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UNA GIUSTIZIA DOUBLE FACE

Solo attraverso obiettivi realizzabili e un richiamo alla responsabilità si pongono le premesse perché le valutazioni di professionalità e le sanzioni abbiano possibilità di essere giuste, effettive ed efficaci: puntare tutto sulla frusta e sul conflitto permanente non ha funzionato con nessuna categoria professionale. E non funzionerà con i magistrati. A meno che l’obiettivo non sia una giustizia al ribasso, che assicuri alla classe politica la tranquillità, intesa come sicurezza e impunità.

Sui temi della giustizia, dobbiamo forse pensare che il governo Prodi fosse il migliore possibile? Paragonato al precedente, quell’esecutivo – o meglio, una sua parte – ha abbandonato posizioni puramente ideologiche e mostrato un certo buon senso e qualche tentativo di fare cose concrete. Ma poco di più.

IN UN VICOLO CIECO

La “legge Mastella” ha modificato l’“ordinamento Castelli” in alcune parti importanti, ma ha confermato soluzioni di fondo in tema di procure della Repubblica, decentramento e controllo di gestione che mostrano una significativa debolezza. Sul piano degli interventi strutturali assai poco si è fatto, a dimostrazione che solo una parte del ministero ha creduto nella possibilità di migliorare il servizio. Se l’obiettivo era riqualificare la spesa e favorire l’innovazione, soltanto il dipartimento dell’organizzazione giudiziaria ha cercato di intervenire tra difficoltà, anche interne, che non hanno permesso risultati rilevanti. Sul terreno delle riforme sostanziali e processuali, il lavoro delle nuove commissioni ministeriali ha prodotto qualche spunto positivo, ma all’interno di un progetto che tutti sapevano non sarebbe approdato in Parlamento e non avrebbe avuto nessuna prospettiva di effettività. Sul piano dei rapporti con il Consiglio superiore della magistratura, il ministro non è andato oltre posizioni di corretta ma formale relazione. Insomma, nessun cambio di passo.
Dovremmo chiederci cosa impedisce alla politica italiana di uscire dal vicolo cieco in cui si è cacciata dopo la stagione del “progetto Flick”, che a distanza di soli dieci anni ci appare mitica.  Non dimentichiamo che quella stagione sorse nel momento in cui “Mani pulite” manifestava tutti i suoi effetti sui rapporti tra politica e magistratura e rappresentò un tentativo di guardare in avanti e di “pacificare” le istituzioni attraverso un intervento coordinato che abbracciava riforme strutturali, processuali e ordinamentali.
Un ostacolo all’uscita da quel vicolo è, probabilmente, la non solo sotterranea sintonia che attraversa settori importanti di entrambi gli schieramenti politici e che, con diversi livelli di aggressività, manifesta il disagio insopportabile e il bisogno di reagire all’idea che la giustizia penale possa interferire sulla faticosa ricerca di compromessi ed equilibri condotta dai partiti politici e dai settori economici e istituzionali di riferimento. (1)
La lunghissima e contraddittoria transizione politica è la causa prima della mancata risposta ai bisogni di giustizia della nostra società.
La domanda diventa, così, se in una realtà tanto complessa potremmo mai avere una giustizia efficace quando la politica non sa essere giusta.

OFFRIRE UNA CHIARA CONTROPARTITA

Nelle situazioni di debolezza istituzionale ogni categoria tende a dare il peggio di sé, anche a dispetto delle persone che, al contrario, proprio in questa difficoltà trovano gli stimoli per dare il meglio.
Valorizzare queste potenzialità e farne il perno del cambiamento è possibile, ma a condizione che il sistema politico esca dalle secche in cui si trova e accetti il rischio di lavorare per una giustizia migliore privilegiando la consapevolezza che la qualità della risposta giudiziaria finisce per essere una garanzia per tutti, o almeno per tutti gli onesti.
Una cosa è certa: un governo che pensi di intervenire sulla giustizia contrapponendo frontalmente il proprio ministro al Consiglio superiore della magistratura, può solo aggravarne la crisi. Conosciamo tutti i limiti del Consiglio superiore, che in fondo sono i limiti della magistratura come categoria e come corpo. Ma quei limiti possono essere affrontati solo con una prospettiva “in avanti”, che elimini gli alibi e metta ciascuno davanti a scelte di responsabilità.
Nella consiliatura 2002-2006 i laici eletti dal centrodestra, mai così numerosi e determinati, hanno sfruttato i difetti e le debolezze del corpo giudiziario con finalità ora paralizzanti ora di pura gestione. Per finalità politiche e ideologiche hanno fatto da sponda alla magistratura conservatrice e sfruttato cinicamente le logiche clientelari e corporative; col risultato di bloccare ogni cambiamento in tema di responsabilità organizzative, di criteri di nomina agli incarichi direttivi, di rafforzamento della formazione professionale.
Ben altro dovrebbe fare oggi una politica che intenda mettere davvero la magistratura di fronte alle proprie responsabilità: pochi obiettivi concreti e praticabili, una riserva di risorse da impiegare selettivamente, una chiara contropartita in cui, ad esempio, si dica: noi vi diamo da subito le risorse per l’innovazione tecnologica e per “l’ufficio per il processo”, ci impegnano a semplificare in un anno il processo civile e penale, investiamo sui servizi al cittadino, apriamo un tavolo di coordinamento con il Consiglio superiore; voi in due anni ci dovete dare un’organizzazione seria degli uffici, una scelta dei dirigenti adeguati alle necessità, un intervento deciso su chi non garantisce l’impegno e l’aggiornamento necessari.  
Solo ponendo obiettivi realizzabili e chiamando alla responsabilità si mettono le premesse perché le valutazioni di professionalità e le tanto invocate sanzioni abbiano possibilità di essere giuste, effettive ed efficaci: puntare tutto sulla frusta e sul conflitto permanente non ha funzionato con nessuna categoria professionale.
A meno che l’obiettivo della politica sia, piuttosto, una giustizia al ribasso, che assicuri alla classe politica la tranquillità, intesa come sicurezza (in basso) e impunità (in alto). Una giustizia “double face”. Ma perché pensare sempre male? Lasciamo che siano i fatti a parlare.

