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MASSIMA SPESA, MINIMA RESA?

L’indennità dei parlamentari italiani è fino a quattro volte superiore al reddito annuale di un manager del settore privato. E i redditi totali dei deputati nel primo anno alla Camera aumentano in media del 77 per cento. A questo si somma il reddito di eventuali attività professionali esterne: in media un ulteriore 38 per cento dell’indennità. Ma le stime suggeriscono che 10mila euro di reddito guadagnato in attività al di fuori del Parlamento riducono il tasso di partecipazione del parlamentare dell’1 per cento. Nasce da qui la proposta di abolire la possibilità di cumulo.

Abolire il cumulo dell’indennità parlamentare percepita dai legislatori italiani con fonti di reddito provenienti da altre attività di lavoro autonomo, seguendo l’esempio della legislazione in vigore negli Stati Uniti. È la proposta che avanziamo in questo articolo e si basa sui risultati di alcuni articoli scientifici recentemente pubblicati, su uno studio sull’evoluzione dei redditi dei politici italiani nel secondo dopoguerra commissionato dalla Fondazione “Rodolfo De Benedetti” (1) e sul confronto del caso italiano con l’esperienza degli Stati Uniti.

LA LETTERATURA

In un articolo scientifico recentemente pubblicato, Andrea Mattozzi e Antonio Merlo dimostrano che un aumento dell’indennità riduce la qualità media degli individui che decidono di intraprendere una carriera politica, riduce il turnover nel settore (poiché aumenta il numero dei politici di professione) e ha un effetto ambiguo sulla qualità media dei politici di professione. (2) Nel modello teorico gli individui dotati di elevata abilità politica utilizzano il settore politico come una “vetrina” dove mostrare le proprie capacità e segnalare quindi un’abilità potenzialmente elevata anche nel settore privato. Un aumento dell’indennità rende la carriera politica un’opzione più attraente sia per gli individui più abili, che avrebbero comunque deciso di entrare in politica, sia per coloro che hanno un’abilità politica relativamente bassa. Ciò riduce la qualità del “politico marginale”, cioè di quell’individuo che è indifferente fra intraprendere o meno una carriera in Parlamento (effetto d’ingresso). Allo stesso tempo, però, politici relativamente migliori e già in attività scelgono di rimanere in politica poiché i salari offerti sono diventati più competitivi (effetto di permanenza).

Da un punto di vista empirico, Michael Keane e Antonio Merlo  studiano come le scelte di carriera dei congressisti statunitensi rispondano agli incentivi monetari. (3) I loro risultati confermano l’esistenza dell’effetto di permanenza identificato da Mattozzi e Merlo e dimostrano che può essere di dimensioni non trascurabili. Ad esempio, una riduzione del 20 per cento dell’indennità percepita dai congressmen comporta una riduzione del 14 per cento della durata delle carriere congressuali. Tuttavia, l’effetto non è uniforme tra le varie tipologie di politici. Nella loro analisi, Keane e Merlo distinguono fra due caratteristiche latenti dei politici: la capacità di vincere le elezioni (skilled type) e l’ambizione politica o il desiderio di ottenere risultati legislativi significativi (achiever type). Lo studio dimostra che una riduzione dell’indennità riduce la durata della carriera congressuale degli skilled types molto più di quella degli achiever types. Poiché, fra le due caratteristiche latenti, essere un achiever probabilmente rappresenta meglio l’essenza della “qualità” politica, lo studio conclude che una riduzione dell’indennità congressuale non riduce significativamente la qualità politica.

REDDITO ADDIZIONALE E ATTIVITÀ PARLAMENTARE

Dai risultati di questa letteratura economica si evince che l’impennata delle indennità parlamentari in Italia può aver contribuito nel corso del tempo al declino della qualità degli eletti al Parlamento attraverso l’effetto di ingresso che abbiamo descritto. Una drastica riduzione dell’indennità, però, potrebbe essere a questo punto controproducente a causa dell’effetto di permanenza. D’altra parte, sembrano ormai superate le circostanze storiche che hanno giustificato il fatto che i parlamentari italiani, al contrario dei congressisti americani, potessero integrare l’indennità parlamentare con fonti di reddito provenienti da altre attività di lavoro autonomo.

