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I RISCHI DELLA MIFID

Le novità introdotte dalla direttiva Mifid 2 rappresentano un passaggio epocale, di cui l’opinione pubblica non sembra avere una percezione adeguata. Con qualche rischio perché resta irrisolta la questione della migliore esecuzione dell’ordine di acquisto o vendita e della trasparenza nei nuovi mercati internalizzati. Le informazioni su prezzi e volumi dei titoli scambiati vanno concentrate in un organismo istituzionale indipendente e facilmente accessibile a tutti gli investitori. Altrimenti si darà l’impressione di una giungla degli scambi.

Le innovazioni introdotte dalla direttiva Mifid 2 rappresentano un passaggio epocale, ben oltre quella che sembra essere la percezione dell’opinione pubblica. Lascia quindi stupiti che rivolgimenti in campo finanziario di così grande rilievo, perché forieri di importanti conseguenze anche per gli investitori, siano stati predisposti in un ambiente quasi ovattato, in modo garbato e, in apparenza, senza grandi tensioni, in un processo per lo più condotto dagli addetti ai lavori, caratterizzati da una singolare e invidiabile concordia di intenti.
Non sono trapelati i contrasti che normalmente emergono quando si toccano interessi forti, complessi e per di più riguardanti un perimetro multinazionale. Il grande pubblico sembra essere rimasto in un suo incosciente nirvana, da cui però potrebbe venire richiamato bruscamente alla realtà.

La Borsanon sarà più la stessa

Molti possono ingenuamente pensare che, in fondo, la Borsa è e sarà sempre la stessa, poco importa se gridata o ‘cliccata’, e che gli intermediari comunque ricopriranno sempre lo stesso ruolo svolto in passato. La situazione è invece ben diversa, tanto che lo stesso nome Borsa, se pure si manterrà per il vecchio ma sminuito mercato regolamentato, sarà più o meno svuotato di contenuto, di fatto e di diritto, col rischio di diventare un mero paravento dietro il quale si muoveranno vari segmenti di un mercato non più tale, se non in quanto i segmenti stessi siano tenuti insieme dai fili dell’informativa, pre e post-trading. Sempre che tali fili permangano davvero e non vengano, di fatto, recisi.
Non è possibile pensare che nello spirito di rispetto della competitività possa essere tollerata una situazione di rischio per cui possano ingenerarsi occasioni per alcune categorie di operatori professionali di istituzionalizzare una asimmetria informativa potenzialmente a scapito della propria clientela. Essi potrebbero beneficiare di un’informazione privilegiata captata attraverso il flusso degli ordini della clientela, come del resto già avviene anche a beneficio di intermediari che operino come market maker. Ma, in più, gli internalizzatori sarebbero messi in condizione di beneficiare direttamente addirittura di una rendita di posizione per la possibilità di lucrare uno "spread" senza rischio, ove potessero operare sul timing delle negoziazioni in modo opportunistico. Occorre quindi che sia evitato alla base uno scenario simile e, allo scopo, sia posta la massima attenzione perché si renda effettiva e agevole la facoltà da parte di chiunque vi abbia interesse di verificare ex-post l’effettivo rispetto della "best execution" attraverso la puntuale e sistematica “contestualizzazione” ex-post delle condizioni di ogni negoziazione.
Era, del resto, proprio quanto postulava anche l’Abi in una nota del novembre 2002 quando affermava: “La concorrenza tra le trading venues si realizza solo se viene garantita, in tempo reale e su base aggregata, l’informazione sulle proposte di negoziazione provenienti da tutte le trading venues Alla luce di quanto precede, l’Abi ritiene che l’obiettivo di un “single european financial market” si realizzi con l’adozione dei seguenti strumenti:

