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E LE DONNE RESTANO A CASA

Nel rapporto di Save the Children l’Italia è agli ultimi posti fra i paesi europei per condizioni di salute, lavoro e pari opportunità delle madri. Quoziente familiare e detassazione degli straordinari  aumentano il divario tra lavoratori e lavoratrici. Mentre con costi simili si potrebbero detassare le spese delle famiglie con figli in cui le madri lavorano e usano servizi, in un percorso volto a modificare la struttura familiare italiana, caratterizzata da ruoli fortemente tradizionali. Altrimenti, il rischio è di rendere ancora più grave il binomio donne a casa e culle vuote.

Nel giorno della festa della mamma è stato pubblicato il nono rapporto di Save the Children dal titolo “State of the World’s Mothers” (www.savethechildren.org) che mostra un ranking per molti paesi sviluppati e non, sulla condizione di salute, lavoro e pari opportunità delle madri. L’Italia è al diciannovesimo posto, ultima o quasi dei paesi europei.

LA SITUAZIONE E LE PRIORITÀ DEL GOVERNO

Tra i fattori che spingono l’Italia così in basso ci sono i divari di reddito uomo/donna (che ci vede allo stesso livello del Belize, della Repubblica Dominicana e dell’ Honduras) e ben lontani dall’80 per cento circa della maggior parte dei paesi del Nord Europa.
Un altro fattore è la rappresentanza politica, cioè la percentuale di donne presenti nel governo nazionali (solo il 17 per cento ) che ci vede simili al Gabon, o alla Bolivia e di nuovo ben distanti dal Nord Europa (con il 44 per cento). Mentre in questi paesi il tasso di partecipazione delle donne, con figli e non, è quasi uguale a quello maschile e il numero di figli per donna è vicino a due, in Italia più di una donna su due, in età di lavoro, non è occupata e ha un figlio solo o nessuno.
Nonostante l’avvicinarsi degli obiettivi  di Lisbona e gli appelli recenti del  Presidente della Repubblica che chiede di “affrontare le politiche per la famiglia, con misure volte ad elevare il tasso di occupazione femminile e a conciliare la vita familiare e la vita lavorativa” (1), sembra che le priorità annunciate dal nuovo governo vadano nella direzione opposta.
Da un lato è indicativo il basso numero di donne ministro, solo quattro su ventuno, nel nuovo esecutivo, dall’altro sono significative le proposte di quoziente familiare, che sostengono le famiglie monoreddito, e di detassazione degli straordinari che aumenta il divario tra lavoratori e lavoratrici.
Il sistema con quoziente familiare fa pagare alle donne che lavorano un’aliquota certamente più elevata rispetto all’attuale, in quanto determinata anche dal reddito del coniuge: inevitabilmente non può che scoraggiare la partecipazione femminile al mondo del lavoro, e ciò in una situazione come quella italiana caratterizzata dal gap occupazionale tra uomini e donne più alto d’Europa. 
La detassazione degli straordinari, poi, è un intervento a favore dei lavoratori che fanno (e possono fare) gli straordinari e quindi favorisce principalmente uomini, che lavorano al Nord e nelle grandi imprese. Non favorisce certo donne con figli piccoli, giovani, anziani, proprio quando il grosso problema del mercato del lavoro italiano continua a essere costituito dai bassi tassi di occupazione di queste fasce e porta a esacerbare il già grave divario tra uomini e donne.
Inoltre, incentiva le imprese a usare le ore di lavoro rispetto al numero di lavoratori: straordinario al posto del lavoro normale (si legga l’ultimo invervento di Matteo Richiardi). Il problema del nostro mercato del lavoro è il basso tasso di occupazione, non il basso numero di ore lavorate, a differenza di altri mercati del lavoro meno regolati dove le imprese usano il numero degli occupati invece delle ore di lavoro per aggiustare la produzione al variare della domanda.

L’ALTERNATIVA

Con costi simili, 2 miliardi circa, si potrebbero invece detassare le spese delle famiglie con figli in cui le madri lavorano e usano servizi ( si veda l’articolo di Boeri e Del Boca "Chi Lavora in Famiglia") . Un intervento di questo tipo oltre che incentivare il lavoro delle donne, soprattutto con figli, potrebbe incentivare l’emersione di lavoro nero (badanti, babysitter), a creare nuova occupazione (servizi aggiuntivi necessari per le famiglie in cui si lavora in due).
Si tratta di proseguire un percorso volto a modificare la struttura familiare italiana caratterizzata da ruoli fortemente tradizionali in cui le donne sono dipendenti dalla famiglia ed esposte a rischi di disoccupazione, separazioni familiari, restringendo il divario tra redditi e opportunità tra uomini e donne. Le misure proposte vanno nella direzione opposta, con il rischio di rendere ancora più grave il binomio donne a casa e culle vuote.