Il tasso di crescita del reddito lordo dei parlamentari italiani dal 1948 al 2006 è stato del 9,9 per cento, contro l’1,5 per cento dei congressmen. Inoltre, se negli Stati Uniti il reddito reale lordoè rimasto costante dal 1980, in Italia è cresciuto a un tasso medio del 3,9 per cento e dal 1994 ha superato il reddito reale lordo dei “colleghi” statunitensi. Oggi l’indennità dei parlamentari italiani è fino a quattro volte superiore al reddito annuale di un manager italiano del settore privato e il reddito addizionale è pari in media al 38 per cento dell’indennità parlamentare. Ancora, i redditi totali dei deputati nel primo anno di attività in Parlamento aumentano in media del 77 per cento rispetto a quelli dell’anno precedente e il settore politico in Italia sembra configurarsi come un absorbing state. La gran parte dei deputati che prima dell’elezione non svolgevano un’attività in questo ambito, dopo l’uscita dal Parlamento vi rimangono: dal 28,1 per cento dei politici provenienti dal settore legale al 61,2 per cento degli operai e impiegati del settore industriale; al contrario, negli Stati Uniti il 59,8 per cento dei politici continua la carriera nel settore privato.

Al di là del potenziale conflitto di interessi, che può sorgere quando i rappresentanti eletti intraprendono attività che producono un reddito al di fuori della loro attività pubblica, c’è un’altra ragione importante che rende auspicabile limitare le attività extra parlamentari: i legislatori “part-time” si impegnano meno dei colleghi “full-time” nel loro ruolo di rappresentanti dei cittadini. I nostri dati ci permettono di quantificare in che misura l’impegno del parlamentare in attività esterne influisca sulla sua partecipazione alle attività del Parlamento e, più precisamente, in che misura il reddito che si aggiunge all’indennità parlamentare riduca il tasso di partecipazione alle votazioni parlamentari. Le stime che otteniamo suggeriscono che 10mila euro di reddito guadagnato in attività al di fuori del Parlamento riducono il tasso di partecipazione del parlamentare dell’1 per cento.

Siamo pertanto convinti che il divieto di cumulo dell’indennità parlamentare con altre forme di reddito ottenute al di fuori all’attività parlamentare possa contribuire ad aumentare la qualità media dei politici, fornendo allo stesso tempo incentivi più efficaci per incrementare l’impegno legislativo. Infine, riteniamo che l’indennità parlamentare debba essere indicizzata al tasso di crescita dell’economia italiana piuttosto che lasciare ai politici stessi la scelta del proprio livello di retribuzione.

(1) Galasso, Vincenzo, M. Landi, A. Mattozzi, A. Merlo, 2008. “The Labor Market of Italian Politicians,” manoscritto presentato alla X Conferenza europea della Fondazione Rodolfo De Benedetti su “La Selezione della Classe Dirigente”, Gaeta, 24 maggio, 2008.
(2) Mattozzi, Andrea e Antonio Merlo, 2008.“Political Careers or Career Politicians?” Journal of Public Economics, 92-3, 597-608.
(3)Keane, Michael e Antonio Merlo, 2007. “Money, Political Ambition, and the Career Decisions of Politicians,” PIER Working Paper 07-016, Department of Economics, University of Pennsylvania.

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11 commenti

  1. Roberto Arnaldo

    Ma è sicuro dell’affermazione che "l’indennità dei parlamentari italiani è fino a quattro volte superiore al reddito annuale di un manager del settore privato"? A me sembra un po’ strano: ma cosa si intende per manager privato? Marchionne? Non credo proprio che Marchionne guadagni intorno ai 30-40 mila euro all’anno e neanche un Matteo Arpe. A me risulta che guadagnino milioni di euro. Ma allora a quali manager si riferisce? Neanche un amministratore delegato di una piccola azienda di 30-40 dipendenti guadagna un quarto dell’indennità parlamentare. E non credo neanche un dirigente d’azienda. Ma allora a quali manager si sta riferendo?