a) la piena confrontabilità delle condizioni offerte dalle trading venues, assicurata dalla market transparency pre e post-trade;
b) il libero accesso degli intermediari e investitori comunitari a tutte le trading venues e alle relative strutture di post-trading, attraverso la previsione dell’obbligo, per tutti gli Stati membri, di rimuovere gli ostacoli (legislativi, fiscali, tecnici ed amministrativi) a tale accesso.
Fintantoché tale sistema competitivo non sarà realizzato, non vi sarà concorrenza effettiva tra trading venues; sarà allora opportuno che i singoli Stati membri non rinuncino, a livello nazionale, alla disciplina della market transparency (pre e/o post-trade) attualmente vigente, eventualmente utilizzando, come supporto, lo strumento della concentrazione».
Gli intermediari finanziari, ancorché sia loro concessa la facoltà di trasformarsi in società-mercato, debbono ricordare di rimanere pur sempre parte di uno schema più ampio, che ha lo scopo di migliorare il rapporto rendimento/rischio sia per gli emittenti titoli, sia per i loro sottoscrittori. Devono rimanere quindi entità fornitrici di servizi ed è opportuno non possano incorrere nel rischio di strumentalizzare lo schema a proprio vantaggio. Le società-mercato non dovrebbero dunque essere esclusivo appannaggio degli intermediari, ma vedere una significativa partecipazione delle altre componenti del mercato finanziario.

Una situazione rischiosa

Un pessimo esempio di quanto paventato è già sotto gli occhi di tutti: la trasformazione pressoché inarrestabile e generale degli intermediari bancari da prestatori di denaro in importanti emittenti, essi stessi, di strumenti finanziari complessi, in sostanza veicoli del trasferimento del rischio dalla banca al mercato, dove inconsapevoli investitori sottoscrivono titoli non quotati, assumendo potenziali rischi ben al di là del ragionevole in un ambiente di scarsa o nulla trasparenza. Poco è mancato si arrivasse già in questa estate del 2007 a una crisi del sistema a livello mondiale, ben maggiori sono però i rischi che possono derivare da questa situazione. Riteniamo, infatti, che le normative sinora predisposte non diano agli utenti finali del mercato una completa e inoppugnabile garanzia dell’effettiva e controllabile migliore (per loro) esecuzione degli ordini.
Solo la concentrazione ex-post delle informazioni di prezzi e volumi dei titoli scambiati in un organismo istituzionale indipendente, che permetta in modo facile e gratuito una visura sulla "contestualizzazione" dell’eseguito dell’ordine, può evitare di istituzionalizzare agli occhi degli investitori una giungla degli scambi. Un concreto e grave rischio reputazionale potrebbe infatti innescarsi se si generasse presso gli investitori il sospetto dell’esistenza nel mercato di un sistematico e irrisolto conflitto di interessi a loro svantaggio.

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ASPETTANDO UN EURO PIU’ DEBOLE *

  1. Giancarlo Lodigiani

    Lavoro da oltre 20 anni sui mercati finanziari, ho lavorato sia all’estero che in italia.
    Mi confronto con Mifid dal 2004.
    Trovo il tono dell’articolo troppo allarmistico e sensazionalistico.
    Vorrei rassicurare gli autori che Mifid è un salto avanti dal puto di vista di armonizzazione a livello EU, che porterà ad un mercato “migliore” e a una protezione dell’investitore molto maggiore di prima.
    In 1200 caratteri però mi è difficile affrontare tutte gli aspetti di Mifid e confutare e affermazioni dell’articolo che non condivido .
    Se ci dovesse essere interesse, possiamo senz’altro approfondire l’argomento.
    Voglio solo dire che in Italia abbiamo avuto vari spiacevoli “incidenti” negli ultimi anni.
    Nei miei anni a Londra invece non ho vissuto vicende di simile gravità, e ogni volta che c’e’ stato un “incidente” (Polly Peck, Maxwell, pension plans mis-selling e altri) ho visto interventi delle autorità, provvedimenti, processi e condanne rapidi.
    Ecco, Mifid ci avvcina al modello UK, e la cosa in qualche modo mi rassicura.
    A disposizione per approfondimenti.
    Migliori saluti
    gcl

  2. Roberto Calcagno

    Un esempio concreto di minor trasparenza derivante dall’applicazione della MIFID: dando un ordine sul MOT, posso verificare l’operato dell’intermediario in merito all’eseguito o il non eseguito al dato limite di prezzo imposto perchè sono disponibili su internet sul sito di borsa italiana in ordine cronologico tutti i contratti eseguiti con quantità e prezzo di esecuzione. Sul mercato TLX (trading venue controllata pariteticamente da Unicredit e SanPaolo Intesa, vale a dire le due maggiori banche italiane, dove a seguito della MIFID vengono dirottati di default da queste due banche gli ordini sui titolo di stato), tale informativa non viene data e non c’è modo quindi di verificare l’operato dell’intermediario.

