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Previdenza complementare: un decollo senza i giovani

Sono deludenti i dati sull’adesione ai fondi pensione contrattuali dopo la scadenza della scelta sulla destinazione del Trattamento di fine rapporto. Di fatto ben pochi giovani, coloro che più avranno bisogno della previdenza complementare, hanno potuto aderirvi. Due correttivi, senza modifiche normative, possono però rimediare a questo paradosso: aprire i fondi contrattuali e incentivare le adesioni collettive ai fondi pensione aperti.

I dati sull’adesione ai fondi pensione contrattuali, nel semestre in cui i lavoratori potevano esercitare l’opzione di smobilizzo del Tfr, sono piuttosto deludenti. Se si escludono i fondi territoriali e il fondo Marco Polo (il cui numero di potenziali iscritti è “accorpabile” al bacino iscritti di Fon.Te), ci sono state circa 330.000 nuove adesioni esplicite a fronte di una platea potenziale di circa 9 milioni e 300 mila lavoratori. Quindi la variazione netta nel tasso di adesione ai fondi pensione contrattuali è stata del 3,5 per cento (si veda la tabella qui sotto). Partendo da poco piu’ di un lavoratore avente diritto su dieci, abbiamo così raggiunto il 14,6 per cento nel rapporto fra aderenti effettivi e potenziali; ed è molto difficile che, anche includendo le adesioni esplicite ai fondi aperti e ai piani individuali, si possa raggiungere l’obiettivo del 40 per cento di adesioni esplicite entro fine anno. Se un tale obiettivo verrà raggiunto, lo sarà unicamente in virtù delle adesioni tacite, computabili a fine settembre, che però riducono fortemente i vantaggi derivanti dall’adesione ai fondi pensione .

Grandi e piccole imprese

Come messo in luce da Bruno Mangiatordi questo tasso medio di adesione alla previdenza complementare è comunque il risultato di dinamiche molto eterogenee tra i diversi fondi pensione contrattuali. Infatti, i fondi di grandi aziende o operanti in settori con prevalenza di imprese medio-grandi hanno raggiunto, a fine giugno 2007, un rapporto fra iscritti e bacino dei loro potenziali aderenti mediamente attorno al 50%. Viceversa, per i fondi contrattuali operanti in comparti con prevalenza di imprese medio-piccole, questo stesso rapporto è oggi inferiore al 5%. Pertanto dopo quasi un decennio di vita, mentre i tassi di adesione dei fondi contrattuali di grandi aziende o operanti in settori di imprese medio-grandi hanno ormai valori allineati a quelli dei più consolidati sistemi europei non obbligatori di previdenza complementare, la parte rimanente opera in un sistema ancora arretrato o fermo ai blocchi di partenza. Vi sono poi molti altri lavoratori (circa un milione e mezzo) che non possono oggi accedere ad alcun fondo contrattuale, non essendoci fondi di questo tipo nell’impresa o nel comparto in cui lavorano.
C’è quindi il rischio che la stragrande maggioranza dei lavoratori italiani, e soprattutto i lavoratori più giovani (9 su 10 lavoratori con meno di 25 anni operano in imprese con meno di 50 dipendenti), rimangano esclusi dal decollo della previdenza complementare.

Due correttivi

Di qui la necessità di correttivi. Due di questi sono – a nostro avviso – particolarmente importanti e non richiedono ulteriori modifiche normative, ma solo scelte appropriate da parte delle fonti istitutive dei fondi contrattuali, degli altri attori del mercato previdenziale e un comportamento appropriato da parte dell’autorità di regolamentazione. Si tratta di: (1) “aprire i fondi contrattuali” aumentandone la platea dei potenziali aderenti mediante l’incorporazione dei fondi contrattuali con bassi tassi di adesione e modesto bacino di potenziali iscritti; (2) incentivare le adesioni collettive ai fondi pensione aperti per i comparti con prevalenza di impresa piccolo-media o artigiana e di servizi frammentati.

