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EXPO VUOL DIRE SVILUPPO?

Nell’entusiasmo per l’assegnazione dell’Expo 2015 a Milano, forse è meglio non accettare in maniera acritica affermazioni non dimostrate sugli effetti benefici della manifestazione. Perché le incertezze sono molte. A partire dal bilancio finale dell’organizzatore: eventuali perdite sarebbero pagate dallo Stato italiano. Nel calcolo dell’impatto occupazionale non si considera l’effetto sostituzione. Quanto alle infrastrutture, seppure utili, la loro costruzione non dipende dall’evento.

L’assegnazione a Milano dell’Expo 2015 è stata accolta con molto entusiasmo, confermando ancora una volta che i grandi eventi, dall’Esposizione universale alle Olimpiadi, hanno un forte sostegno a priori non solo dei decision maker, ma anche dell’opinione pubblica. Di fronte a questo sostegno trasversale, è giusto che l’economista faccia il suo mestiere e provi a indagarne i possibili effetti reali, al di là delle solite immagini retoriche utilizzate dai promotori: oggi "l’Expo pagherà l’Expo", come i greci dissero a suo tempo "i giochi pagheranno i giochi" .

UNA SCOMMESSA AL RIALZO

L’economia dei grandi eventi è poco studiata. La gran parte del materiale disponibile proviene dai promotori stessi o della stampa che ne commenta, in itinere, gli esiti più visibili. Tuttavia, alcuni lavori, ancora per certi aspetti "pionieristici", sono stati sviluppati. Baade e Matheson, in una lucida analisi, ricordano come il contesto stesso di competizione, con il potere di monopolio dell’ente accreditatore (solo il Bie può concedere una Exposition Universelle, solo il Comitato olimpico internazionale può attribuire le Olimpiadi), crea una situazione di svantaggio per le città candidate. (1) In primo luogo, sono sottoposte a un meccanismo di rilancio: nel processo di candidatura, la configurazione che ottimizza il bilancio costo-beneficio per il territorio non è un punto di equilibrio stabile; i candidati devono a più riprese aumentare la posta per accrescere le loro probabilità di successo. Una volta entrati, non c’è niente che consenta di uscire da questo meccanismo e che garantisca che il bilancio rimanga positivo. (2)
Va poi considerato il sistema delle royalties che gli organizzatori devono pagare agli accreditatori per poter organizzare l’evento: illustra alla perfezione i meccanismi di estrazione della rendita da parte del monopolista. Le royalties sono talmente cospicue che alcuni organismi le coprono della massima riservatezza. (3) Se è comune percezione che i grandi eventi comportano un flusso di reddito per la città ospite, meno diffusa è la percezione che questo reddito ha come contropartita una spesa. Bisogna però ammettere che le informazioni disponibili sull’Expo 2015 sono piuttosto rassicuranti: si parla di 11 milioni di euro (4), facendo sperare che non sia stata estratta tutta la rendita.

