza politica in un’Europa federale?
(20) Il coraggio che serve nell’immediato ai partiti veri, deve essere sostenuto dalla loro consapevolezza che essi acquisterebbero, nel giro di una legislatura, la grande maggioranza dei voti che ora vanno ai partitini.
(21) Cioè la feudale concessione del loro elettorato.
(22) Che non avrebbero il coraggio di rifiutare.
(23) Forze politiche centriste non già perché portatrici di proposte politiche moderate, bensì perché, essendo assai minoritarie, devono tenersi al centro dell’attenzione.
(24) Nel caso in cui nessuna delle due coalizioni ottenga la congrua maggioranza di seggi.
(25) DS, Margherita, RC, FI, AN ed UDC.
(26) Anche il candidato del collegio uninominale era un dato di fatto.
(27) Circa l’estensione delle circoscrizioni, non vi è alcuna connessione tra essa ed eventuali forme di coinvolgimento democratico nella scelta dei candidati. E poi non vi è alcun valore giuridico aggiunto nel stampare sulle schede i nomi dei candidati, piuttosto che conoscerli dai manifesti, da internet e dagli altri mezzi di informazione.
(28) Espungendo dalla legge ogni riferimento alle coalizioni.
(29) Nazionale alla Camera e regionale al Senato.
(30) Unico e nazionale del 4%, invece che del 5%.
(31) In misura minore per la presenza comunque dello sbarramento al 4% alla Camera.
(32) All’8%. Esso non permetterebbe di sanare il quadro politico, giacché in alcune realtà i partitini (sotto il 5% a livello nazionale) hanno le roccaforti delle loro clientele, con picchi di consenso oltre l’8%.

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Sommario 6 marzo 2007

23 commenti

  1. giorgio fabbri

    Riportate una tebella dell’indice neff. Dalla tabella emerge prima di tutto che in quasi tutta europa si vota con un sistema proporzionale e che i due paesi nei quali si vota col maggioritario si trovano uno circa a meta’ classifica e uno a pari merito in fondo. Da questo dedurre che l’unica soluzione per evitare la frammentazione e’ il maggioritario sembra un po’ forte.

    Ma quello che mi sorprende di piu’ nel dibattito sul sistema elettorale e’ il focus sulla governabilita’, sulla semplicita’, sulla stabilita’… Mai che si parli di rappresentativita e di democraticita’. Non sara’ che la qualita’ della democrazia sia dato anche dalla capacita’ del parlamento di rappresentare una pluralita’ di posizioni realmente differenti (senza la falsa scelta di sistemi come quello americano)? Non dipendera’ dalla profondita’ e dall’estensione del suo dipbattito pubblico? Non contera’ la capacita’ della sua sfera pubblica?

    Non sara’ che per valutare la qualita’ di una democrazia servano paramentri differenti da quelli dell’efficienza e della stabilita’.

    Probabilmente l’infice neff piu’ invidibile si registrera’ nei paesi a partito unico. Se ne deve dedurre che i sistemi dittatoriali siano i preferibili?

    In Cina il partito comunista governa dal ’49: dobbiamo invidiare la stabilita’ e l’assenza di frammentarieta’ di quel sistema o invece dobbiamo interrogarci su cosa significhi una democrazia di qualita’?

  2. venturoli massimiliano

    Il sistema elettorale ritengo che ” sia non problema “. Infatti il problema reale per la governabilità del Paese, ritengo sia, l’ introduzzione di un serio premio di maggioranza calcolato a livello nazionale che venga riconosciuto al partito di maggioranza ( anche se relativa ). La frammentazione del quadro politico che si presenta alle elezioni è un problema che non inciderebbe sulla governabilità con l’ introduzione di un premio di maggioranza. La scelta di un sistema proprzionale ( puro o con sbarramento ) o maggioritario ( ad un turno o a doppio turno ) non lo trovo un dibattito su cui ” accapigliarsi “. Un dibattito impostato solamente su questo lo ritengo ” fumo negli occhi ” all’ oppinione pubblico, non nè farei una guerra di ” religione ” tanto caro agl’ Itliani!! Personalmente propendo per un sistema uninominale a doppio turno, ma lo “sacriferei in cambio ” un serio premio di maggioranza per il partito di maggioranza relativa. Chiaramente ciò sottintende la modifica dei sistemi di garanzia per le ” opposizioni ” nelle istituzioni.In sostanza la ” soluzione del problema italiano ” è una soluzione complessiva e non solamente riguardante al sistema elettorale

