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SARKOZY E’ DAVVERO UN LIBERALE?

Il presidente francese è indiscutibilmente un uomo di destra, ma si può definirlo un liberale? Lo è da un punto di vista culturale. Sotto il profilo economico, invece, Sarkozy esprime le contraddizioni dei francesi. Vorrebbe sviluppare iniziativa privata, talenti individuali e competizione, ma non ha mai criticato apertamente il comportamento antiliberale dei settori corporativi che godono di posizioni di privilegio. Ha illuso i cittadini su globalizzazione e potere di acquisto perché non è stato in grado di spiegare che lo Stato non è onnipotente, anche se non è inutile.

Nicolas Sarkozy è indiscutibilmente un uomo di destra. Ma lo si può parimenti definire un liberale? Non saprei proprio e, del resto, la fatica dimostrata nel prendere decisioni nette, sono senz’altro all’origine delle sue difficoltà politiche.
Il liberalismo è una filosofia prima di essere una politica. Lo si può definire una dottrina di limitazione del potere, che comporta una maggiore autonomia della società, nei confronti dello Stato. Può essere economico, ma anche culturale.

IL PARADOSSO

Sotto il profilo culturale, il liberalismo, in Francia, si richiama all’eredità del Maggio ’68. Eredità che Sarkozy, durante tutta la sua campagna elettorale, ha cercato di combattere e denigrare, cosa che non avevano mai fatto i suoi predecessori. Gli è sembrato un mezzo per conquistarsi l’elettorato del Fronte nazionale e per esprimere, in tal modo, la sua volontà di rottura.
Ma questa ostentazione antiliberale risulta paradossale, dal momento che, dal punto di vista culturale, è senz’altro il più liberale di tutti i presidenti della Quinta Repubblica: la sua vita privata ne è la lampante dimostrazione. Si può quindi affermare che questo presidente, che pretendeva di essere antiliberale, lo è invece moltissimo, culturalmente parlando. Lo è certo più di un Valéry Giscard d’Estaing, ideologicamente più liberale di Nicolas Sarkozy, ma culturalmente più conservatore , anche se la legge Veil ne fa fatto un riformatore in senso liberale. (1)
Dal punto di vista economico le cose sono più complesse, perché liberalismo economico e liberalismo culturale si somigliano, senza essere sovrapponibili. Direi anzi che la Francia è uno dei paesi in cui è più evidente questo distacco. La tradizione economica liberale francese si è molto indebolita dalla fine del XIX secolo, in particolare dopo l’approvazione delle leggi Méline – e da quella data non è più riuscita a riprendere quota. (2)
Contrariamente a ciò che si crede, l’antiliberalismo non è solo appannaggio della sinistra. L’ascendente politico del gollismo e l’influsso ideologico del marxismo hanno contribuito, a partire dal 1945, a costruire una matrice statale e nazionale potente, che ha dominato la Francia per quasi cinquanta anni. Sotto il profilo culturale, tale matrice è stata messa in crisi dal maggio ’68. Ma, economicamente parlando, il cambiamento di rotta è stato meno evidente.
Il processo di sganciamento dello Stato dalla vita economica, anche se imponente, non ha automaticamente fatto della Francia un paese liberale. Persino tra i datori di lavoro esistono frangecorporativiste, che non hanno mai visto di buon occhio la modernizzazione dei rapporti sociali. Il progetto di rifondazione sociale, lanciato alla fine degli anni Novanta da Cfdt e Medef (3), si è scontrato contro l’ostilità congiunta di una parte del Medef, degli altri sindacati e del governo Jospin.
Si può addirittura pensare che più il liberalismo economico penetra nella società, più si intensifica la resistenza culturale contro di esso. Qualsiasi forma di autonomizzazione della società viene vissuta da certi settori dell’opinione pubblica come abdicazione in favore delle forze di mercato. Lo si può constatare nell’ambiente della ricerca in scienze sociali, in cui l’autonomia delle università viene accolta con diffidenza da parte di quei docenti per i quali “autonomia” equivale a mercanteggiamento. Sotto questo aspetto, la globalizzazione ha non solo esacerbato la frattura tra liberalismo economico e liberalismo culturale, ma ha addirittura legittimato l’antiliberalismo economico.
Nicolas Sarkozy esprime, in un certo senso, le contraddizioni tipiche dei francesi. È indiscutibilmente liberale quando vanta i meriti dell’iniziativa individuale e del successo personale. Lo è anche quando critica l’amministrazione dello Stato. È, infatti, convinto, molto più dei suoi predecessori, che uno Stato onnipresente non significhi, per forza di cose, uno Stato forte. Si potrebbe anche pensare che cerchi di indebolire l’amministrazione, quando quest’ultima si oppone alle riforme. Ma il suo resta pur sempre un liberalismo ambiguo.