LA VALUTAZIONE DEI COSTI-BENEFICI

Il punto più critico risiede forse altrove, nella visione distorta dei costi e benefici che può nascere da un progetto del genere.
La considerazione più banale riguarda l’equilibrio economico dell’organizzatore, che in caso di mancata realizzazione degli incassi previsti (5) si troverebbe costretto a chiedere l’applicazione della garanzia dello Stato italiano. (6) Ma al di là dell’equilibrio dell’esercizio, sia a livello dell’ente organizzatore, sia dell’insieme delle amministrazioni coinvolte, quello che merita l’attenzione degli economisti è l’effettivo interesse della collettività nazionale a ospitare un simile evento.
Lavori di analisi economica che fanno uso di concetti cardine, come il surplus, sono rari. Tuttavia, uno studio sulle Olimpiadi invernali di Vancouver del 2010 mostra come queste rappresenteranno per il Canada una perdita netta di benessere. (7) Non tutti i dati necessari sono disponibili e il lavoro si basa su ipotesi perfettibili, tuttavia ricorda a chi lo vorrebbe dimenticare, che al di là dell’equilibrio finanziario degli enti promotori, quello che conta è il contributo delle risorse investite al benessere delle popolazioni.
Tra gli argomenti a favore di un evento di questo tipo si cita quasi sempre l’eredità che lascia. Ci sono tuttavia seri dubbi sull’utilità di molte delle opere realizzate per l’Expo. Di solito, il suo formato implica che diversi padiglioni siano temporanei. Quanto poi agli investimenti più duraturi, in particolare nelle infrastrutture di trasporto, è difficile sostenere che non abbiano un’utilità sociale rilevante, tuttavia sarebbe sbagliato attribuirli all’Expo, tanto che lo stesso dossier di candidatura li categorizza, in maniera corretta, sotto la voce "infrastrutture non legate alla realizzazione dell’Expo".
E sono da prendere con cautela anche le cifre indicate sugli effetti occupazionali. I promotori calcolano l’impatto indiretto della gestione dell’evento a 12.734 posti di lavoro: "ad esclusione dell’occupazione direttamente creata dall’Expo" sostiene il capitolo 21 del dossier di candidatura. Sarebbe comunque più giusto un calcolo che tenesse conto esplicitamente degli effetti di sostituzione. (8) E la pratica di contabilizzare nell’impatto dell’evento sia l’occupazione diretta, che quella indiretta e indotta, seppure prassi corrente nei lavori empirici, solleva forti obbiezioni concettuali. (9)
Queste considerazioni non vogliono essere una valutazione negativa della candidatura all’Expo, ma un chiaro avvertimento contro interpretazioni ingenue dell’economia dei grandi eventi. E un invito a non accettare in maniera acritica affermazioni non dimostrate sugli effetti benefici dell’Expo 2015.

PER SAPERNE DI PIU’
http://www.brunoleoni.com/nextpage.aspx?codice=4008

(1) "Bidding for the Olympics: fool’s gold?" Robert Baade e Victor Matheson. Disponibile negli atti della conferenza International Association of Sport Economists.
(2) Tranne decisioni coraggiose come quella presa nel 2002 in Francia dal nuovo governo Raffarin di rinunciare all’Expo 2004 di Dugny. Che pure pagò cospicui indennizzi a vari enti, tra cui 94 milioni di euro all’amministrazione locale promotrice del progetto, il département di Seine-Saint-Denis.
(3) Per i gran premi di Formula uno, si veda per esempio Trevor Mules, "Taxpayer subsidies for major sporting events", Sport management Review, 1998, 1, 25-43.
(4) Fonte: dossier di candidatura Expo 2015
(5) Su questo punto, le previsioni di biglietteria appaiono molte alte: 29 milioni di visitatori, una cifra considerevole rispetto alle ultime edizioni svoltesi in Europa che non hanno superato i 20 milioni (17 milioni a Hannover). Certo, l’ipotesi si basa su un prezzo del biglietto più popolare: 28 euro a tariffa piena, contro i 69 euro chiesti a Hannover. È tuttavia lecito considerare che la robustezza del piano economico prospettato per l’evento dipende completamente dell’affidabilità di questa previsione. Inoltre, anche le spese sono da considerarsi come un "wish data" soprattutto se si considerano le molte prove ormai disponibili della lievitazione dei costi nel contesto dei grandi progetti. Si vedano ad esempio le ampie evidenze raccolte da Flyvberg in merito.
(6) Sono gli Stati che candidano le città a ospitare le Expo, e devono quindi subentrare nelle obbligazioni finanziari concordati col Bie.
(7) "A cost-benefit analysis of an Olympic games", Darren McHugh, Queen’s economic department working paper n. 1097.
(8) Se, come afferma il dossier di candidatura, una grande parte delle entrate saranno dovute a italiani, c’è da chiedersi se non esiste qualche sostituto alla loro spesa per l’Expo. Dunque l’impatto occupazionale va calcolato al netto dell’effetto occupazionale negativo che può derivare dell’abbassamento dei consumi nei sostituti. In maniera più realistica, Noël de Saint Pulgent, incaricato dal governo francese di valutare la cancellazione dell’Expo di Dugny 2004, notava, nel suo dossier di sintesi "on ne sait pas bien distinguer, dans le chiffre d’affaire généré, ce qui est de l’apport net de ce qui est une substitution de consommation."
(9) Se si dovesse mettere a credito di ogni settore sia i posti di lavoro diretti e indiretti che i posti di lavoro indotti, allora si conterebbe più volte ogni posto di lavoro. I posti di lavoro degli organizzatori dell’Expo sono a loro volta indotti dall’attività degli altri settori, allora bisogna decidere se l’occupazione indotta va contabilizzata a favore del settore a monte o del settore dove si osservano. Se non si fa così e si sommano le varie tipologie di posti di lavoro, si incorre in inevitabili problemi di doppio conteggio.

