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FONDI PENSIONE IN EQUILIBRIO TRA RISCHIO E PRUDENZA

Il quadro normativo e una condotta prudente dei gestori hanno consentito ai fondi pensione italiani di non essere coinvolti nella distribuzione di prodotti, come i mutui subprime americani, che hanno invece penalizzato molti investitori istituzionali sui mercati internazionali. Ma nel lungo periodo occorre conseguire il rendimento necessario a garantire una rendita pensionistica di livello adeguato. L’introduzione del progetto esemplificativo permetterà agli aderenti di disporre di informazioni di base sull’andamento del loro investimento previdenziale.

Le indagini svolte dalla Covip consentono di escludere che vi sia una esposizione rilevante dei fondi pensione italiani nei confronti dei titoli obbligazionari emessi nel mercato statunitense su operazioni di cartolarizzazione dei mutui concessi a soggetti con scarso merito di credito (subprime mortgages), nonché di strumenti a essi variamente collegati.
Si può prevedere, dunque, che la caduta dei corsi di tali titoli non avrà un impatto diretto significativo sui rendimenti medi che i portafogli delle forme previdenziali registreranno a fine anno. Naturalmente, gli effetti generali della crisi potranno invece farsi sentire e colpire anche i nostri fondi pensione se i mercati finanziari continueranno a registrare andamenti negativi nei prossimi mesi.

Le buone regole

Vale tuttavia precisare che i fondi pensione avrebbero in linea teorica potuto investire (direttamente o per il tramite di Oicr armonizzati), entro i limiti prescritti dalla normativa di settore, quote anche rilevanti del loro patrimonio negli strumenti collegati ai mutui subprime.
Era dunque legittima la domanda posta da molti osservatori nelle scorse settimane su quale potesse essere l’impatto della crisi originata dai mutui subprime sul Tfr affluito alla previdenza complementare nel corso del primo semestre del 2007.
Per delineare in modo corretto la cornice entro la quale operano i fondi pensione, è utile richiamare sinteticamente l’insieme delle regole che disciplinano politiche e modalità gestionali dei loro investimenti finanziari (1)

a)      la sottoposizione di tutte le forme previdenziali alle stesse norme prudenziali, con l’eccezione delle forme assicurative alle quali si applicano le norme di settore;
b)     la possibilità dei fondi pensione di strutturarsi in uno o più comparti caratterizzati da allocazioni di portafoglio diverse e rispondenti a gradi di propensione al rischio e bisogni previdenziali degli aderenti;
c)      l’obbligo per i fondi negoziali di affidare la gestione finanziaria a soggetti professionali, scelti attraverso una procedura competitiva;
d)     la verificabilità dei risultati della gestione anche mediante l’adozione di parametri oggettivi e confrontabili (i benchmark);
e)      un’ampia platea di prodotti in cui i fondi hanno facoltà di investire – le principali esclusioni riguardano gli investimenti immobiliari, i prodotti derivati che non hanno finalità di copertura dei rischi o che generano un effetto di leva finanziaria superiore all’unità, i prodotti che non consentono la verifica dei limiti di investimento, il cosiddetto “look through”, e, infine, gli Oicr non armonizzati tra i quali figura la stragrande maggioranza degli hedge fund;
f)       l’individuazione di criteri gestionali di tipo qualitativo – sana e prudente gestione che si sostanzia negli obiettivi di diversificazione degli investimenti e dei rischi, efficiente gestione del portafoglio, contenimento dei costi, massimizzazione dei rendimenti;
g)     la definizione di criteri gestionali di tipo quantitativo (2) che attengono per un verso alla limitazione degli investimenti in titoli di una stessa società o di società di cui gli iscritti al fondo sono dipendenti (con il fine di prevenire potenziali conflitti d’interesse) e per l’altro verso alla identificazione di soglie oltre le quali non è consentito l’investimento in determinati strumenti, ancorché rientranti nell’ambito dei valori mobiliari facenti parte della lista dei prodotti ammessi;
h)     il potere accordato alla Covip di disporre il superamento o il restringimento dei predetti limiti all’investimento quando la situazione particolare di un fondo lo richieda;
i)       l’obbligo imposto ai fondi pensione di informare su base triennale gli iscritti su politiche di investimento, metodi di misurazione e gestione del rischio, ripartizione strategica delle attività in funzione di natura e durata delle prestazioni pensionistiche;
j)       la previsione di un obbligo di contabilizzazione dei titoli in portafoglio a valori correnti che di fatto implica una sorta di preferenza per gli investimenti mobiliari quotati e che beneficiano di un mercato secondario.
Tale quadro normativo, unitamente a una condotta prudente dei gestori, ha consentito ai fondi pensione italiani di non restare sostanzialmente coinvolti nella distribuzione di prodotti che, come nel caso dei bond Parmalat e Cirio, e ora di quelli legati ai mutui americani, hanno invece penalizzato numerosissimi investitori istituzionali operanti sui mercati internazionali.
Ciò non è accaduto tanto in virtù di stringenti limiti quantitativi all’investimento, ma piuttosto grazie a criteri prudenziali che hanno indotto i fondi a rispettare principi di diversificazione degli investimenti e monitoraggio del rischio e a rispondere del loro operato anche attraverso la verificabilità dei risultati ottenuti..

