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UN TRATTATO DA ATTUARE COMUNQUE

Il referendum irlandese conferma la difficoltà delle classi dirigenti nazionali, generalmente favorevoli all’Europa, a mantenere su questa linea il consenso dell’opinione pubblica interna. Invece di diventare un punto di riferimento rassicurante, le politiche dell’Unione hanno talora alimentato le paure, con messaggi confusi su mercato del lavoro, immigrazione, sicurezza interna, ambiente, prezzi dei beni alimentari. La ricerca di compromessi ha frenato la capacità di agire in difesa dei cittadini europei. Nulla vieta di adottare presto le norme su presidenza e ministro degli Esteri.

Il risultato del referendum irlandese è ovviamente una pessima notizia: ma non determinerà né la fine dell’Unione Europea né – come ha notato Adriana Cerretelli sul Sole-24Ore del 14 giugno – quella del Trattato di Lisbona, che alla fine, con o senza l’Irlanda, entrerà in vigore.

TESI EUROSCETTICHE

In effetti, non siamo davanti a una diffusa opposizione popolare, come dopo i referendum francese e olandese: le ratifiche parlamentari del Trattato di Lisbona sono state già completate in diciotto paesi, senza significativa opposizione interna. Una vera crisi politica si avrebbe soltanto se il processo di ratifica si arrestasse, in particolare nel Regno Unito: ma il governo inglese ha confermato l’intenzione di votare la ratifica mercoledì a Westminster.
Gli euroscettici vedono nel risultato irlandese l’ennesima prova della mancanza di democrazia e di legittimazione dell’Unione. Lucio Caracciolo ha riproposto su LaRepubblica la tesi secondo la quale non c’è democrazia senza Stato: dunque, o l’Unione si fa Stato, cosa oggi impraticabile, oppure abbandona ogni ambizione politica.
Ma questa tesi non è corroborata dai fatti: se gli Stati e i cittadini europei continuano a rivolgersi all’Europa per cercare insieme soluzioni a problemi politici che non sono in grado di affrontar da soli – nel commercio e la moneta, la sicurezza interna, la politica estera e la difesa – evidentemente pensano che sia una buona idea, visto che non li obbliga nessuno. Non sono le decisioni del Consiglio europeo di trasferire competenze a Bruxelles adottate da governi legittimi, sostenuti dal consenso popolare? Davvero il Parlamento europeo è una parodia di democrazia, tenuto conto della moltitudine di cittadini, associazioni, gruppi di interessi che partecipano alle sue deliberazioni? Caracciolo farebbe bene e guardare, di tanto in tanto i risultati dei sondaggi di Eurobarometro, che mostrano costanti maggioranze dell’opinione pubblica in favore non solo delle politiche comuni, ma anche della permanenza del proprio paese nell’Unione Europea.
L’asticella da saltare per l’approvazione dei Trattati europei è semplicemente troppo alta: in Irlanda hanno votato contro il Trattato di Lisbona 862.415 elettori, lo 0,2 per cento della popolazione europea. Quale modifica costituzionale, o anche solo legislativa, sarebbe approvata nel nostro paese se si imponesse ogni volta di ottenere separatamente anche la maggioranza di ogni consiglio regionale, o quella dei cittadini con diritto di voto regione per regione? È il referendum nazionale su decisioni europee che distorce la democrazia: perché assoggetta le decisioni di una larghissima maggioranza al potere di veto di piccole minoranze.