CONTRADDIZIONI DEL SARKOSISMO

Politicamente parlando, Sarkozy avrebbe tutto l’interesse ad avere ministri forti, capaci di rifondare da zero i loro ministeri. Eppure non sembra sia così. Anzi, scavalcandoli, come fa spesso, finisce col minarne l’autorevolezza. Nicolas Sarkozy è il prodotto per eccellenza di una cultura francese volontaristica, spinta all’estremo, perché valorizza la volontà personale del presidente di conseguire un risultato. E d’altra parte, pur cercando di stimolare iniziativa privata, talenti individuali e competizione, si è sempre ben guardato dal criticare apertamente il comportamento antiliberale di alcuni settori corporativi, seguaci della destra, che godono di determinate posizioni di privilegio, come i notai, i medici, i farmacisti.
E proprio questa è una delle ambiguità del sarkozismo. Da una parte, vorrebbe sviluppare una cultura imprenditoriale, dall’altra sembra soggiogato dalla cultura del deal alla francese, in cui cioè ci si arrangia, senza modificare realmente le regole del gioco. Ciò che affascina il presidente è il risultato in quanto tale, non il metodo per conseguirlo. Si spiegherebbe così perché sembri talvolta più a suo agio con la Fo (4) piuttosto che con la Cfdt, cosa che invece non avviene col primo ministro. Da questo punto di vista, sarà interessante osservare la sorte riservata, dalla maggioranza , al progetto di legge sulla concorrenza, presentato dal ministro Christine Lagarde. Si tratta indiscutibilmente di una legge liberale, che tenta di ridurre gli accordi anti-concorrenza. Non sembra tuttavia che l’Ump sia unanime su questa strategia. Le polemiche in seno alla commissione Attali hanno dimostrato, del resto, che alcuni gruppi economici non sono favorevoli allo smantellamento di tutte le posizioni di privilegio, esistenti in Francia.
D’altro canto, Sarkozy continua, per istinto più che per necessità, a far credere ai francesi che lo Stato è in grado di esercitare una qualche influenza sull’operato della aziende globalizzate. Ne è la dimostrazione lampante il suo discorso, tenuto a Gandrange, ai dipendenti di Arcelor-Mittal. (5) Ancora più grave è il suo volontarismo a proposito di crescita e potere d’acquisto. E, in questo campo, Sarkozy si scontra con gli stessi problemi dei suoi predecessori. Non è riuscito a sviluppare una pedagogia politica, in grado di spiegare che lo Stato non è onnipotente, ma che allo stesso tempo non è inutile. Anzi, il presidente del potere d’acquisto ha illuso i suoi elettori, lasciandoli credere nell’onnipotenza della politica; il che, inevitabilmente, ha condotto a una reale  disillusione.
Tali difficoltà sono poi aggravate dalla composizione eteroclita della squadra di governo, che affianca personaggi antiliberali e antieuropei a liberali coerenti. Si può certamente obiettare che scopo della politica è proprio quello di unire posizioni antagoniste. Ma, a tal fine, bisogna saper trasformare una visione barocca in strategia coerente. Per ora, si è ben lungi dall’aver raggiunto un risultato del genere e le difficoltà incontrate da Nicolas Sarkozy nel prendere decisioni nette sono all’origine del suo insuccesso politico.

(1) Legge del 1975 che legalizza l’aborto, presentata dall’allora ministro della Sanità Simone Veil.
(2) Leggi protezionistiche in favore dell’agricoltura francese, che prendono il nome da Jules Méline, primo ministro francese dal 1896 al 1898.
(3) Equivalenti alle nostre Cgil e Confindustria.
(4) Terzo sindacato di Francia, in ordine di importanza.
(5) Grande gruppo siderurgico internazionale.

(traduzione di Daniela Crocco)

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

  1. Raffaello Morelli

    Ci sono alcune stecche dovute alla anacronistica idea che i liberali siano di destra. L’incipit è un ossimoro ( "Sarkozy è indiscutibilmente un uomo di destra. Ma lo si può parimenti definire un liberale?" ) perché se uno è di destra non è liberale. Poi c’è un pregiudizio ( "Il liberalismo è una filosofia prima di essere una politica" ) che respinge l’idea di politica come metodo operativo imperniato sul porre al centro la libertà del cittadino. Si insiste nel confondere la cultura liberale con il libertinismo ("il più liberale di tutti i presidenti: la sua vita privata ne è la lampante dimostrazione"). Si separa liberalismo economico e liberalismo culturale ("si somigliano senza essere sovrapponibili") che è il sogno di tutti i non liberali. Si definisce quello di Sarkozy "un liberalismo ambiguo", invece di conservatorismo moderno ( di fatti non si batte contro i privilegi corporativi). Se anche dal governo sarkoziano spuntano –con ostacoli interni¬– progetti di legge sulla concorrenza, è perché anche i non liberali ogni tanto stanno a sentire quello che predicano i liberali. La storia ha dimostrato che considerarle prediche inutili equivale all’autolesionismo.

  2. Giovan sergio benedetti

    Sarkozy e’ un liberale senza alcun dubbio, basta confrontarlo con Berlusconi. Berlusconi è un liberale? No, Sarkozy è l’opposte di Berlusconi, quindi è un liberale.

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