Iscritti informati

Ciò che tuttavia conta nel lungo periodo è conseguire dal risparmio previdenziale il rendimento necessario a garantire il surplus occorrente a determinare una rendita pensionistica di livello adeguato. Dunque, la prudenza negli investimenti è certamente cruciale, ma deve accompagnarsi all’oculatezza gestionale, a sua volta garantita unicamente da una corretta individuazione dell’asset allocation strategica dei fondi e dal ricorso a gestori di elevato ranking professionale. Ed è perciò fondamentale che si affinino sempre di più le capacità di analisi e valutazione degli organismi dirigenziali dei fondi attraverso una selezione accurata dei loro componenti. Da questo punto di vista, elevata è la responsabilità delle parti sociali. Così come elevata è la responsabilità di banche e assicurazioni, quali entità promotrici dei fondi aperti e dei Pip, nel cogliere fino in fondo la finalità sociale del risparmio previdenziale.
Il compito dell’Autorità di vigilanza è essenzialmente quello di analizzare permanentemente le capacità dei fondi di gestire con equilibrio la loro esposizione al rischio di mercato, tenendo conto delle necessità previdenziali degli aderenti. A tal fine, un modello di vigilanza “risk based” che combini i profili del controllo sull’assetto organizzativo e sulla condotta gestionale dei fondi, della piena confrontabilità dei diversi prodotti e quello della sempre più completa informativa agli aderenti, fornisce maggiori garanzie di risultato, pur necessitando di costanti affinamenti.
È prossima l’introduzione anche in Italia del cosiddetto progetto esemplificativo, un documento che i fondi pensione dovranno mettere a disposizione degli iscritti e dal quale sarà possibile evincere l’entità del montante accumulato e una stima dell’importo iniziale della rendita pensionistica: consentirà agli aderenti di disporre di informazioni di base sull’andamento del loro investimento previdenziale. Si tratta di un elemento di modernizzazione che dovrebbe permettere di conseguire, all’interno dell’industria dei fondi pensione, standard di verificabilità del risultato atteso a scadenza, all’avanguardia nel più ampio universo del risparmio gestito.

(1)L’attività di gestione finanziaria delle forme previdenziali è disciplinata essenzialmente dall’art. 6 del Dlgs n. 252 del 2005 e dal decreto del ministro dell’Economia n. 703 del 1996. Per le forme di tipo assicurativo si applica l’art. 13, comma 3, del Dlgs 252/05 che rinvia alla disciplina del Dlgs 209/05, cosiddetto codice delle assicurazioni.
(2) In generale per limitare il rischio paese il legislatore ha introdotto per i fondi pensione vincoli stringenti all’acquisto di titoli emessi da soggetti, pubblici o privati, residenti in paesi non appartenenti all’area Ocse. I fondi possono infatti acquistare titoli emessi da residenti in tali Stati nel limite massimo del 5 per cento del patrimonio e solo a condizione che essi siano negoziati su mercati regolamentati dei paesi UE, Usa, Canada e Giappone. Per quanto, invece, concerne i limiti quantitativi volti a ridurre il rischio di mercato, i titoli che non sono negoziati in mercati regolamentati di Usa, UE, Canada e Giappone sono limitati al 50 per cento del patrimonio del fondo. In particolare, i titoli di debito e di capitale emessi da soggetti privati non possono superare il 20 per cento del patrimonio.
Per contenere i rischi di cambio, il legislatore ha previsto che almeno un terzo degli investimenti del fondo sia nella stessa valuta di erogazione delle prestazioni.
Infine, per ridurre il cosiddetto rischio di concentrazione, il fondo pensione non può possedere azioni (con diritto di voto) della stessa società per un importo superiore al 5 per cento del capitale (ovvero del 10 per cento se la società non è quotata) o comunque in misura tale da consentire l’esercizio di una influenza dominante. Il fondo non può investire più del 15 per cento del patrimonio in titoli di debito e di capitale emessi dallo stesso soggetto o appartenenti allo stesso gruppo, esclusi i titoli emessi da Stati aderenti all’Ocse. Nel caso in cui i titoli non siano negoziati in mercati regolamentati di Usa, UE, Canada e Giappone la percentuale si riduce al 5 per cento.