(1) Si pensi al dibattito post intervento del ministro Mastella in parlamento.

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  1. Fichera Giancarlo

    Di fronte ai problemi irrisolti della Giustizia rimango esterrefatto. Che cosa si aspetta ad informatizzare al 100% tutte le procedure giudiziarie (mi riferisco a quelle afferenti la giustizia civile, perchè quella penale la conosco poco). Sono anni che se ne parla ma non c’è nessun progresso in questo settore: anzi, quei pochi computer che vedo nei tribunali civili sono ormai ampiamente obsoleti. Forse basterebbe nominare come direttore dell’organizzazione un esperto del ramo invece che il solito magistrato che non sa da che parte si comincia? Che cosa si aspetta a riformare il processo civile mutuando le forme ad esempio dell’arbitrato: giudice unico che deve dare un responso entro 60 giorni (salvo eccezioni in caso di necessità di perizie) e, nel caso di ritardo, penalizzazione del giudice inadempiente. Giudici (parlo sempre dei civili) pagati con un importo fissato al minimo e integrato sulla base del numero delle sentenze emesse e della velocità della conclusione dei processi stessi. E così via, ma so bene che la lobby dei magistrati e degli avvocati impedirà qualsiasi riforma perchè fa comodo a tutti, compresa l’obbligatorietà del patrocinio legale,che è incostituzionale.

  2. Salvatore Rapisarda

    Complimenti per la pacatezza e pertinenza delle osservazioni. Per comprendere meglio i problemi tuttavia occorre proseguire nella logica dell’articolo. Un sistema liberale serio richiede la presenza di uno stato fortissimo che sia in grado di porre e fare rispettare le regole a difesa dei soggetti deboli. La politica ha interesse a polarizzare artificiosamente il bisogno di giustizia verso il basso, meglio che la gente tema l’extracomunitario che il Calisto Tanzi di turno o lo spacciatore internazionale di droga. Il tutto agevolato da una società che si occupa molto della violenza reale ma per nulla di quella virtuale. Cosa si dovrebbe fare? La prima misura necessaria sarebbe quella semplicissima di assumere un numero elevato di magistrati. Meglio un modesto laureato che si legge le carte processuale che non un mostro di bravura che non conosce la causa. La seconda nei reati contro il patrimonio di distinguere i reati sulla scorta del danno patrimoniale non si può trattare allo stesso modo un (peculato, una truffa etc) di "poche lire" e quello di milioni di euro. La terza proposta è quella di rivalutare le sanzioni pecuniarie.

  3. umberto.bocus

    Troppo comoda una Giustizia ridotta in questa situazione. Quante sono le pratiche che si perdono o che viaggiano verso nebbie prescrittive!

  4. Jean Baptiste Clamence

    Il sig. Giancarlo Fichera centra uno dei problemi della Giustizia: l’onnipresenza (ma non l’onniscienza) dei magistrati, che occupano posizioni di responsabilità nell’organizzazione giudiziaria – che potrebbero meglio essere ricoperte da manager professionisti – al tempo stesso abbandonando il lavoro per il quale sono stati assunti e pagati: quello di giudici e PM. I radicali fecero un dossier sulla lottizzazione dei posti di comando tra le varie correnti del CSM (http://www.radicali.it/view.php?id=104716) che dimostra in modo eloquente come i criteri per la copertura delle posizioni dirigenziali al Ministero della Giustizia siano tutt’altro che quelli dell’efficienza e del merito.

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