(1) la Repubblica 11 maggio 2008

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UNA CASA PER LA POLITICA MONETARIA

25 commenti

  1. Laura Stopponi

    E’ vero, ma le cose non cambiano. Perchè non parlare di flessiblità negli orari e inserimento lavorativo di donne quarantenni che dopo aver allevato i figli si rendono conto che possono fare altro? Perchè non elevare la qualità dei servizi per ridurre le fatiche delle donne che devono passare dal colloquio con l’insegnante, al pediatra, alla ricerca del centro sportivo, a scapito del lavoro e anche di ore di studio. Si parla solo di pannolini ma forse per me è stato il periodo meno faticoso.

  2. Giovanni Posani Loewenstein

    Nel rapporto da Lei citato, l’Italia è al 24° posto nel Women’s Index Rank; con grande franchezza non mi sembra una notizia.
    Nella stessa tabella, pag.40 del Rapporto, l’Italia è al primo posto mondiale nel Children’s Index Rank. Questa, invece, mi sembra una notizia.
    Forse non era funzionale al resto della sua argomentazione, ma resta una notizia.
    Poi bisognerebbe capire come si costruisce il ranking, ma questo è un altro discorso, cordiali saluti, Giovanni Posani

    • La redazione

      Per quanto riguarda il nono rapporto di Save the Children,  il ranking mostra le madri al 17 posto e le donne in generale al 24 esimo posto (pag 40). Il rapporto contiene anche altri indici , fra i quali anche il Children’s index  basato sui tassi di mortalità dei bambini di età inferiore ai 5 anni, , e sulla partecipazione scolastica dei bambini in età pre-scolare, decisamente alta in Italia grazie al sistema pubblico delle scuole materne. Non stupisce quindi che l’Italia risulti molto alta in graduatoria in un indice simile, che però molto poco ai fini della nostra analisi.

  3. chiara

    Approvo quanto scritto. Una proposta ancora più semplice e sciocca a livello comunale: le rette dell’asilo nido sono decise sulla base di scaglione ISEE (sul cui concetto concordo), creando però l’effetto distorto per il quale se una famiglia decide di sfrutare il congedo parentale al 30% si ritrova con un reddito basso e quindi una retta più bassa mentre se i genitori decidono di non usarlo pagando una baby sitter le ore necessarie, risultano con un ISEE più alto al quale non può essere sottratto il suddetto costo e quindi avranno una rata più alta per l’asilo. Le donne che lavorano vengono discriminate in tre modi: -il padre tende a delegare e la madre tende a farsi delegare quindi maggior stress per l’organizzazione quotidiana -mancanza di servizi di supporto (asili nido a numero chiuso e orari indecenti, se una donna lavora presso un ufficio a tempo pieno non può materialmente andare a prendere il figlio alle 16.00?) – la normativa vigente permette troppo facilmente di "abusare" delle legittime tutele della maternità e non obbliga al congedo del padre (evitando la discriminaz. aziendale vs i padri che ne fanno uso).

  4. chiara cristini

    Secondo me non basta un intervento del Governo, ma serve un cambiamento culturale profondo che riguarda tutta la società, sull’esempio di da anni esiste in molti Paesi UE. In particolare, ritengo sarebe importante promuovere tra le imprese una maggiore conoscenza e (dunque) utilizzo di strumenti esistenti che sostengono la sperimentazione di pratiche organizzative family friendly (per es. l’art.9 l.53/00). Ma al di là dei finanziamenti, non semplici da ottenere e che forse andrebbero ripartiti e gestiti a livello locale, le imprese andrebbero stimolate (dai propri consulenti ma anche dal sindacato) a innovare tempi e pratiche, anche adottando minimi accorgimenti (tra cui la banale opportunità per i genitori di ridurre la pausa pranzo e riuscire così a recuperare il figlio all’asilo) spesso più faticosi da "pensare" che da realizzare. Il nodo della conciliazione dei tempi continua essere ritenuto "questione femminile" e dunque secondario rispetto ad altri aspetti, ma si tratta di un modo di pensare che rappresenta un costo sia per l’azienda (in termini di assenteismo, produttività, spreco di talenti), sia per la società (natalità bassa e fuoriuscite anticipate dal mercato).