Come aprire i fondi chiusi

Il primo correttivo permette di estendere ad una più ampia platea di lavoratori i vantaggi derivanti dal raggiungimento di rilevanti economie di scala, contribuendo così ad abbattere i costi unitari di gestione dei fondi pensione. Serve anche a stimolare la concorrenza fra fondi ad adesione collettiva. La sua realizzazione richiede che i sindacati dei lavoratori e le rappresentanze dei datori di lavoro accettino di far confluire sullo stesso fondo contrattuale lavoratori che ricadono sotto differenti contratti collettivi. Dato il numero abnorme dei contratti collettivi vigenti in Italia, negli anni passati questa confluenza è già avvenuta per scelta autonoma di alcune categorie di lavoratori (si pensi, per esempio, al caso di Fonchim).
Si tratterebbe ora di non limitarsi ad accorpare in un unico fondo contrattuale i lavoratori aderenti con contratti collettivi di settori “limitrofi”, ma di estendere tale possibilità ad altri accordi collettivi, che non hanno sin qui dimostrato di riuscire a costruire fondi contrattuali di dimensioni efficienti. Non ci sono ragioni economiche per cui lavoratori di settori diversi non debbano essere iscritti allo stesso fondo contrattuale; al contrario, l’ampliamento della platea corrisponde a principi di diversificazione del rischio di crisi settoriali o aziendali. Anche la Covip avrebbe un ruolo importante in una riforma del genere: dovrebbe facilitare l’iter per l’approvazione dei processi di concentrazione fra fondi contrattuali e monitorare la riduzione dei costi amministrativi affinché i guadagni di efficienza si trasferiscano ai sottoscrittori.

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Adesioni collettive nelle piccole imprese

Al di là della concreta volontà delle fonti istitutive e della Covip, l’apertura dei fondi chiusi non risolve di per sé il problema della bassa adesione nelle piccole imprese, dove i lavoratori sono maggiormente soggetti alle pressioni dei datori di lavoro per lasciare il Tfr in azienda e dove – talvolta – il bacino dei potenziali iscritti è così ampio da non raccomandare accorpamenti. Tale problema può essere affrontato solo promuovendo forme di adesione collettiva dei lavoratori alla previdenza complementare anche in questo tipo di imprese. Ciò servirebbe, fra l’altro, ad impedire un maggior rischio di licenziamento per i lavoratori che scelgono di trasferire il Tfr a un fondo pensione, rispetto ai lavoratori che lasciano il Tfr in azienda. Anche qui non c’è bisogno di nuove leggi, bensì di sfruttare un’opportunità ridisegnata dalla normativa entrata in vigore il 1° gennaio di quest’anno: le adesioni collettive ai fondi pensione aperti. Basandosi su accordi aziendali o di tipo territoriale sollecitati dalle singole società di gestione del risparmio, tale forma pensionistica complementare può offrire uno spettro di soluzioni flessibili che meglio rispondono alle esigenze di nuclei piccoli o frammentati di lavoratori.

L’affermarsi dei fondi aperti con adesione collettiva è stata finora frenata dalle resistenze dei piccoli imprenditori, che dovrebbero rinunciare a quel finanziamento a basso costo assicurato dal Tfr e sopportare i non irrilevanti oneri amministrativi connessi all’iscrizione dei loro lavoratori alla previdenza complementare. Tuttavia le compensazioni, previste dalla nuova normativa a favore delle imprese in caso di trasferimento del Tfr dei loro lavoratori alla previdenza complementare, più che compensano gli accresciuti oneri dei finanziamenti di mercato; e l’Autorità di regolamentazione possiede ampi margini di semplificazione dell’iter amministrativo e di compressione dei connessi oneri burocratici. Al riguardo, uno dei limiti della nuova normativa risiede nel disegno inappropriato dell’organismo di sorveglianza dei fondi pensione aperti con adesione collettiva che, anziché indurre un’adeguata rappresentanza agli aderenti, rischia di sovrapporsi al responsabile del fondo. Bene allora assicurare la rappresentatività dell’organismo di sorveglianza così da rafforzare la governance di questa tipologia di fondi; e la Covip, oltre a continuare il suo monitoraggio sui costi unitari delle diverse forme di previdenza complementare, dovrebbe vigilare sul rispetto dell’accordo fra le parti istitutive e gli intermediari finanziari.

Minori asimmetrie, maggiore concorrenza

La concentrazione fra fondi contrattuali e lo sviluppo dei fondi aperti con adesione collettiva offrirebbe maggiori opportunità anche ai lavoratori autonomi senza la necessità di nuove leggi. Questi correttivi servono a ridurre le asimmetrie fra i diversi tipi di fondo e ad ampliare il raggio di scelta degli individui rendendo possibile una piena concorrenza fra fondi contrattuali, fondi aperti con adesione collettiva, fondi aperti con adesione individuale e piani individuali di previdenza di tipo assicurativo. Il compito della Covip è assicurare che tale concorrenza avvenga con regole e forme di garanzia comuni così da garantire un “campo di gioco” livellato. Il compito del governo è evitare che questa evoluzione sia compromessa dalla trasformazione del fondo pensione residuale, già istituito presso l’Inps, in un fondo pubblico permanente e assimilabile agli altri fondi contrattuali privati. Se il prossimo autunno il ministro del Lavoro interpreterà in tale senso l’ambigua indicazione contenuta nella Legge finanziaria per il 2007, ogni apertura concorrenziale risulterà compromessa in quanto il fondo contrattuale presso l’Inps avrà il vantaggio di un’assicurazione implicita da parte dello Stato, il che comporterebbe peraltro una minaccia permanente per il bilancio pubblico.