GLI STATI E L’UNIONE

Dunque, per favore occupiamoci di cose serie. Come ha indicato il Presidente Napolitano nella sua dichiarazione dopo il voto irlandese, il Consiglio europeo ha un compito semplice nella sua prossima riunione di giovedì e venerdì: quello di confermare la continuazione delle ratifiche, per completarle come previsto entro l’autunno. Una volta superata la soglia dei quattro quinti dei paesi membri, il Consiglio europeo di dicembre potrà valutare come affrontare il problema irlandese, secondo quanto previsto dall’articolo 48 del nuovo Trattato. Le soluzioni giuridiche si possono trovare: quella estrema è di far sottoscrivere un nuovo trattato uguale al Trattato di Lisbona ai 26 paesi che lo hanno ratificato, con tanti saluti all’Irlanda.
Ma non è ancora il tempo per queste decisioni, né per le ipotesi di avanguardie e cooperazioni rafforzate. Invece, il Consiglio europeo farebbe bene a discutere come ristabilire un contatto con l’opinione pubblica sulle grandi politiche europee: perché il referendum irlandese conferma la difficoltà delle classi dirigenti nazionali, pure generalmente favorevoli all’Europa, a mantenere su questa linea il consenso dell’opinione pubblica interna.
I pilastri della legittimazione dell’Unione europea sono gli Stati, rappresentati nel Consiglio, e i popoli, rappresentati nel Parlamento europeo. Serve un’autocritica dei capi di Stato e di governo, poiché l’origine del difetto di popolarità risiede nel loro canale di legittimazione: perché approvano le politiche comuni a Bruxelles, ma spesso non le spiegano, o addirittura le contraddicono pubblicamente quando ritornano a casa. Dovrebbero prendere l’abitudine, quando rientrano dalle riunioni del Consiglio europeo, di tenere una conferenza stampa per spiegare le decisioni che hanno preso, e come ciò sia nell’interesse del paese e dei suoi cittadini.
Inoltre, ha ragione Giulio Tremonti: c’è stato un difetto di attenzione rispetto ai temi che spaventano l’opinione pubblica. Invece di diventare un punto di riferimento rassicurante, le politiche dell’Unione europea hanno talora alimentato le paure. Sul mercato del lavoro, l’immigrazione, la sicurezza interna, l’energia e l’ambiente, i prezzi dei beni alimentari, i messaggi da Bruxelles sono stati deboli e confusi; la ricerca dei compromessi ha frenato la capacità di agire in difesa dei cittadini europei. Servono un cambio di prospettiva e un passo diverso delle decisioni.
Infine, si potrebbero attuare per consenso tra i governi alcune norme del Trattato di Lisbona già dal gennaio prossimo. Ad esempio, nulla impedisce di abbandonare il sistema di rotazione della presidenza del Consiglio europeo, nominando un presidente per i prossimi due anni e mezzo; nulla impedisce che, come per caso, il prossimo vice-presidente della Commissione per gli affari esterni sia anche la persona scelta dal Consiglio europeo per guidare la politica estera e di sicurezza al Consiglio, e che abbia l’incarico di costruire un servizio diplomatico comune. Il segnale, per quelli che esitano, sarebbe fortissimo.

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UNA NUOVA UNIONE DALLE CENERI DEL REFERENDUM

  1. Massimo GIANNINI

    Sarà interessante trovare il cavillo politico giuridico per uscire dall’impasse del no irlandese, che bisogna dirlo è formalmente legittimo e democratico. Si spera anche che altri paesi non si mettano di traverso alla ratifica del Trattato. L’autore richiama l’attenzione sul vero problema e il messaggio chiaro del no irlandese: lo "scollamento" tra politiche europee e cittadini. Esiste certo un problema d’informazione e legittimazione delle politiche europee ma anche un certo ritardo, misurato purtroppo in anni, tra le decisioni europee e i problemi dei cittadini. Quando si decide o si fa qualcosa a livello europeo è già troppo tardi rispetto al problema che si è posto ai cittadini. Alcune decisioni nascono vecchie e/o prese male. Ad esempio a nessuno viene in mente che una Costituzione o un Trattato, di approfondimento dell’integrazione europea, dovesse essere proposto prima dell’allargamento (sul quale non si sono fatti referendum…)? Ora si parla di un Trattato di Lisbona ma i problemi dei cittadini sono ben altri come menziona l’autore. L’Unione Europea e le sue istituzioni devono imparare a giocare d’anticipo, non di rimessa continua con cavilli giuridici e politici.

  2. FRANCESCO COSTANZO

    A mio parere è giusto evitare che uno stato come l’Irlanda, che non rappresenta la maggioranza della popolazione dell’Unione Europea, blocchi il processo di ratifica di un trattato importante come quello di Lisbona. Ma è anche vero che noi cittadini non siamo affatto informati delle decisioni prese dagli Stati membri: questo la dice lunga su quanta voce abbiamo in capitolo. E’ un grave limite che ostacola il normale processo democratico e riduce la rappresentatività degli organi collegiali europei. Bisogna tener conto anche del parere delle minoranze. Io penso che una soluzione potrebbe essere quella di sottoporre le decisioni degli Stati a referendum in tutti i paesi dell’Unione, ogni volta che almeno uno Stato (indipendentemente dalla sua popolazione) vota in senso contrario alla ratifica di un trattato. Lei pensa che potrebbe essere un’idea per aumentare il grado di democrazia diretta dell’Unione?