  5. dario giordano

    Invece di trovare risorse che non ci sono, propongo due strade: 1) a parita’ di stipendio e contributi, consentire alle donne di lavorare solo 5,5 / 6 ore al giorno. Ovviamente sulle 8 ore di lavoro pagate, le aziende pagherebbero le tasse solo sulle ore effettivamente svolte. 2) crediti di imposta ( superiori al 19%) per l’utilizzo di servizi.

  6. Gabriella De Blasi

    Concordo. Non è solo un fatto di servizi e di garanzie, ma di cultura. Una volta superati periodi particolarmente delicati come l’allattamento e il primo anno di vita, il ruolo dei genitori dovrebbe cominciare ad essere intercambiabile. E’ inaccettabile la rigida priorità 1.famiglia 2.lavoro per la donna e viceversa per l’uomo.
    I genitori di entrambi i sessi dovrebbero poter conciliare famiglia e lavoro.

  7. miriam mafai

    Ma come mai in Francia, in regime di le donne che lavorano sono in percentuale molto più alta che in Italia? Dunque non è detto che il quoziente famigliare inevitabilmente scoraggia il lavoro femminile.

  8. aris blasetti

    La prima ad essere contro quanto scrivo sara’ mia moglie ma non mollo a costo di passare per un bieco maschilista. Finiamola con questa ipocrisia che le donne che lavorano sarebbero emancipate e le casalinghe delle povere vittime.Uomini e donne sono uguali e le donne sono anche meglio degli uomini ma il posto delle donne e’ principalmente la casa accanto ai figli ad accudirli ad amarli ed istruirli. Se mandiamo le donne a lavorare fuori casa e lasciamo i nostri figli in balia di mani mercenarie o delle cosiddette Istituzioni non lamentiamoci poi dell’incremento della devianza giovanile o del dilagare della droga. Certamente le opportunità non devono essere negate al sesso femminile ma favoriamo le famiglie monoreddito e figli a carico, aumentiamo gli assegni familiari, istituiamo il quoziente familiare. Non demonizziamo la famiglia tradizionale, cellula fondamentale di una societa’ sana e bene ordinata.

  9. Davide

    Ho molto apprezzato i commenti femminili che chiedono flessibilità e possibilità per le donne di rientrare nel mondo del lavoro dopo gli anni di accudimento dei figli. Meno condivisibile il tono dell’articolo che continua nel refrain piu’ volte ripetuto in questo sito che il quoziente famigliare non va bene e che il tasso di occupazione femminile è troppo basso. Il trend demografico nel nostro paese avrà effetti esplosivi. Non si può continuare a discutere sulla proposta migliore in teoria e drenare risorse con una tassazione rapace alle famiglie del ceto medio.

  10. luca

    Condivido la preoccupazione che tali misure possano crearedistanze ulteriori tra il reddito che produce un uomo e quello che produce una donna. Ma al tempo stesso credo che dovremmo interrogarci su che tipo di lavoro faccia una casalinga-lavoratrice. Le limitazioni per la donna sono in parte fisiologiche. Mi domando se tutte le donne sono contente di lavorare o se farebbero più volentieri le mamme a tempo pieno, o al limite a tempo parziale. Non dimentichiamoci che moltissimi bambini vengono sbattuti tra asilo o scuola dalle 7 del mattino alle 18 di sera, senza vedere i genitori fino ai 13/14 anni. Dopo questa età restano a casa da soli a studiare. Ritengo che lo Stato si stia dmenticando della famiglia in tal senso, spingendola alla disgregazione. Io sarei per una tassazione agevolata sul reddito di sostegno alla famiglia e sulla tassazione pnalizzante su tutti gli altri redditi accessori. Paraddossalmente, ritengo che gli italiani debbano farsi bastare un solo reddito per famiglia e che lo Stato debba tutelare questa scelta/necessità, sia per il bene della famiglia come luogo di affetti, sia per distribuire redditi al fine di non avere due coniugi disoccupati per famiglia.