  2. di falco maria

    Durante la campagna elettorale Veltroni, riconoscendo che l’indennità dei parlamentari italiani è la più alta in Europa, aveva preso l’impegno una volta al Governo, di allineare tale indennità a quella del resto d’Europa. Purtroppo, le elezioni non sono state vinte, ma non per questo non si deve fare nulla! Anzitutto, sono d’accordo a vietare il cumulo degli incarichi. Ne trarrebbe vantaggio l’azione parlamentare, che già di per sè è molto difficile ed impegnativa. Penso ad es. ai lavori che si tengono in Commissione Bilancio o Finanze. Ci vuole impegno per capire, collegare, verificare già solo i testi di legge da modificare o da introdurre, che con il loro linguaggio specialistico non posseduto da tutti gli eletti creano difficoltà! Inoltre, sarebbe veramente di esempio ed auspicabile sotto il profilo della coerenza che i parlamentari del PD anzitutto presentassero un disegno di legge in questo senso. E poi se il disegno di legge non venisse approvato, com’è facilmente prevedibile, i parlamentari del PD e di tutti i partiti che volessero aderire si autoriducessero l’indennità. Con i soldi dell’autoriduzione si potrebbero finanziare vari progetti: ricerca, restauro, borse di studio.

  3. Luigi Mancini

    Posso dirlo? Siete degli illusi. Sarebbe bello poter credere che una cosa tanto semplice e giusta venisse fatta. Ma non illudetevi/ci. Veltroni che tanto aveva insistito sulla riduzione degli emolumenti ora tace. Berlusconi che forse per sbaglio una volta aveva accennato alla stessa cosa per non lasciarsi soffiare voti ora tace. I tagli alle spese non si sono visti e non si vedranno. Attendo solo la prima votazione per alzarsi lo stipendio che come sempre vedrà affluenza massiccia e voto unanime, come accadde ad agosto dell’anno scorso quando nel più totale silenzio della stampa i parlamentari si alzarono lo stipendio di 800 euro al mese netti, e alzarono quello delle forze dell’ordine di 20euro lordi. Ma noi questo dubito lo sapremo perchè i giornali si guarderanno bene dall’informarci così come non lo fecero allora se non in un singolo TG a mezzogiorno del giorno stesso e poi basta. I parlamentari europei sostenevano che con "soli" 75.000 euro all’anno nessuno avrebbe voluto più fare quel lavoro, poveri sfruttati. E voi vorreste che i loro fratellini italiani dessero il buon esempio? Con stima, un milanese.

  4. maurizio perelli

    In una ricerca curata dall’ Università La Sapienza di Roma, dall’università Carlos III di Madrid e dal Cemefi di Madrid (presentata al Senato assieme all’annuario del Parlamento italiano “La Navicella”) è stato fatto l’identichit dei nostri deputati e senatori, dedicando separati capitoli alle “caratteristiche dei parlamentari italiani”, agli “effetti del sistema elettorale sulla selezione politica”, a “quale classe politica ci attende?”, all’ “attività legislativa”, alle “dinamiche dei redditi”. Particolare interesse -al fine di riconoscere se e quando sia ragionevolmente fondata (e dunque costituzionalmente legittima) la previsione legislativa di una incompatibiltà coll’esercizio di una professione e in particolare coll’esercizio della professione forense- assumono alcuni passi della detta relazione dedicati alle dinamiche dei redditi e dell’attività parlamentare dei legislatori. Si legge nella relazione, quanto all’evoluzione dei redditi, che gli effetti sul reddito reale di una permanenza parlamentare di sei anni si rivelano per gli avvocati del +27%, cioè decisamente superiori alla media dei parlamentari (+13%).