Fondo

Crescita netta iscritti da inizio 2007

Bacino Potenziali iscritti

delta/bacino (%)

Totale iscritti giugno 2007

Tasso adesione giugno 2007

Previvolo

104

3000

3,5

2814

93,8

Fopen

3.238

55000

5,9

44611

81,1

Fonchim

27.280

188700

14,5

149964

79,5

Fondenergia

8.510

49300

17,3

39000

79,1

Mediafond

374

3200

11,7

2464

77,0

Quadri e Capi Fiat

26

14500

0,2

10613

73,2

Concreto

530

10500

5,0

6542

62,3

Pegaso

4.486

43700

10,3

27000

61,8

Previambiente

2.148

42000

5,1

25280

60,2

Astri

360

12000

3,0

6546

54,6

Telemaco

2.745

120.000

2,3

58253

48,5

GommaPlastica

16.822

100.000

16,8

48216

48,2

FondoPoste

33.659

150.000

22,4

69568

46,4

Priamo

5.984

110.000

5,4

48531

44,1

Laborfonds

17.303

245.000

7,1

100135

40,9

Cometa

94.423

1.000.000

9,4

408582

40,9

Foncer

3.260

32.000

10,2

12756

39,9

Eurofer

7.220

102.000

7,1

39345

38,6

Fondav

91

10.000

0,9

3818

38,2

Previcooper

10.351

96.600

10,7

23651

24,5

Prevaer

798

31.200

2,6

7253

23,2

Byblos

8.259

200.000

4,1

33627

16,8

Fodadiva

3.091

35.000

8,8

4895

14,0

Previmoda

20.276

451.600

4,5

60354

13,4

Alifond

4.760

300.000

1,6

39884

13,3

Arco

7.223

229.500

3,1

28406

12,4

Cooperlavoro

12.801

250.000

5,1

29222

11,7

Solidarietà Veneto

16.800

350.000

4,8

35344

10,1

Prevedi

8.358

750.000

1,1

34849

4,6

Fondapi

11.930

793.000

1,5

35401

4,5

Fon.te

24.626

2.000.000

1,2

50205

2,5

Filcoop

739

160.000

0,5

3720

2,3

Prev.Llog

2.191

100.000

2,2

2191

2,2

Artifond

2.846

550.000

0,5

7500

1,4

Marco Polo

770

800.000

0,1

2022

0,3

Agrifondo

770

600.000

0,1

770

0,1

Previ.Prof

450

750.000

0,1

450

0,1

365602

10737800

3,4

1503782

14,0

5,5

Tutti i fondi negoziali non territoriali

Fondi aziendali o di settori con grandi imprese

Fondi di settori con piccole imprese

Fondi territoriali

Totale adesione nette

327.638

211.260

116.378

37.194

Potenziali aderenti

9.307.800

2.045.900

7.261.900

630.000

Variazione tasso di adesione

3,5

10,3

1,6

5,9

Tasso adesione giugno 2007

14,6

49,1

4,9

22,3

Ambito territoriale

Grandi imprese

Piccole imprese

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10 commenti

  1. Maria Rosa Gheido

    E’ da portare avanti con convinzione la proposta di accorpamento dei troppi, piccoli, fondi contrattuali che, nel numero, disorientano i lavoratori e, nel rendimento, li scoraggiano. I datori di lavoro, sopratutto delle piccole e medie imprese, potrebbero essere incentivati ad una maggiore neutralità, nei confronti delle scelte dei loro dipendenti, rendendo più semplice la gestione amministrativa della destinazione del Tfr ai fondi pensione: per esempio, adottando tracciati uniformi per la modulistica e per i versamenti. Perché non F24?