  11. Lia Gatti

    Buon giorno, sono donna, madre e imprenditrice. Vorrei far sapere a voi economisti che il motivo per cui le donne vengono assunte malvolentieri, anche se sono molto più brave degli uomini, è che in caso di maternità il costo a carico di un’azienda è troppo elevato. Una mia operaia è incinta per la seconda volta in due anni. Starà a casa in maternità anticipata e obbligatoria da maggio a febbraio. Il costo a mio carico compensivo di 20% di lordo e di ratei ferie ecc.ecc. è di 850 euro al mese, totale 8500 euro. Ma vi rendete conto? Un enormità per una piccola azienda artigiana come la mia. Non capisco perchè nessuno di voi economisti ponga questo problema, è inutile parlare di quote rosa, pari opportunità ecc.. Se le maternità fossero davvero a costo zero io ricomincerei ad assumere donne, perchè i problemi di flessibilità successivi (malattie del bimbo, orari degli asili ecc..) si possono superare agevolmente con la buona volontà di entrambe le parti. I soldi che si spendono, invece, quelli mi escono direttamente dalle tasche e in un momento in cui già lavoriamo a margini ridottissimi non me lo posso permettere.

    • La redazione

      I costi delle indennità di maternita’ sono certo piu pesanti per le piccole imprese. Mi chiedo tuttavia se nel  caso di maternità anticipata (malattia)  l’INPS si faccia carico del 100 dell’indennita? e che nel caso della maternità obbligatoria non esistano degli incentivi a all’assunzione di sostituti?

  12. Valerio Bra

    Sono andato a leggermi il rapporto citato, prescinderei dal metodo che non sono in grado di valutare, però mi pare che le cose andrebbero viste meglio. Infatti (udite, udite) l’Italia appare essere il primo paese al mondo per quanto riguarda il "children’s index rank", quindi il migliore per i bambini (superando di slancio la perfezione scandinava), è il secondo paese al mondo per aspettativa di vita delle donne ed è il terzo (con gli ex aequo) per anni di scolarizzazione delle donne. Mi sembra che le cose siano più articolate, complesse, ma meno fosche di come sono presentate. Forse bisogna sforzarsi un pò di più per individuare problemi specifici e possibili soluzioni (vedere, ad esempio, cosa dice "Miriam Mafai" riguardo a quoziente familiare e Francia).

  13. Giuseppe Caffo

    Condivido pienamente il commento di Lia Gatti. Voglio aggiungere che bisognerebbe rispettare le vocazioni delle donne, dando l’opportunità di lavorare o dedicarsi alla famiglia in libertà, non costrette dalle circostanze. Il lavoro part-time per molte mamme potrebbe essere la giusta soluzione.Comunque cerchiamo di non farci coinvolgere troppo dal consumismo dilagante che condiziona le scelte di vita di molte persone che distinguono con difficoltà i bisogni primari dai bisogni indotti.

  14. Gemma Menigatti

    Uno dei tanti motivi per cui una donna vuole lavorare è anche assicurarsi una pensione decente, considerando la triste ma frequente eventualità dei divorzi. Perciò per non penalizzare e anzi valorizzare l’apporto qualitativamente diverso del lavoro femminile si dovrebbe favorire un po’ di lavoro "part-time" sia per gli uomini che per le donne, in modo che un genitore sia sempre presente a casa nel pomeriggio. Così facendo si mangerebbero cibi più sani e con minor spesa, avendo più tempo per prepararli. Solo così si manterrà la famiglia coesa, con un padre attivamente coinvolto nell’educazione dei figli e anche nel disbrigo delle faccende, con l’aiuto dei figli più grandicelli. Forse ne guadagnerebbe anche l’incremento della natalità, perché vivendo in un’atmosfera serena anche i coniugi manterrebbero una maggiore intimità.

  15. Mario Sberna

    Premetto che apprezzo molto le riflessioni di Daniela Del Boca ma sulla questione lavoro femminile mi pare di poter dire che conosce poco le mamme. Non tutte le mamme in Italia sono in carriera (né tutte sono succubi di mariti padroni, dopotutto il 75% delle coppie tiene e se tiene vanno d’accordo…): chi sta in catena di montaggio, in un magazzino, in una cassa di supermercato può ritenere lo stare a casa a crescere i propri figli come una benedizione, non un’alienazione. In Francia c’è il quoziente familiare dal 1945 (1945!), in Germania lo "splitting" da due decenni. Entrambi i Paesi hanno un’occupazione femminile decisamente superiore alla nostra; forse lì alienano meno le donne lavoratrici e le pagano di più. Un bambino in asilo nido costa alle amministrazioni pubbliche 800 euro al mese, ad una mamma in media 450 euro (quindi metà del suo stipendio di lavoratrice). Proviamo a dire ad una donna lavoratrice: stai a casa in aspettativa (e mantenimento del posto di lavoro) col tuo bimbo fino ai 3 anni e l’amministrazione pubblica ti passa 800 euro al mese. Altro che obiettivo Lisbona, ne scopriremmo delle belle! Cordiali saluti, Mario Sberna