  3. antonio petrina

    Certamente qualcosa non ha funzionto nella vigente legge elettorale se quando venne approvata si assicurava governabilità a seguito del premio di maggioranza ,dopo che gli italiani avevano scelto con referendum di votare non più con il mattarellum ma con un sistema che non rinnegava il maggioritario ma neanche il proporzionale per i partiti all’interno della coalizione e forse questo sistema di bipolarismo maturo richiede una maturità che ancora non abbiammo.In ogni modo lo sbarramento del 5% ( senza rinviare a casi oltre cortina) , come correttivo proprosto da Boeri, è già applicato nella legge regionale n. 7/05 sull’elezione diretta del presidente in Sicilia e lì ha ridotto notevolmente la frammentazione politica.

  4. belvedere

    La cosa prioritaria è evitare che in una coalizione ci sia il ricatto del 2%.
    Cioè che chi comanda sia una minoranza perchè senza di loro non si va da nessuna parte.
    Inoltre non è vero che questi si spaventino per la possibile caduta del governo perchè i “duri e puri” sono convinti, a ragione, che nelle successive elezioni prenderebbero più voti.

  5. Federico Dini

    Grazie per questo articolo molto interessante. Oltre ai dati, che suggeriscono di adottare sistemi elettorali non-proporzionali per limitare la frammentazione, c’è anche un’altro aspetto negativo legato al proporzionale: la mancanza di competizione tra candidati per via delle liste bloccate. Anche nel settore politico la competizione è fondamentale, poiché spinge i partiti/coalizioni a presentare i candidati migliori in ogni collegio, e i cittadini a scegliere “il meglio del meglio”. La competizione dovrebbe produrre ceteris paribus migliori risultati in termini di “qualità politica”, evitando (nel medio-lungo periodo) la cristallizzazione della clalsse dirigente ed aumento il tasso di responsabilità degli eletti. In un certo senso, il proporzionale è il sistema meno competitivo, il più “assistenziale”. E questo forse può contribuire a spiegare perché sistemi proporzionali (poco competitivi) tendono a produrre outcome peggiori (es. spesa pubblica più elevata, minore capacità di riforma), come evidenziato nel vostro articolo.
    Saluti e grazie.

  6. luciano cantaluppi

    L’articolo del sommo costituzionalista Sartori sul Corriere di oggi scatta una bella e facile fotografia dei vari sistemi elettorali, ma la conclusione non c’è.
    Ne potrebbe esserci perchè i piccoli non hano nessuna voglia, ne interesse , a scomparire, e quindi se necessario si torni subito a votare senza tante chiacchere. Il Senato instabile ? Perchènon si è voluta accettare la proposta di non fare del Senato la fotocopia della Camera ? Cordialità l. Cantaluppi

  7. francesco piccione

    C’è un’attesa eccessiva nei confronti dei sistemi elettorali. quando la D.C. aveva il 48% dei voti i governi duravano – comunque – in media 8 mesi. la semplificazione non deve essere trovata nel numero dei partiti, ma nella compatezza che questi riescono a creare. partiti che vivono di clientele e di rapporti non trasparenti con gli elettori sono destinati a far durare poco i governi: ogni corrente tenterà di tirare l’acqua al proprio mulino, invece che lavorare per l’interesse generale. c’è da chiedersi, inoltre, in che misura la frammentazione dei partiti ha tenuto alta la partecipazione degli elettori al voto. nei paesi fortemente polarizzati si assiste, infatti, ad un’alta astensione: di fronte ad una scelta ridotta se non si trova chi ci rappresenta ci si astiene. penso che il vero dato critico del “pocellum” sia rappresentato dal fatto che è stato studiato per rendere più esigua la maggioranza parlamentare del centrosinistra, coalizione che ha sempre ottenuto – nella quota maggioritaria – risultati superiori di 4 o 5 punti che non nel proporzionale. ciò in considerazione del fatto che la coalizione di centrosinistra ha una migliore capacità di scegliere i candidati che sono più rappresntativi e meglio radicati nel territorio.

