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SE SI ROMPE IL PATTO PER LA SALUTE*

La manovra di bilancio prevede risparmi consistenti sulla sanità. E di fatto rimette in discussione il Patto per la salute e la strategia che ha consentito di recuperare il controllo sulla spesa sanitaria. Perché è concreto il rischio di riattivare il meccanismo perverso che vedeva lo Stato lesinare le risorse del Ssn, per poi inseguire con un anno di ritardo le dinamiche spontanee della spesa. Sarebbe più utile riprendere il lavoro di elaborazione degli indicatori di costo e di performance per programmare su basi condivise da Stato e regioni il finanziamento 2010-2012.

Nell’ambito della manovra di bilancio varata dal Consiglio dei ministri del 18 giugno, alla sanità è assegnato il compito di assicurare risparmi rispetto al tendenziale che dovrebbero assommare a 2 miliardi di euro nel 2010 e a 3 miliardi nel 2011. (1) Se, invece di ragionare rispetto alla legislazione vigente, si ragionasse rispetto alle “politiche invariate”,  bisognerebbe aggiungere anche la ventilata riattivazione del ticket da 10 euro sulla specialistica o le misure alternative cui alcuni ministri hanno accennato, portando così l’ammontare a quasi 1 miliardo già nel 2009, 3 miliardi nel 2010 e 4 miliardi nel 2011.
Il decreto legge si limita a disporre il taglio del finanziamento centrale messo a disposizione delle regioni per il Servizio sanitario nazionale, ma non specifica le misure che dovrebbero dare concretezza ai risparmi di spesa, che presumibilmente saranno contenute nella Finanziaria 2009 con relativi collegati. È comunque già possibile avanzare alcune considerazioni.

DOPO IL PATTO PER LA SALUTE

Colpisce prima di tutto il rilievo quantitativo della manovra in campo sanitario ove si tenga presente che il settore ha già dato un contributo significativo al riequilibrio dei conti pubblici nel 2007: tenendo conto del venir meno del ticket sulla specialistica inizialmente introdotto dalla Finanziaria 2007 e poi sospeso per due anni, la manovra 2007 assommava a oltre 3 miliardi di euro; più rilevante ancora è il contenimento complessivo fatto registrare dalla spesa sanitaria nel corso dell’anno, con un tasso di incremento pari allo 0,9 per cento e una riduzione del rapporto tra spesa sanitaria pubblica e Pil dal 6,85 per cento nel 2006 al 6,66 per cento nel 2007, come si evidenzia dalla tabella 4.2 della Relazione unificata del marzo scorso e tabella III.1 del Dpef appena pubblicato. Si tratta di una frenata molto significativa, rispetto al 7 per cento di incremento medio annuo registrato nel periodo 2000-2006, quando la spesa era salita di oltre un punto percentuale in rapporto al Pil. Anche incorporando nel dato 2007 il costo dei rinnovi contrattuali del biennio 2006-2007, slittato al 2008, il tasso di crescita risulterebbe comunque al 2,4 per cento. Il Documento di programmazione economico-finanziaria appena pubblicato, pur scontando un rimbalzo nel 2008 in parte dovuto agli slittamenti contrattuali, indica comunque una sostanziale stabilizzazione della spesa in rapporto al Pil tra il 6,8 e il 6,9 per cento nel triennio 2009-2011, un dato inferiore a quello dei nostri principali partner europei.
Il recupero di controllo sulla spesa è il frutto del “Patto per la salute” siglato nel settembre 2006 tra governo e regioni. Il Patto ha colmato il disavanzo sanitario apertosi nel periodo 2000-2006 combinando un adeguamento ex ante delle risorse a disposizione del Servizio sanitario nazionale e la loro stabilizzazione in quota di Pil con un insieme di misure di riduzione delle spese e soprattutto con un rafforzamento dei vincoli di bilancio regionali in termini di copertura di spese non programmate e automatismi fiscali a carico delle regioni. Ha inoltre separato i problemi di finanziamento ordinario del sistema, da ancorare al Pil, dalla questione del finanziamento specifico dei disavanzi delle regioni in difficoltà, cui è stato destinato un fondo transitorio triennale di sostegno condizionato all’adozione di piani di rientro cogenti.
Dal punto di vista della governance del sistema, il Patto ha sancito la scelta di puntare a un “governo condiviso” Stato-regioni del sistema sanitario. Scelta che tendeva a prefigurare un assetto in cui, a fianco dell’autonomia gestionale e della responsabilità di bilancio delle regioni, lo Stato svolge un ruolo, essenziale per l’unitarietà del sistema, di coordinamento degli obiettivi di salute, di promozione dell’appropriatezza delle prestazioni e di rigore finanziario.
Il Patto avrebbe dovuto essere aggiornato nel corso del 2009 in vista di una nuova programmazione per il triennio 2010-2012. In funzione di questa scadenza governo e regioni si erano impegnati a un esame congiunto dei fattori sottostanti livello e dinamica della spesa, attraverso analisi di bechmarking delle forme di organizzazione dei servizi ed erogazione delle prestazioni tra le diverse esperienze regionali, ed era questo il lavoro che ministero della Salute e ministero dell’Economia e delle finanze avevano cominciato a impostare. L’obiettivo era quello di elaborare una serie di indicatori di costo e di performance che facessero da base per un governo delle risorse e della spesa più penetrante.