  16. GP

    La migliore dimostrazione della necessità di dover operare seriamente per modificare la divisione del lavoro (retribuito e domestico) delle famiglie italiane è rappresentata dai commenti finora inviati. Sforzandosi di ignorare le sconcertanti affermazioni del “bieco maschilista”, c’è chi pensa che “le limitazioni per la donna sono in parte fisiologiche” (?) oppure chi sostiene che, con riferimento al rapporto, è certo che “le cose andrebbero viste meglio” anche se poi ammette che sul metodo non è “in grado di valutare”. Infine che c’è chi continua a parlare di interventi a favore delle “donne lavoratrici” dimenticando completamente che il punto è proprio che l’onere della gestione dei figli non è appannaggio esclusivo delle madri: esistono anche i padri. Il contributo maschile alla discussione è sconfortante anche sul lato propositivo. Gli interventi femminili, invece, sono più interessanti pur nella loro eterogeneità. Mi pare evidente che in questo Paese c’è un grosso problema di rigurgito maschilista e oscurantista. Me ne dissocio fermamente.

  17. Luca Melindo

    Non vorrei dover parafrasare il mio antico maestro Sergio RIcossa, ma mi sembra che voler trattare l’economia ("scienza" sociale per eccellenza) al pari di fisica e chimica (dove i rapporti di causa ed effetto sono ben diversamente misurabili) sia sempre operazione discutibile. Non so se hanno ragione i fautori del quoziente o i suoi denigratori, ma mi sembra di poter dire che il numero di figli per coppia (e non solo per donna … un piccolo contributo lo diamo anche noi padri) non dipenda solo dal reddito e dalla condizione di lavoratrice o meno delle madri. Mia moglie, madre di tre figli, lavora, mia cognata idemque pur non avendo figli. Entrambe laureate, entrambe felici di lavorare. Le scelte personali non sono certo state influenzate dal fatto che esista o meno il quoziente familiare. Certo che se esistesse noi non potremmo che esserne (più) felici.

  18. Antonella

    Mi sa che qui si dimentica qualcosa: gli uomini. Si continua a dare per scontato che debba essere la donna a occuparsi della casa (quindi fare la cameriera!) e della famiglia. Mi sa che il vero cambiamento culturale sarebbe quello di coinvolgere gli uomini nella vita della casa e della famiglia, dando anche incentivi a farlo, in modo da garantire una effettiva parità tra i sessi. Molte coppie giovani, oggi, per fortuna, hanno un perfetta suddivisione dei compiti e degli oneri all’interno della casa e della famiglia e, anche se questo per molti uomini è difficilmente accettabile, è una evoluzione culturale e sociale enorme. La flessibilità deve essere anche per gli uomini. Ma quando si arriverà ad ammetterlo? Chi parla dei problemi causati dall’assenza della donna dalla famiglia, rimuove le responsabilità dei padri all’interno della casa e della famiglia. Errore grossolano e bieca strumentalizzazione. Il problema è che nessuno mette in discussione il modello sessista esistente, perché quasi nessun uomo vuole rinunciare a qualcosa della sua vita per dedicarsi a qualcun altro. E lasciamo decidere alle donne qual’è il loro posto. Giusto?

  19. Alessia Sonaglioni

    Vivo in Francia da dodici anni ed è evidente che esistono in questo paese una serie di misure che facilitano l’attività lavorativa delle donne e la loro partecipazione alla vita pubblica. Tuttavia, proprio lo studio di un sociologo francese, François de Singly, intitolato "Fortune et infortune de la femme mariée" di un paio di decenni fa, ma sempre di attualità secondo lo stesso sociologo, mette in evidenza che il fattore che ha più influenza sia sul tasso di attività femminile che sul livello di retribuzione è la partecipazione degli uomini allo svolgimento delle attività domestiche di routine. Di conseguenza solo un cambiamento profondo di mentalità potrebbe determinare una vera svolta per le donne italiane, il che mi sembra francamente difficile.