  8. daniele v

    L’articolo e’ interessante e corretto nel criticare la frammentazione partitica italiana. tuttavia non condivido la conclusione: un sistema proporzionale non e’ univocamente legato alla possibilita’ di un partito che rimane perennemente al governo. Questo e’ avvenuto in italia per diverse ragioni tra cui: l’esistenza di partiti anti-sistema, la possibilita’ di crisi extra-parlamentari (cosa che, ad esempio, non puo’ accadere in germania e spagna), la mancanza di “sbarramenti” per i partiti piccoli
    ll consenso del presidente della repubblica (scalfaro) ha inoltre permesso i cosiddetti “ribaltoni” che non hanno tenuto conto di una certa espressione elettorale che aveva legato il voto parlamentare alla scelta del presidente del consiglio.
    Insomma: in Italia e’ tutto un bel “casino”

  9. silvio marchini

    Permettetemi di dissentire dal vostro autorevole articolo in quanto, secondo me, cadete nell’errore di tralasciare il vero problema che inficia la stabilità politica: la riforma totale dei regolamenti parlamentari. La legge alettorale non e’ altro che la regola che permette ai partiti di trasporsi dallo stato comunità allo stato apparato ovvero il parlamento attraverso i gruppi parlamentari che, ahimè o per fortuna, non necessariamente devono corrispondere ai partiti politici. Fintanto non vi saranno rivisitazioni dei regolamenti tutte queste nobili discussioni sul referendum, sulla legge elettorale da modificare, sono destinate, come si sule dire, a non cavare un ragno dal buco. vorrei una vostra autorevole opinione in merito. Grazie e complimenti per il sempre ottimo lavoro che ci consegnate a noi lettori

  10. daniele nepoti

    Condivido quanto detto da chi mi ha preceduto: la frammentazione e l’instabilità non sono fondamentalmente funzione del sistema elettorale. Piuttosto: a) delle condizioni politiche del momento (dal fattore K a quello Berlusconi); b) dalla cultura della classe dirigente politica; c) dalla oggettiva frammentazione della realtà sociale (p.es. Nord vs Sud, garantiti/tutelati vs. precari, economia dei salotti vs, pmi, ecc.). Nessuna legge potrà mai impedire ai parlamentari di rendere instabile l’azione di governo. Per fortuna, aggiungerei!

    Vorrei anche proporre un tema di riflessione.
    Come già detto, i sistemi maggioritari tendono a escludere di fatto una larga parte dei cittadini dalla rappresentanza istituzionale. Siamo così sicuri che in un paese come l’Italia ciò sia davvero auspicabile, in cambio di maggior stabilità dei governi peraltro tutta da dimostrare?
    Questo è un paese dove nel 2007 ci sono ancora le Brigate Rosse a raccogliere il consenso anche di persone che negli anni Settanta neppure erano nate. Siamo nel paese degli scontri in Val di Susa, delle repressioni poliziesche del G8 a Genova, dei coltivatori che usano i trattori per bloccare strade e sparare letame sulle forze dell’ordine, di uno Stato che fondamentalmente non controlla almeno 4 regioni del suo territorio.
    Insomma un paese ad altissima conflittualità, talvolta anche molto violenta con un dissenso sociale sostanzialmente ineliminabile. Politica e istituzioni credo dovrebbero funzionare di più da camere di compensazione anziché vivere nell’illusione di una stabilità che non esiste nella realtà. I conflitti, in Italia e in Europa, non muoiono con la loro eliminazione nelle proiezioni istituzionali della realtà.

  11. Alessio Calcagno

    Tagliente articolo. Bellissimo. Condivisibilissima relazione tra indebitamento e frammetarieta’ partitica. Il prezzo pagato in termini di ingovernabilita’ e’ elevato, tuttavia bisogna capire le ragioni storiche. In Italia la societa’ alla fine della II guerra mondiale era altamente frammentata. Fascisti mai processati, un partito comunista che era il piu’ grande tra i Paesi del patto atlantico, un Chiesa fortemente radicata sul territorio. Il sistema proporzionale premise di parlamentarizzare il forte scontro presente nella societa’ italiana. In poche parole, i parlamentari prendendosi a cazzotti in parlamento evitavano che la gente si amazzasse per strada. Il sistema funziono’ fino agli anni sessanta, sotto la spinta del miracolo economico, grazie a politiche oscillanti: la DC aveva al suo interno un moltitudine di correnti che in un certo senso permettevano una pseudo alternanza. Il sistema vacillo’ con la crisi degli anni 70: un sistema bloccato al centro finì alla fine per favorire l’extraparlamentizzazione dello scontro dei partiti estremisti, tagliati fuori dai giochi di potere.Tuttavia il superamento dello scontro fu anche merito della legge elettorale che ancora un volta premise con flessibilita’ di seguire gli “umori” del popolo utilizzando geometrie variabili (l’avvicinamento della corrente Moro al partito comunista, il pentapartito poi..) impossibili in sistemi bipolari. Ai giorni nostri il sistema ha funzionato con il ridurre la componente seccessionista ed anti immigrazione del nord a mero festival della polenta, a trasformare AN in una destra di governo e a responsabilizzare in un certo qual modo la sinistra radicale.
    Resto pero’ convinto che il prezzo pagato (108% debito/pil) sia troppo alto. Meglio sarebbe all’inizio di questo nuovo millennio dotarsi di un sistema piu’ funzionale. Magari sul modello francese. Come arrivarci?