  2. Ancona

    La ragione del fallimento è legato alla inconsistenza del risultato finale della scelta per la pensione complementare.
    Un lavoratore che guadagna mediamente in Italia 1200 euro al mese può sperare in una pensione complementare di 70 o 8o euro. Non ne vale la PENA!!
    La pensione complemenmtare è appetibile per reddito di almeno tre volte superiori a quello che oggi ritenete financo troppo dei miseri lavoratori italiani.
    on il tfr affronta una brutta operazione chirurgica; si da un aiuto per il matrimonio DEI figli; SI METTONO i soldi da parte per il funerale (non tutti siamo consiglieri regionali veneto) che costa migliaia di euro.
    Togliendo ai lavoratori il TFR avete commesso un crimine sociale!
    Lo scopo era quello di coprire il dimagrimento delle pubbliche pensioni.
    Pietro Ancona

  3. Antonio Piacentini

    La previdenza complementare si è cosruita secondo la logica della frammentazione contrattuale, che è materia conosciuta ai soli addetti ai lavori e non di certo ai dipendenti (ed anche a molti imprenditori). Che anche la previdenza sia stata impostata sulla base dei circa duecento contratti collettivi di lavoro è un limite non indifferente e solo delle regole esterne all’autonomia delle parti potrebbe imporre un accopamento razionale dei fondi. A questi problemi si aggiunge, secondo me, un certo anonimato dei fondi, dove sono? a chi mi devo rivolgere? cosa fare per avere informazioni? le organizzazioni promotrici dovrebbero farsi carico di questa nuova presenza nell’economia quanto meno del rapporto di lavoro. Le adesioni sono spesso la conseguenza di un modo di lavorare che non è dei migliori, ma ai nostri governi (quello di prima e di adesso) la riforma della previdenza andava bene così com’è. Chi ha sbagliato?

  4. Patuelli Paolo

    Avevo nei giorni scorsi lasciato un mio commento sulla base della mia esperienza a proposito della scarsa adesione ai fondi da parte dei lavoratori delle piccole imprese, descrivendo la notevole resistenza da parte dei datori di lavoro ad informare ed incentivare i propri dipendenti sulla scelta di iscrizione ad un fondo. Per contro dove sono riuscito, in qualità di consulente incaricato dall’istituto bancario per il quale lavoro, a promuovere la sottoscrizione di un accordo collettico impresa/dipendenti su fondo aperto ho trovato questa volta un acceso contrasto dei sindacati e dei rapresentanti del fondo chiuso di categoria talmente forte in alcuni casi da far annullare l’accordo collettivo su fondo aperto che si stava perfezionando. Il datore di lavoro aveva trovato vantagioso il fatto che un accordo collettivo su fondo aperto affiancato al collettivo sul chiuso avrebbe limitato la dispersione in vari fondi nelle scelte dei lavoratori con vantaggi in termini operativi nella gestione dei conferimenti mensili. Per riassumere, allo stato dell’arte non esiste ancora una cultura che vede e promuove le effettive opportunità per il lavoratore e il datore di lavoro, ma tutto viene guidato e deciso dalle singole categorie che difendono coltello fra i denti le proprie zone di potere e i propri vantaggi. Questo è quello che credo di aver sperimentato nella mia esperienza. Sono comunque stato contento del mio lavoro di consulenza e ho trovato anche persone illuminate fra i datori di lavoro che hanno accolto con favore l’idea dell’accordo collettivo. Abbiamo visto sottoscrivere vari accordi colletivi con alla base il fondo aperto proposto dal nostro istituto. Ma che fatica!!!

  5. antonio piacentini

    Nell’articolo e nella “vulgata” sindacale sarebbero le pressioni del datore di lavoro ad indurre alla rinuncia alla previdenza complementare da parte del dipendente nella piccola impresa. Se qualche caso detestabile si fosse pure verificato, come mai non aderiscono in oltre 10 milioni di dipendenti e dopo una campagna di sei mesi?
    Mi pare un modo un po’ sbrigativo spiegare il sostanziale fallimento della riforma e la specificità della piccola impresa sulla base di tale argomento. Forse ha inciso il fatto che fondi sono diventati operativi pochi attimi prima della scadenza?
    Fate inoltre attenzione perchè la gente ha detto (e pensa) che vuole vederci chiaro, che potrà rivedere la decisione più avanti, con più calma. Quindi non ha detto NO e basta. L’interpretazione è più complessa.
    Come fare chiarezza?
    Faccio delle proposte semplici: per prima cosa istituire un forum permanente sul tema per tenere vigile l’attenzione e continuare ad informare il mondo del lavoro.
    Secondo, trovare il modo che questi fondi escano dall’anonimato perchè se non ci sono patronati, associazioni di categoria, sindacati e soprattutto consulenti sul territorio. Di internet la gente si fida poco.
    Terzo, sono d’accordo con la necessità di accorpare i fondi contrattuali che stanno prolifernado anche per settori con pochi addetti secondo note dinamiche sindacali, ma non nel senso di rendere i fondi chiusi di fatto aperti come proposto ma impedendo indirettamente, sulla base ad elementi di sostenibilità economica, la prosecuzione di forme previdenziali inferiori a certe soglie di adesione: 25.000?50.000?
    Quarto, flessibilizzare il riscatto e la misura del contributo: perchè tutto il tfr? perchè devo rimanere disoccupato a lungo per riavere indietro tutto? non è normale questa rigidità della legge in una materia come il risparmio, seppure previdenziale.