  20. cinianto

    La nostra legislazione fiscale ha sempre privilegiato il lavoro autonomo. A testimonianza si porta ad esempio l’impresa familiare, ove il reddito, ai fini irpef, è ripartito in quote fra gli appartenenti. La moglie casalinga che accudisce al marito e tre figli, non è stata mai riconosciuta come lavoratrice familiare. Il paradosso è che in caso di premorienza del marito a lei spetta il 60% della pensione. In caso di separazione e successivo divorzio, quando abbia lavorato in casa, le spetta una quota del reddito del marito, solo in questo caso il marito può detrarre la quota che il giudice ha assegnato all’ex coniuge. Se a distanza di oltre 40 anni non viene introdotto anche nella famiglia del lavoratore dipendente il quoziente familare per il fisco in maniera simile al lavoro autonomo le donne italiane non avranno più figli.

  21. Paola C.

    Oggi il lavoro corrisponde a bisogni ed esigenze diversi: affermazione di un percorso di studi, necessità, scelta di indipendenza, molte volte è la somma di queste situazioni. Una donna dovrebbe essere messa nella condizione di poter scegliere in libertà di lavorare e formarsi una famiglia. Ad esempio, applicare il part time orizzontale o verticale sul serio e non solo sulla carta. Molte situazioni nella vita di una famiglia, oltre alla gravidanza ed alla maternità, possono richiedere la necessità di usufruire di questa possibilità contrattuale. Il potenziamento degli asili nidi, o l`inserimento degli stessi nelle aziende, aiuterebbe le donne ad un rientro sereno al lavoro determinando la differenza tra tornare o no a lavorare, con l`effetto collaterale di creare nuovi posti di lavoro! Perchè il telelavoro continua ad essere una realtà virtuale? La qualità del lavoro non è garantita da una maggior quantità di tempo lavorato, ma dall’impegno che la persona ci mette nel farlo. Perché allora si detassano degli straordinari? Si parla tanto di bassa o nulla natalità ma non si fa nulla per permettere ad una madre e ad un padre di gestire nel modo migliore la loro genitorialità.

  22. Letizia Ciancio

    Sono d’accordo con tutto ma aggiungo un punto a mio avviso determinante: il problema del TEMPO, che è inversamente proporzionale ai soldi: più soldi=meno tempo, più tempo=meno soldi. Allora il punto NON è detassare gli straordinari, perché nessuna donna con figli piccoli desidera in realtà fare, ma il problema è trovare un sistema che consenta alle donne lavoratrici con figli di avere più TEMPO per accudirli nonostante il lavoro. Senza dunque DELEGARE totalmente ai servizi la crescita e l’educazione dei piccoli. Tra l’altro NON sono i primi tre anni di vita del bambino i più "problematici", dal momento che gli asili nido hanno orari compatibili col lavoro (chiudono in genere tra le 18 e le 19), bensì quelli successivi, quando l’orario scolastico si riduce sino alle 16-16.30 laddove l’orario di lavoro termina alle 17.30-18.00. LA MIA IDEA: formulare una sorta di contratto ad hoc per le donne con figli entro una certa età (14?) simile a quello degli "statali", quindi 36ore sett. e massima flessibilità nel confezionare la giornata, magari riducendo a 30mn la pausa pranzo, per uscire alle 15.30 e andare a prendere i figli a scuola. Altrimenti dovrò pagare 300-400€ la bay sitter per farlo!

  23. F.A.

    Da anni sostengo che le donne italiane dovrebbero rivendicare le pari opportunità con le donne europee! Se una donna con figli avesse tutti i sussidi che garantisce lo stato francese, godrebbe di maggiore libertà, anche la libertà di separarsi. Una maggiore emancipazione sopratutto di tipo economico è fondamentale per una libera autodeterminazione. Molte coppie stanno insieme solo perchè il divorzio (con figli e lavori precari) diventa inaccessibile, roba da ricchi. Forse che si vorrebbero mantenere forme di convivenza forzata?!? Uno stralcio da report: "Philippe Steck – Direttore Rel. Inetranazionali C.N.A.F. Noi elargiamo circa 30 tipi di sussidi, ora se volete entriamo anche nel dettaglio, ma se mi metto a descrivere tutte e 30 le prestazioni non ci basta il tempo. Quello che vi posso dire è che in tutto noi abbiamo un budget di 69 miliardi di euro, e che di questi 45 sono per le famiglie. Se facciamo una media possiamo dire che per le famiglie con un figlio ci sono circa 360 euro di sussidi al mese, che diventano 675 quando i figli sono 3. Francois Edouard – Segretario Generale CSF

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