  12. enzo de biasi

    Nei primi 50 anni di vita repubblicana vigendo il proporzionale puro, dal 60% all’80 % dell’elettorato venivano votati 2 partiti.
    Caduto il muro di Berlino, vigente il maggioritario si hanno 22 partiti nessuno dei quali supera il 30% dei voti e per altro verso il potere d’interdizione e di blocco nelle decisioni da parte delle formazioni minori è perfino aumentato rispetto a quanto accadeva con il Centro-Sinistra della c.d. prima fase della Repubblica.
    La questione, a mio avviso, è che occorre avere il coraggio di costruire 2 partiti, uno sulla destra e l’altro sulla sinistra e solamente dopo modificare la legge elettorale preferibilmente ispirandosi al modello francese riducendo i parlamentari da eleggere : 300 deputati e 100 senatori tenuti presenti costi della politica.

  13. girolamo caianiello

    Un alto numero di parlamentari è coerente con una grande pluralità di partiti in un sistema a carattere proporzionale. Ma se vuole ridursi tale pluralità divenuta eccessiva e causa di frammentazione, mantenendo il più puro sistema proporzionale, è sufficiente allo scopo ridurre il numero stesso dei parlamentari, senza soglie, premi o altri consimili correttivi. Ciò varrebbe anzi a realizzare un auspicio che ha tanti altri ottimi motivi –non escluso il risparmio di costi- per essere finalmente accolto, ma che trova resistenze nei partiti più grandi, senza una valida ragione perché questi debbano aumentare il proprio “collocamento”, appropriandosi dei posti prima occupati dai più piccoli.

  14. Luigi D. Sandon

    È curioso come in Italia si creda che una democrazia non possa produrre governi stabili perché questi “soffocherebbero” la democrazia stessa.
    In realtà è esattamente il contrario. La democrazia è una forma di “dittatura della maggioranza”, controbilanciata – come negli USA – da ferree regole costituzionali, una separazione dei poteri funzionante, e da una stampa sufficientemente indipendente, oltre all’attivismo dei cittadini.
    La “dittatura delle minoranze” è esattamente il contrario delle democrazia, spesso alimentata dall’apatia della società in genere e da una stampa spesso troppo allineata.

  15. Giuseppe Caffo

    Credo si sia data troppa enfasi all’importanza dei sistemi elettorali in questi ultimi anni.Un governo stabile e efficace è frutto di una classe dirigente seria e affidabile capace di proporre agli elettori un programma di governo convincente e adeguato ai problemi che la gente sente come reali.Sarebbe inutile proporre grossi partiti unici di destra o di sinistra,magari con l’aiuto dell’ennesima nuova legge elettorale,se poi questi partiti fossero divisi in correnti interne in lotta fra loro,come è successo per molti anni alla DC.Il problema ,difficile,è quello della selezione di una classe dirigente di alto profilo,aliena al clientelismo ,al particolarismo,agli affari più o meno confessabili,insomma a tutto il malcostume che ha afflitto la politica.In Italia si vogliono risolvere spesso i problemi con nuove leggi e regolamenti,senza mirare alla sostanza.Detto questo,il sistema proporzionale mi sembra quello che meglio esprime la volontà popolare,senza forzature in nome di una stabilità che solo un progetto politico serio può garantire.

  16. Daniele Ferretti

    Ritengo assolutamente inoppugnabile la risposta fornita dagli autori ai commenti ricevuti inerenti l’articolo sulla legge elettorale. Aggiungo inoltre che, a mio avviso, la stessa frammentazione partitica, oltre a moltiplicatore di costi per la collettività, è condizione essenziale per il mancato prodursi a livello nazionale di accettabili livelli di coesione sociale e limite per lo sviluppo di movimenti di opinione extrapartitici.