  3. paolocasati

    La verità vera è che l’Unione Europea nonché il trattato delle Comunità ci permettono di rimanere a galla, ovviamente non sto parlando dell’Irlanda ma della situazione italiana. Se non ci fossero le regole europee i sistemi giuridico ed economico del paese sarebbero seriamante compromessi e nonostante le norme europee,la Corte e la Commissione non è detto che il pericolo sia passato. Mi riferisco ai principi e alle direttive più o meno applicabili in via diretta ma con le quali, comunque, le autorità politiche e istituzionali hanno dovuto fare e devono fare i conti. Basti pensare alle regole degli appalti pubblici, alle regole generali che devono ispirare l’azione della Pubbl Amministrazione, la stessa responsabilità della PA ovvero i ricorsi giurisdizionali alla Corte di giustizia contro qualsiasi decisione in violazione dei diritti fondamentali dell’uomo e in violazione dei trattati e sopra tutti la norma sulla concorrenza,il mercato e connessi aiuti di stato ecc. In definitiva è difficile spiegare l’importanza dell’azione della Comunità ai cittadini,ma i vantaggi di questa esistono e sono molti. Sarebbe necessario un corso giuridico-economico intensivo e di massa. La cosa che ho capito è che le direttive e le altre regole europee di diversa natura spesso sono indigeste al nostro legislatore provincialotto, spesso esse (la disciplina europea,le sent della corte di giustizia) limitano i piani di costoro di costituirsi uno status speciale di individui al disopra delle regole, basti pensare al caso della l. sulle intercettazioni che verrà impugnata(previa costituzione del caso particolare) davanti alla Corte di giustizia salvo uno scatto d’orgoglio della Consulta (improbabile) ovvero al caso del prestito ad Alitalia oppure il caso della sentenza Europa7 ecc..

  4. Wil Nonleggerlo

    Cara Lavoce, proprio Venerdì, alla notizia Irlandese, incominciai ad interrogarmi su come l’Europa potesse essere percepita dai cittadini. Sono quasi sicuro che un referendum in ogni Paese, darebbe esiti sconcertanti. Non sentiamo l’Europa come una grande Mamma che potrebbe fare le nostre Veci. Per quel che mi riguarda sarei felice di sottostare ad un organismo Continentale, che intervenga in materia di disagio sociale, di istruzione, di sanità. L’Europa, per essere un organismo Reale, e non un ectoplasma burocratico che risiede in fastosi palazzi, dovrebbe intervenire con la forza di un continente laddove gli stati che ne fanno parte trovano delle difficoltà.

  5. Riccardo Sani

    I politici europei dimostrano contemporaneamente ignoranza, disonestà nella voglia di mantenere un potere imbelle, incapacità di comprendere la necessità di adeguare le istituzioni alla realtà che non si può più affrontare con degli staterelli nazionali, ormai privi di potere reale, in un mondo di giganti. Come volevano "i padri fondatori" nel dopoguerra, ciò che occorre è realizzare urgentemente un un parlamento europeo dotato di competenze effettive, non per legiferare "sulle misure dei pomodori", ma sulla politica estera, la moneta,la difesa, la politica fiscale ecc. così come avviene negli Stati Uniti d’America. La commissione europea deve essere espressione del parlamento e diventare governo su quelle determinate competenze.L’attuale consiglio europeo dei primi ministri, di fatto ora usurpatore di potere rispetto al parlamento, unico depositario in democrazia del volere popolare, deve trasformarsi in un senato nominato dai vari stati. Solo allora avremo gli Stati uniti d’Europa. Ora abbiamo solo parodie e prese in giro da parte di questi "politicanti nazional-europei" che stanno tradendo costantemente gli interessi degli europei stessi! Riccardo Sani-Trento.

  6. Davide

    Non entro nel merito del trattato, volevo solo segnalare due forzature nell’articolo che mi hanno infastidito L’Irlanda è il solo paese che ha usato lo strumento del referendum per ratificare o meno il trattato di lisbona. Rapportare i dissensi all’intera popolazione europea, neonati compresi, è quindi un’assurdità. secondo la stessa logica, si potrebbe dire che il 53% di tuti i votanti al referendum in tutti i paesi d’Europa lo hanno bocciato, passando di botto da una minoranza risibile alla maggioranza assoluta. Il problema è che gli abitanti degli altri paesi non hanno potuto esprimersi e sarebbe interessante chiedersi perché, invece di ridicolizzare i soli che hanno potuto dire la loro. Il fatto che poi i vari parlamenti l’abbiano approvato non vedo come possa essere interpretato dall’autore come un segno inequivocabile di "mancanza di opposizione popolare". al tempo del no francese, tutto l’arco dello schieramento politico, dai socialisti di hollande all’unione presidenziale di chirac avevano fatto campagna per il si. Poi è andata come è andata.

  7. Samanta

    D’accordo con vysheskazanym. possibilmente nella legislazione di ogni paese è una omissione e imprecisioni. ma credo che il destino del paese dovrebbe essere nelle mani della nazione. Questo non dovrebbe essere un incidente, come la vincita in un casino online.

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