  3. Marco Ullasci

    Ieri sono passato in banca per sottoscrivere alcuni bot trimestrali alla prossima asta e mi e’ stato chiesto di rispondere ad un questionario relativo alla mifid. Per aiutarmi a capire di cosa si trattasse ho ricevuto un libretto che in quarta di copertina presenta una lunga teoria di associazioni di consumatori che supportano questa informativa. Dire che non e’ informativo e’ riduttivo. Non mi ritengo un esperto, ma qualche curiosita’ nel tempo me la sono tolta in ambito finanziario, sia sulla carta che in lire ed euro reali e dal libretto mi chiedo come l’impiegato medio con qualche risparmio da investire possa mai capirci qualcosa. Aggiungo che nel libretto si parlava tanto di "consulenza" ma la mia interlocutrice a malapena aveva udito qualche volta il termine ETF che considera piu’ rischiosi dei fondi di investimento tradizionali, che consulenza possa arrivare non saprei.

  4. Massimiliano Forte

    La MiFID introduce competitività e concorrenza negli scambi degli strumenti finanziari, incrementa la trasparenza informativa verso gli investitori e rende le regole di condotta più stringenti con riguardo alla correttezza dei comportamenti degli operatori. Leggendo il commento degli autori mi sorge il dubbio che la valutazione del rischio sia prettamente frutto di un’analisi teoretica degli impatti della direttiva sul mercato. La MiFID nasce in un contesto economico/politico che manifesta il bisogno di istituire un’armonizzazione delle regole del gioco; essa è una direttiva di stampo anglosassone che introduce regole innovative e forse ancora non adatte a mercati finanziari poco maturi come quello italiano. In linea generale la Direttiva copre i suoi obiettivi, e non ho la sensazione che i rischi paventati dagli autori siano tali da mettere in crisi la fiducia del risparmiatore verso il sistema. Più che la migliore esecuzione degli ordini, il pilastro del rapporto fiduciario investitore-mercato è la correttezza dei comportamenti degli operatori e il rispetto della propensione al rischio di investitori inconsapevoli.

    • La redazione

      Siamo ben consci che è facile smarrirsi nei mille dettagli della Mifid (gli alberi) e perdere di vista il disegno generale (il bosco). Il disegno era quello di unificare il mercato finanziario facendo cadere le barriere nazionali; questo per ridurre gli oneri di intermediazione e gli eventuali ostacoli alla circolazione dei titoli e
      degli operatori. E fin qui benissimo. Ma non è vero quanto Forte afferma: che la direttiva sia "di stampo anglosassone". E’, al contrario, di stampo renano. Nel mondo anglosassone le Borse sono massimamente autoregolate ("Dictum meum pactum", figura nello stemma della LSE), e la legge viene da ultimo; nel mercato finanziario anglosassone, inoltre, si annoverano varie figure di operatore finanziario, che intervengono variamente sul mercato.
      Nel mondo tedesco, invece, prevalgono le disposizioni normative di legge e prevale (anzi, è praticamente sola) la banca mista, quasi universale.
      E’ apodittico che la Mifid tuteli meglio l’investitore: lo comprova la pesantezza della regolamentazione Mifid. Specialmente per evitare gli abusi di mercato, vedi l’internalizzazione degli ordini e la "best execution". Non c’è esecuzione migliore di quella effettuata dall’intermediario che non abbia precostituito un suo portafoglio titoli, di cui magari è anche emittente diretto. Chi unisce professionalmente l’esecuzione degli ordini della clientela all’attività di compravendita in
      proprio è, ineluttabilmente, esposto al sospetto di poter postergare l’interesse altrui a quello proprio. Sta qui un primo rischio di perdita reputazionale.

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