  17. Matteo Bardelli

    Le osservazioni e gli spunti di riflessione del Prof. Bordignon sono ampiamente condivisibili ed apprezzabili; soprattutto, riguardo ad un richiamo al “realismo” nel valutare e nel fare la tanto evocata riforma elettorale.
    Nel mio piccolo, sono portato a riflettere “realisticamente” (sic!) che l’interessata difesa dell’interesse particolare dei partiti contrapposta alla rappresentatività della volontà dell’elettorato mina alla base ogni speranza di una riforma della legge elettorale autoimposta ed ampiamente condivisa che assicuri non solo la governabilità ma anche la rappresentatività dell’elettorato.
    Fatta questa premessa, penso che il dibattito tra “Maggioritario alla francese” e “Proporzionale alla tedesca” sia nel migliore dei casi sterile ai fini della definizione di una soluzione. Forse una soluzione “compromissoria” potrebbe essere una Camera eletta con un sistema maggioritario come quello applicato in Australia ed un Senato regionale, in cui ciascuna regione abbia lo stesso numero di rappresentanti delle altre e, che viene eletto con un sistema proporzionale (anche in questo caso l’esempio del Senato australiano potrebbe essere utile).
    Tra le altre cose, sarebbe bello che una nuova legge elettorale riportasse nuovamente la libertà per i cittadini di esprimere la propria preferenza senza dover accettare o rifiutare la lista di aspiranti eletti proposta dai partiti.

    sinceramente

    Matteo Bardelli

  18. daniele v

    Sono d’accordo: diamo delle priorita’.
    La legge elettorale e’ tra le primissime cose da fare, ed anche il presidente della repubblica si e’ espresso in tal senso. Ma rimangono i problemi di senatori, deputati e partiti che non vogliono “perdere la poltrona” con una diversa legge elettorale
    Tuttavia ci sono cose piu’ veloci che possono essere modificate, piu’ feasable. Ad esempio i regolamenti delle camere, che voi citate.
    Un esempio su tutti: Una delle cause maggiori di inefficienza del parlamento (e del governo) e’ la possibilita’ per ogni singolo parlamentare di proporre dei ddl. Togliamo questa possibilita’! In quasi tutti i regimi parlamentari solo (o principalmente) il governo ha potere di introdurre disegni di legge e spesso ha modo di dettare (o influenzare) l’agenda.

  19. antonio petrina

    La regione Friuli Venezia Giulia ha approvato la lr n.226/07 che prevede lo sbarrameno del 4% alle liste regionali per l’elezione diretta del presidente della regione con premio di maggioranza al 60% delle liste regionali sole od accorpate maggiormente votate.

  20. marco visita

    Io non so se un meccanismo elettorale risolverà i problemi di una vera rappresentanza democratica, riducendo la frammentarietà dei partiti. Qualcuno, tra i commenti, notava giustamente che fino agli anni settanta il proporzionale puro non produsse il caos di sigle di oggi. Mi sembra infatti che il discrimine stia piuttosto nella partecipazione attiva dei cittadini alla vita politica. Non solo gli iscritti ai partiti stanno diminuendo, ma spariscono le sezioni, gli uffici periferici che tutti i partiti avevano in ogni dove e che un tempo erano concretamente la base e il serbatoio di idee. Il cosiddetto radicamento nel territorio non c’è più e quando ancora ne esiste una forma, questa si traduce nelle varianti clientelari che Iacona ha descritto nel suo “Pane e politica”, oppure viene dimenticata dalle direzioni centrali e esclusa da ogni partecipazione. Quando fu che…? Montanelli, sulle pagine di una Domenica del Corriere del 1969, manifestò tutta la sua rabbia per un ceto politico che, in occasione di una crisi parlamentare, traccheggiò impunemente per settimane fregandosene dei problemi del paese e rifiutando ogni soluzione di governo in attesa di ripristinare gli equilibri interni ai partiti, soprattutto tra le tantissime correnti di questi. Perché la Dc e il Pci raccoglievano il 70% dei voti, ma in essi c’erano tante correnti almeno quante sono le sigle che oggi li richiamano. I cittadini non hanno più potere sui partiti e questi rappresentano soltanto se stessi. Abbiamo voglia noi cittadini di riprenderci il nostro potere? Non mi pare. Stiamo (relativamente) bene. In fondo non abbiamo fame e abbiamo più o meno tutti i diritti riconosciuti; insomma siamo figli del benessere e tanto ci basta. Almeno fino a quando la classe politica, mattarellum o porcellum è lo stesso, non ci ridurrà di nuovo tutti sul lastrico. Protestiamo in tanti, ma i movimenti, i girotondi, si fermano subito e si torna a votare il meno peggio. Allora, forse, la soluzione sta nell’attesa.