RISCHI DI UN RITORNO AL PASSATO

Il decreto legge rimette di fatto in discussione il Patto prima della scadenza del triennio e condiziona l’accesso al finanziamento alla sottoscrizione di una nuova intesa Stato-regioni entro il 31 luglio prossimo. Le tensioni che questa virata sembra destinata a determinare con le regioni possono avere un impatto preoccupante sulla strategia di “governo condiviso” che ha consentito di recuperare controllo sulla spesa sanitaria.
Ma non è solo questo il punto: il fatto è che il semplice taglio del finanziamento a disposizione delle regioni non implica di per sé una equivalente riduzione di spesa e di indebitamento netto. Affinché ciò accada, occorre che la manovra di taglio del finanziamento si accompagni con la specificazione di misure precise su singole voci di spesa e di entrata del Ssn che portino a risparmi equivalenti quantificabili ex ante con sufficiente certezza, a meno che non vengano avallate coperture inconsistenti. Il rischio, allora, è che l’accelerazione che va profilandosi si traduca per la fretta in provvedimenti rozzi, che penalizzerebbero la funzionalità del Ssn.
Se così fosse, le misure di taglio si rivelerebbero in realtà illusorie rispetto alla effettiva soluzione dei problemi di governo della spesa, come lo furono nella prima metà degli anni 2000: il pericolo è quello di riattivare il meccanismo perverso che vedeva lo Stato lesinare il finanziamento del Ssn per poi inseguire con un anno di ritardo le dinamiche spontanee della spesa.
Piuttosto che bruciare le tappe di ridefinizione del Patto, tanto più che comunque il finanziamento 2009 non viene modificato, sarebbe utile dare corpo al lavoro di elaborazione degli indicatori di costo e di performance che consentano di riprogrammare su basi condivise il finanziamento 2010-2012.

(1) Sulla base della bozza di decreto legge nota fino a questo momento.

* E’ stato Consigliere economico dell’ex viceministro all’Economia Vincenzo Visco

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LO SPREAD CHE ALLARGA L’ATLANTICO

  1. Ettore Jorio

    Condivido l’eccezioni mosse da De Vincenti sulla manovra anti-Salute del Governo rinvenibile nel Dpef. Ciò che non mi trova d’accordo è l’aver ritenuto il Patto per la Salute del 28 settembre 2006 sufficiente a colmare i disavanzi pluriennali 2001/2006. Le vicende di questi giorni (commissariamento alle porte per Lazio, Abruzzo e Sicilia) ne sono la prova. Sono ancora tanti i miliardi da “colmare”, ivi compresi anche quelli sottaciuti (per esempio dalla Calabria), ma di prossima emersione, da esigere un sensibile intervento dello Stato, magari consentendo alle regioni accessi a mutui max trentennali (DDL 112/08 docet). Sarebbe l’unico modo per risolverli, al fine di evitare pressioni erariali regionali da capogiro. Un altro punto critico alle scelte governative, stranamente non avvertito, è rappresentato dalla contraddizione tra quanto si enuncia, in materia di sanità, nei documenti di programmazione e quanto si promette in termini di federalismo fiscale…

  2. umberto carneglia

    Gli indicatori di costo e di performance mi sembrano la strada giusta, non solo per la Sanità ma per i vari settori della Pubblica Amministrazione in generale. Ad essi dovrebbero affiancarsi in modo coordinato i complementari interventi per migliorare e monitorare l’organizzazione complessiva e la gestione della Sanità, che pur non priva di aree di qualità, soffre fortemente di lottizzazione clientelare, con conseguenti inefficienze, lati oscuri e sprechi,tanto più rilevanti in questo caso, date le dimensioni del settore. Le oscure recenti vicende calabresi (di cui non si sente più parlare) sono un esempio illuminante dei problemi finanziario/gestionali della Sanità, solo un esempio fra tanti.

  3. pidario

    Condivido pienamente l’articolo e il primo commento dove viene evidenziata una voce di spesa sanitaria, quella da “clientela politica e politico mafiosa” che potrebbe e dovrebbe senz’altro essere drasticamente ridimensionata senza danno alcuno per i cittadini. Quanto alle politiche di rientro dal deficit delle Regioni và detto con chiarezza che già il precedente Governo Prodi era stato troppo morbido e altrettanto sembra fare questo Governo. Quanto a pagare per i rientri dai debiti regionali sarebbe ora che per primi siano i politici tutti a pagare con le loro assurde prebende (si potrebbero tagliare le loro retribuzioni anche del 60-70 % senza danno alcuno). Per secondi che paghino gli “imprenditori privati della sanità” che hanno lucrato abbondantemente negli anni passati (troppo spesso facendosi pagare prestazioni mai erogate). A seguire che vengano reintrodotti seri ed utili tiket sanitari con attente e puntuali “esenzioni per patologia” che scoraggino il ricorso sempre più esagerato a prestazioni sanitarie inutili se non addirittura dannose (colpevoli sono tanti medici ma anche tanti cittadini).

  4. antonio vincenzo porcaro

    Molte volte mi sono chiesto se la sanità è un supermercato "low cost" oppure un bene da erogare a chi ha problemi seri di salute. Molte volte oil mio medico di famiglia mi ha detto che se non prescriveva visite specialistiche,medicine o giorni di malattia il "cliente" passava ad altro dottore più consenziente così come sono i pronto soccorsi degli opsedali quando arriva un "cliente" desideroso di 1-3 settimane di malattia per un qualsiasi (inventato) infortunio consequente anche ad una toccata "da fermo" di due vetture in colonna.

  5. MUSSARI FERDINANDO

    Credo che nella sanità ci sia molto da fare perchè i margini di azione sui costi sia ancora ampio, si parta dal fatto che i tagli di spesa sono stati fatti esclusivamente a carico della spesa farmaceutica, rendendola più efficiente se ci fosse stato bisogno, e del tournover nelle assunzioni. non è avvenuto nessun cambiamento sulla efficienza degli orari di apertura dei servizi ospedalieri e territoriali, unico metodo per debellare le liste di attesa, e sull’efficienza amministrativa delle strutture, nonchè sulla professionalità delle figure dirigenziali.

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