  5. Paolo Rocca

    Credo sarebbe sufficiente fare 2 cose: riportare l’indennità alla media europea, penalizzando economicamente le assenze; introdurre una norma di incompatibilità con qualunque altra attività, sul tipo di quella vigente per i giudici costituzionali.

  6. giovanni prarolo

    Intanto complimenti per il lavoro enorme che avete fatto: era ora che il dibattito sulla classe politica italiana si fondasse su dati oggettivi e, spero al più presto, disponibili a tutti. Prendendo spunto dalle parole del prof. Perotti a gaeta, vi invito a riflettere su un fatto particolarmente importante: quello che succede ai redditi dei parlamentari una volta che escono dal parlamento. A parte le indennità pensionistiche (sulle quali non ho competenza e quindi tralascio), un’altra è l’effetto indiretto che consiste nella modificazione, mediante l’attività parlamentare, delle condizioni di funzionamento dei settori lavorativi che sono particolarmente rappresentati in parlamento. Per intenderci, ammettiamo che gli avvocati siano particolarmente presenti in parlamento. Se questi legiferano in favore di sostanziali vantaggi economici per la classe degli avvocati questo si ripercuote sull’intera società in termini di costi, che immagino siano superiori rispetto al pagamento di (laute) pensioni per poche centinaia di ex parlamentari. Questo meccanismo, senza una particolare attenzione alle questioni di conflitto di interesse, avviene sia con il cumulo che senza. saluti gp

  7. Paolo Casarotto

    Ho trovato l’articolo di grande interesse, denso di considerazioni e contenuti. Rifletterò e lo proporrò alla riflessione di tutti gli amici che hanno a cuore la buona politica.

  8. Gabriele da londra

    Concordo e sarei anche più drastico. Che un parlamentare italiano guadagni più di un manager è uno scandalo assoluto. I privilegi (perché di questo si tratta) della classe politica sono la prima causa della sua bassa qualità: gente per lo più senza arte né parte si trova improvvisamente in una posizione da Mille e una Notte e chiaramente è pronto a tutto per mantenerla. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: un’età media superiore ai 50 anni, un turnover bassissimo e una inevitabile tendenza all’autoreferenzialità (dalla formazione dei gruppi misti al vero e proprio salto da un partito all’altro nel corso della legislatura). Restano i migliori? Non mi sembra che il mondo invidi la nostra classe dirigente, né che le più grandi corporations non vedano l’ora di assumere Mastella, Buttiglione &C. Altro che indicizzazione sulla crescita economica. Prendiamo qualche benchmark europeo, per esempio la Germania. Diciamo che un parlamentare italiano (10 mila euro al mese, a dir poco) potrà guadagnare quanto un collega tedesco (5 mila) quando l’Italia sarà gestita come la Germania. En attendant Godot.

  9. Marino

    A proposito di dare a queste funzioni lo stipendio medio di un operaio? Parlamentari strapagati che fanno cattive leggi, CEOs e supermanager che da soli guadagnano quanto interi paesi del Terzo Mondo e sfasciano le aziende; per ritornare a un’altra famosa frase, non erano meglio le cuoche a dirigere lo stato? Com’è che la proposta di tagliare a 400 i deputati e a 200 i senatori è sparita dal dibattito politico?

  10. Cirano

    Osservando il grafico è impressionante sia l’aumento di dieci volte delle indennità, a parità di valore del danaro, sia la caduta del livello culturale e formativo dei parlamentari. Si "svaluta" ed "inflazione" il titolo di laurea con gli anni e ciononostante si passa da una percentuale di laureati in Parlamento dal 90 a poco più del 65%.

  11. luigi36

    Occorrerebbe che qualcuno organizzasse una raccolta di firme per un referendum popolare per far sì che gli stipendi dei parlamentari possano essere contrattati con le parti sociali come avviene per tutti i dipendenti italiani.

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