  21. Aldo Ronchi

    Nel sistema bipolare chi si prende la briga di recarsi al seggio per votare scheda BIANCA, o scheda NULLA, esprime la volontà univoca di essere rappresentato da “Nessuno” dei candidati. Il votante vota per lo scranno VUOTO. Nessuno dei candidati può accomodarcisi. Se la nuova legge elettorale accogliesse con rispetto anche queste volontà dei votanti, prevedendo i riquadri ad hoc sulla scheda, si avrebbero positive conseguenze possibili. In primis, i parlamentari si ridurrebbero di un numero in proporzione ai voti nulli ed alle schede bianche. Poi i due schieramenti valuterebbero la convenienza di abbandonare gli estremi della propria coalizione alla ricerca di coloro, (numerosi perché queste schede fanno per numero il quarto o quinto? partito dei votanti) che rifiutano di votare i due schieramenti solo perché si coalizzano con l’inconciliabile. L’esclusione delle schede nulle dal computo dei seggi nel sistema bipolare vizia la legittimità del voto. Infatti, l’attuale sistema equipara il voto nullo al non votante. Ma questo è arbitrio illecito. Infatti l’equiparazione del voto nullo “all’incapace al voto” poteva valere in “altri tempi”, oggi no. Il totale acculturamento, in senso lato, del votante “voto nullo” e “scheda bianca” alla precisa volontà di rifiutare l’omologazione della lana con la seta offerta in ambedue gli schieramenti, che accomunano l’inconciliabile e l’ inacettabile concettuale. L’evocato stereotipo della “vinaigrette”, associata alla sapiente alchimia del dosaggio moderato, garbato di contrapposti, é improponibile con lo sgraziato “mischione” di culture e di aspirazioni, presente nei due poli.
    Aldo Ronchi

  22. Antonio De Luca

    La riforma della legge elettorale dovrebbe essere prioritaria soprattutto per evitare la situazione attuale di governo, la difficoltà di portare avanti riforme “vere” e non mitigate dai compromessi a cui si deve pervenire non solo con i più piccoli partiti, ma ora anche con i singoli parlamentari. L’ipotesi che mi è parsa più interessante è quella che prevede come direttrici fondamentali lo sbarramento al 4% e il premio di maggioranza da attribuire non alla coalizione ma al singolo partito. In questo modo sicuramente si accellererebbero i processi di aggregazione all’interno delle due coalizioni (e forse anche al centro)e si ridurrebbe la frammentazione. Finalmente in Italia si avrebbe una situazione più lineare e più semplice sia da gestire che da interpretare, anche per molti miei coetanei ventenni che spesso si trovano spaesati dinanzi alla situazione politica italiana. Il problema è: potra mai venire dalle aule parlamentari una simile proposta?

  23. Duccio Ducci

    Non sono in grado di commnetare nel dettaglio le proposte referendarie, data l’elevata tecnicità della materia. Mi pare però che il sistema proporzionale sia sostenuto soprattutto da piccole formazioni che hanno modo così di essere rappresentate e “pesare” in Parlamento. Allora forse non sarebbe meglio un sistema che consapevolmente esclude dal parlamento partiti piccoli, tanto moderati quanto radicali? Il sospetto è che tre o quattro partiti anzichè uno servano (anche) a moltiplicare i ruoli di segretario o capo di una corrente, quindi si potrebbe serenamente accettare l’idea che non tutti i movimenti o partiti devono essere rappresentati in Parlamento. Dopotutto, credo che nel Regno Unito esistano anche formazioni politiche che il sistema elettorale non consente siano rappresentate a Westminster, oppure che sono molto sottorappresentate e pertanto vedono la loro influenza notevolemente ridotta. Ovviamente resta libera la possbilità di militare in organizazioni anche radicali, senza però che la presenza di queste distorca gli equilibri e la formazione dei governi. I movimenti nati da personalismi politici, invece, si esaurirebbero da soli una volta che i loro capi ispiratori, preso atto della nuova legge, per non restare esclusi confluirebbero nei partiti maggiori di cui, in molti casi, già facevano parte. Sicuramente ogni soluzione è perfettibile, però mi chiedo quali sarebbero gli svantaggi evidenti di un sistema maggioritario puro nel quadro politico italiano.

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