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  1. Federico De Vita

    Gentile dott Mangiatordi, capisco la sua apprensione per prodotti derivati o fondi hedge, ma mi permetta di obiettare che il suo punto di vista sul rischio finanziario pecca un po’ di ingenuita’ o forse di poca ambizione. Non e’ limitando l’universo degli investimenti possibili che si diminuisce il rischio, ma e’ verificando – possibilmente ex ante – che chi gestisce il rischio lo faccia con cognizione di causa. Di mestiere gestisco il rischio di fondi singoli e fondi di fondi. Lo scopo ultimo dei nostri fondi e’ di tipo pensionistico o, quantomeno, i nostri investitori hanno una propensione al rischio simile a quella degli investitori di un fondo pensione. Abbiamo, tuttavia, piena liberta’ di movimento. Pratichiamo poca leva finanziaria sui nostri prodotti per scelta, ma non ci limitiamo a usare i derivati per protezione diretta. Le faccio un esempio: a fine luglio abbiamo comprato opzioni put sul greggio, pur non avendo futures sul greggio in portafoglio. La posizione non poteva essere formalmente chiamata protettiva (e pertanto secondo il suo schema avremmo fatto qualcosa di illecito), ma il greggio e’ calato, nelle successive settimane di parecchi punti, proteggendoci non poco e dandoci una mano ad avere un risultato finale per agosto piu’ che accettabile. La scelta era stata dettata da un’analisi piuttosto profonda dell’asset finanziario, fatta da punti di vista diversi per evitare di aggiungere rischio al rischio. Qui a Londra l’ambiente finanziario e’ molto diverso da quello italiano, me ne rendo conto. Ma trovo che la vera forza della squadra in cui lavoro sia il fatto che tutti i membri hanno una qualifica adeguata (io ho un PhD, gli altri sono CFA; tutti siamo soggetti formalmente autorizzati dalla Financial Services Authority). Questo e la mancanza di un conflitto di interessi – molti gestori che quest’estate hanno perso cifre drammatiche si sono comunque arricchiti a livello personale – effettivamente fanno la differenza. Credo davvero che cercare di affrontare il problema alla radice sia un’idea migliore che tarpare le ali a dei gestori bravi. Cordiali saluti, Federico De Vita

    • La redazione

      Chi le scrive ha il grave difetto di avere una formazione giuridica e quindi di dare per scontato che descrivere un sistema di regole non implichi dare un giudizio di valore sulle regole medesime. Off the records, quando si è per la prima volta affrontato il problema della revisione del dm 703 (senza che peraltro si giungesse ad alcuna conclusione) ricordo che patrocinai la tesi che, con tutti i possibili caveat del caso, l’investimento in hedge funds potesse essere ammesso anche per i FP a condizione che non se ne limitasse la latitudine ai soli HF italiani che costituiscono un segmento minimo del mercato.
      Per quanto riguarda i derivati, sarò pure ingenuo, ma, caro De Vita, a me pare che le regole stabilite dal 703 in proposito siano sacrosante e che ammettano l’investimento in tale categoria di strumenti, escludendo soltanto quelli tra essi di carattere puramente speculativo che mal si conciliano con le finalità previdenziali di lungo termine perseguite dai FP.
      Al fondo, comunque, resto convinto che l’impianto del 703, con qualche intervento di ammodernamento,  abbia un taglio, essendo basato sul canone della sana e prudente gestione, che è difficile definire illiberale. Il problema è che non sempre se ne conoscono davvero tutti i profili.  Circolano al riguardo idee non del tutto pertinenti che l’articolo aveva l’ambizione (o l’illusione) di rettificare.

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