  6. Giacomo Dorigo

    Ad essere sincero personalmente ho scelto l’unica opzione che consentiva di ricevere il tfr cumulato in caso di licenziamento. Un caso singolo ovviamente non fa statistica, ma mi azzardo a congetturare che la mancanza degli ammortizzatori sociali sia per molti giovani, i quali percepiscono come più urgente tutelarsi verso eventuali licenziamenti piuttosto che verso una misera pensione, un forte deterrente a passare alla previdenza integrativa.

  7. silvano

    In genere mi pare che in Italia non si sia molto abituati a ragionare sulla propria situazione pensionistica. Si è troppo abituati a “lasciar fare” all’INPS e quindi non si è partecipi alle scelte che oggi l’istituto della previdenza complementare impone. E a mio parere necessario, al fine di aiutare gli utenti, una semplificazione delle procedure che gli enti stessi impongono ed una maggiore pubblicità sui sistemi di calcolo e di verifica dei rendimenti di quanto si accantona . Le incertezze, da parte dei potenziali sottoscrittori, mi pare siano principalmente incentrate sulle incertezze riguardanti gli effettivi rendimenti netti di quanto investito che sui costi delle sottoscrizioni,

    • La redazione

      Grazie lettori per i vostri utili commenti.
      Concordiamo sulla necessità di migliorare i sistemi di rendicontazione dei rendimenti. Da tempo avevamo proposto di inviare a tutti i contribuenti una “busta arancione” come in Svezia con proiezioni sulle pensioni future. Giusta l’osservazione sull’assenza di ammortizzatori sociali per i giovani. Le pressioni nel caso delle piccole imprese sono duplici:
      i. perchè è più facile essere licenziato nelle piccole che nelle grandi e
      ii. perchè solo nelle piccole il tfr poteva rimanere ai datori di lavoro. Infine grazie per la testimonianza sugli ostacoli postri nei confronti dei fondiu aperti. Questa ci convince ancora di più della necessità di aprire i fondi chiusi.

      cordialmente

      tb e mm

  8. Giuliano Sarricchio

    A mio avviso per dare un impulso decisivo al decollo della riforma previdenziale basterebbe prevedere l’OBBLIGATORIETA’ DEL CONTRIBUTO DATORIALE anche per gli aderenti ai fondi pensione aperti.
    Non vedo per quale ragione ci debba essere un diverso trattamento tra fondi chiusi e fondi aperti in materia di contributo del datore di lavoro.
    Gli attuali meccanismi di compensazione a favore delle imprese andrebbero ulteriormente ritoccati per evitare per penalizzazioni per le imprese.
    In questo modo ritengo che il vantaggio per i lavoratori nel destinare il tfr a previdenza sarebbe irrinunciabile. Nello stesso tempo è molto probabile che tale vantaggio sia adeguatamento comunicato e pubblicizzato da campagne promozionali dei fondi aperti. Si avrebbe così anche la giusta campagna informativa, che a mio avviso è stata piuttosto blanda nel primo semestre dell’anno.

  9. giuseppe

    A proposito del sostanziale fallimento della campagna di adesione ai fondi pensione, vorrei richiamare l’attenzione su un’altra criticità dell’attuale sistema: l’irreversibilità della scelta di aderire al fondo pensione.
    Poichè, come noto, l’accantonamento del TFR e dei contributi ad un fondo pensione rappresenta una mera forma di investimento finanziario – forse è meglio chiamare le cose con il loro proprio nome! – più che di accumulo previdenziale (il concetto di previdenza evoca, di per sè, “sicurezza”, mentre qualsiasi investimento finanziario comporta il “rischio” di perdite o di mancati guadagni!), come si fà a convincere i giovani a rinunciare al (poco ma) “sicuro” TFR per “sperare” in una futura “indeterminata” pensione complementare, senza neanche avere la libertà di rivedere la propria decisione in qualsiasi momento (come per qualsiasi altra forma di investimento finanziario)?
    Cordiali saluti.

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