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TESTIMONIANZA DI PIER LUIGI VIGNA E DONATO MASCIANDARO

  1. marco ponti

    Bravissimo, voce davvero fuori dal coro! Scrivo cose analoghe in un pezzetto sulla parte milanese della Repubblica di domani. Anche Ramella ha scitto nell’identico senso sulle olimpiadi di Torino. Dobbiamo tenerci in contatto, siamo un club davvero troppo piccolo.
    Truly
    Marco Ponti

  2. Stefano Lalatta Costerbosa

    Apprezzo molto l’oggettività dell’esposizione e credo che siano giustamente compresi tutti i motivi di cautela verso queste manifestazioni.
    Aggiungerei due ulteriori considerazioni:
    – purtroppo l’esperienza (Italia 90) insegna che tra le aspettative e la realizzazione passa un’abisso. Molte delle infrastrutture previste per i mondiali non sono mai state realizzate e altre abbandonate subito dopo
    – se si guarda ad alcuni esempi virtuosi (Barcellona 92) i grandi eventi sono dei momenti unici e irripetibili di mobilitazione di energie, risorse, progettualità che consentono alle città/paesi organizzatori di fare dei “salti in avanti” considerevoli.

  3. Dario Quintavalle

    Temo che l’unico significato dell’Expo a Milano sia dare un contentino alla nostra ex "capitale morale", ed al suo compulsivo bisogno di riconoscimento. Se si volesse fare qualcosa per i milanesi, si aprirebbero parchi e si pianterebbero alberi, non grattacieli. Ma evidentemente il modo in cui è finita la ‘Milano da bere’ degli anni 80 non ha insegnato niente.

  4. Angelo GARDINI

    Sono contento dell’Expo a Milano però occorre fare tesoro delle ultime esperienze (piano parcheggi, Citylife, Garibaldi e Santa Giulia) dove non si è affrontato un progetto ed una prospettiva. Milano è la città più cara d’Italia, dove si costruisce meno, dove stanno nascendo dei veri e propri ghetti. E’ questo che vogliamo fare vedere al mondo ? Spero che non sia come spesso in Italia la solita occasione persa. Si concilia in questa mia visione con la disamina di questo articolo. Tante belle parole e proclami, ma cosa serve davvero a Milano per l’Expo ed avere un futuro ed una speranza? Grazie a tutti

  5. Emilio Battisti

    L’Ordine degli Architetti ha dato avvio a quattro incontri per discutere delle più recenti edizioni dell’Expo che si sono tenute a Lisbona nel 1998, a Siviglia nel 1992, a Hannover nel 2000 e in Svizzera nel 2002 con la prospettiva di concludere con un incontro conclusivo che si terrà alla Triennale in maggio. Il caso di Lisbona, presentato dall’architetto e assessore all’urbanistica Manuel Salgano, è stato commentato da Federico Acuto e Vittorio Gregotti e illustrato da un bel servizio fotografico di Marco Introini, mentre Salvatore Carrubba ha fatto da moderatore. Molto incisiva l’introduzione di Daniela Volpi che ha posto una serie di domande alle quali si dovrebbe dare responsabilmente risposta. L’esperienza di Lisbona, per quanto realizzata soltanto dieci anni fa e esemplare per la sua gestione politico amministrativa, appare già comunque del tutto inattuale. Vedremo se le altre esperienze potranno offrire qualche spunto di riflessione più utile…

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